domenica 17 marzo 2024

La società dei postulanti

 

Il potere ha avuto bisogno di un tipo diverso di suddito, che fosse prima di tutto un consumatore. Pier Paolo Pasolini 

Hanno aperto le gabbie e le belve sono fuori, non sto parlando di animali veri ma di personaggi che popolano questo mondo di matti, questa società dei consumi dove la capacità di spesa viene barattata con la libertà, ma non siamo più liberi di fare nulla costretti a vivere in metaforiche trincee per difenderci dagli attacchi. 

Va bene cerco di essere meno ermetica e mi spiego meglio, raccontandovi alcuni episodi che mi sono capitati. 

Come forse saprete, da quest’anno per le utenze siamo stati costretti a passare al mercato libero. Non avrei mai pensato di dirlo, ma che bello quando c’era il monopolio! C’erano due società uno per l’energia elettrica e una per il gas, ti affidavi a loro e ti adeguavi alle loro tariffe. Poi é arrivato il mercato libero e sono sorte migliaia di aziende che pur appoggiandosi alle infrastrutture già esistenti dei grandi leader ti offrono tariffe a sentir loro migliori. Sono oltre due anni che sono assillata da call center di vario tipo (che hanno il mio numero di cellulare alla faccia della privacy) che mi propongono di fare il contratto con loro. Questi matti chiamano a qualsiasi ora, la mattina mentre sto lavorando e magari sono in una riunione importante, oppure la sera quando arrivo a casa e sto cercando di rilassarmi dopo una giornata di lavoro. Il problema è che queste persone non si accontentano di un no come risposta, insistono e sono anche maleducate.

-Parla la signora tal dei tali?

-Chi parla? (Ho letto in un articolo che è prudente non rispondere “sì” perché molti sono stati truffati registrando il sì come risposta all’adesione di un contratto)

-È lei la referente del contratto gas o luce ecc

-Mi può dire chi è che parla?

-Siamo di X energie, Y energia, Z gas ecc ecc lei sta pagando troppo per l’energia elettrica noi possiamo offrirle di meno.

-Non sono interessata 

-Non le interessa pagare di meno? 

-No.

A questo punto cominciava una tiritera sul perché e percome, finché spazientita chiudevo la telefonata brutalmente e bloccavo il numero. Sul mio cellulare i numeri bloccati hanno superato i numeri normali, ma non c’è niente da fare continuano a chiamare con nuovi numeri. Così ho smesso di rispondere.

Nel frattempo ho già stipulato un nuovo contratto sul mercato libero per il gas e per l’energia elettrica, l’ho fatto a dicembre per il gas e a gennaio per l’energia. Ora sono a posto pensavo, non mi chiameranno può. Invece mi sbagliavo.

Avevo attivato il nuovo contratto dell’energia elettrica e mi era arrivata la mail di conferma, le bollette le scarico da una App sulla quale il contratto risultava “in attivazione” ma non mi ero preoccupata più di tanto. Una mattina mi arriva la solita telefonata del call center di una tipa che mi dice: sappiamo che sta attivando il contratto con Tizio ma per un problema tecnico deve fare il contratto con noi in via transitoria finché non risolvono il problema.

La cosa mi suona subito strana, avevo ricevuto la mail di conferma quindi mi sono insospettita, ma ero titubante perché nella App il mio contratto risultava da parecchi giorni “in attivazione”, intanto la postulante insisteva: deve passare con noi entro oggi altrimenti da domani parte la tariffa triplicata. A questo punto io rispondo che sto lavorando, che sono in riunione e non posso parlare e avrei richiamato. Subito dopo ho chiamato il numero verde del mio gestore (una grande azienda di Bologna che ho scelto perché la conosco e non mi ha mai contattato per telefono) mi hanno detto che non c’era nessun problema tecnico ma che il mio contratto era del tutto regolare. 

Insomma queste persone non solo sono insistenti ma usano il metodo della truffa per estorcere il contratto. Tra l’altro - alla faccia della privacy - sapevano che io stavo attivando il contratto con il mio gestore. Sicuramente con questi metodi truffaldini qualcuno ci casca, ma proprio per questo mi sono chiesta: in che razza di mondo assurdo ci troviamo a vivere? Mi sono ricordata del bellissimo film di Virzì Tutta la vita davanti del 2008 dove si affrontava la questione dei call center ma si era solo all’inizio di quello che sarebbe diventato il nostro mondo. Per cui all’irritazione si aggiunge anche pena per un mondo del lavoro sempre più ostico e precario. 

Sicuramente, voglio sperare, anche in un call center c’è la persona più o meno corretta, ma quello che mi domando è: come siamo arrivati a questa giungla? Quando all’università studiavo le leggi dell’economia mi sembrava che ci fosse una specie di morale, la concorrenza si faceva sul prezzo o sulla qualità, ma esistevano delle norme da rispettare e onorare. 

Tanto per concludere, ogni tanto, un’agente immobiliare viene a bussare alla mia porta per sapere se vendo casa perché la mia zona è ambita in quanto vicino alla zona universitaria. C’è anche chi vorrebbe comprare per trasformare la casa in un “bed and breakfast”. Io rispondo che non ho intenzione di vendere visto che è l’unica casa che possiedo e, guarda caso, ci vivo. Anche sulle case ci sarebbe da fare un lungo discorso, ma ne ho già parlato nel mio post Casa dolce e cara Bologna è diventata una città molto più turistica e questo ha portato maggior benessere ma anche nuovi problemi, tanto da far rimpiangere un po’ la vecchia provincia. 

Nella nostra epoca, ci troviamo ormai immersi in una società in cui predominano i postulanti e i venditori di fumo. Avete anche voi l’impressione di vivere in una giungla assediati da venditori assillanti?

Fonti immagini: Pixabay  


domenica 25 febbraio 2024

Il mio Sanremo 1984

 

La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori. Johann Sebastian Bach


In questi giorni in cui non si fatto altro che parlare di Sanremo, mi è tornato in mente il mio Sanremo 1984. Era il primo anno di università, io abitavo con un gruppo di ragazze, tutte matricole in uno studentato universitario, condividevamo un bell’appartamento grande con doppi servizi, per sei persone. Nella casa mancavano due elettrodomestici fondamentali: la lavatrice e la televisione. Per la lavatrice cercavamo di arrangiarci lavando tutto a mano, il problema più grande era lavare le lenzuola, io facevo una fatica immane, ma trattandosi di lenzuola per un letto singolo me la cavavo. Per la televisione invece c’era poco da fare, o ce l’avevi oppure no.

Erano i tempi in cui molte famiglie compravano la tv a colori e dismettevano la vecchia tv in bianco e nero, donandola a qualche associazione non profit. Non avendo la TV decidemmo di comprarla usata presso la sede dell’Opera Padre Marella un’associazione creata da un padre francescano, fortemente attiva ancora oggi, dove ognuno poteva donare quello che non usava più per darlo ai poveri o comunque dare una nuova vita. Un nostro amico ci disse che lì avremmo potuto trovare una tv a poco prezzo. Così andammo da Padre Marella e comprammo una tv in bianco e nero perfettamente funzionante al folle prezzo di ventimila lire (il cambio in euro è di circa 10 euro di oggi), il nostro amico dotato di automobile (che anche avere un auto per uno studente non era semplice) ci aiutò a trasportare la tv dalle sede di Padre Marella, che era a Bologna in via del lavoro, al nostro appartamento di San Lazzaro di Savena (lo studentato era in quel magnifico centro alla periferia di Bologna). 

Se non erro comprammo la tv a gennaio e così a febbraio 1984 riuscimmo a vedere il nostro Sanremo che fu quasi un’esperienza corale, tutte davanti alla nuova televisione 📺 in bianco e nero a vedere Sanremo 1984.

Quello del 1984 fu il Sanremo in cui vinse Eros Ramazzotti, nelle nuove promesse, con Terra Promessa, ricordo che la mia coinquilina Maria quando cantò Eros, allora un giovanissimo illustre sconosciuto,  esclamò “ragazze questo è tostissimo! Questo qui farà strada!”

Di strada Eros Ramazzotti ne ha fatta davvero tanta dal 1984 e quando lo vedo in tv o lo ascolto in radio mi tornano sempre in mente le parole di Maria, strani meccanismi della memoria. 

Per la cronaca Maria è citata nel mio post Io vagabondo in cui racconto un episodio dell’estate 1984: una serata con i miei compagni di avventure universitarie.

Nei miei ricordi fu anche il Sanremo di Pino Mango con Oro, (ma non ho trovato riscontri in rete, quell’anno Mango non andò a Sanremo, credo di aver ascoltato Oro in un altro contesto musicale, forse il Festivalbar) anche lì Maria disse che Mango era da tenere d’occhio perché aveva uno stile unico, così é stato e Oro è una delle mie canzoni preferite. Mango è stato davvero un innovatore della musica leggera italiana Quasi emblematico che quest’anno, dopo i 40 anni di quella canzone che ne decretò il successo, abbia vinto sua figlia Angelina, per la quale confesso di aver fatto un gran tifo. Negli anni che vanno dal 1984 in poi le canzoni di Mango sono state la colonna sonora delle mie estati, in particolare quella del 1990, quando con un gruppo di 16 amici affittammo due villette sulle colline di Lipari per passare una vacanza alle isole Eolie. Una delle nostre amiche, Michela, aveva una cassetta di Mango dell’album Sirtaki che ci faceva da sveglia e che consumammo a forza di ascoltarla. Alla fine della vacanza Michela mi regalò la cassetta ed io continuai a consumarla. È un ricordo caro soprattutto ora che Michela non c’é più, portata via prematuramente da una grave malattia.

A Sanremo 1984 c’era anche Fiorella Mannoia con Come si cambia canzone, anche questa, colonna sonora della mia vita e che ho citato nel mio recente post Come si cambia

Sanremo è un po’ lo specchio della società che viviamo, me ne sono resa conto nel corso degli anni, non sempre l’ho guardato con assiduità ma non nego di aver fatto zapping sul primo canale Rai anche quando decidevo di non vederlo. Che poi a dirla tutta - tra una canzone e l’altra - ci sono sempre troppi siparietti di personaggi vari che allungano molto i tempi. Se guardi Sanremo comprendi cosa accade nel paese, magari non lo capisci subito, ma te ne rendi conto da quello che succede il giorno dopo, come quando, nel 1989, il Trio Solenghi Lopez Marchesini fu radiato dalla tv per la sua parodia sul Santo, per blasfemia. Ricordo che fui molto perplessa da questo episodio: ma come! In certi programmi apparivano ballerine seminude, c’erano film pieni di parolacce e di violenza, ma fare la parodia di San Remo - un santo che non esiste - era blasfemia. 

Quest’anno invece è successo qualcosa di più preoccupante, i cantanti che hanno parlato di pace sono stati osteggiati, Ghali e Dargen D’amico avevano delle canzoni orecchiabili ma con un testo di denuncia, finché cantavano il loro testo impegnato (ascoltatelo se potete) con la loro musica orecchiabile andava bene, ma quando hanno cercato di affrontare l’argomento in maniera più esplicita sono stati stoppati. Ghali alla fine della canzone quando ha salutato Amadeus ha pronunciato la frase: stop al genocidio.

Il giorno dopo - a Domenica In- trasmissione tutta concentrata sui cantanti di Sanremo, l’amministratore delegato della Rai Roberto Sergio ha fatto leggere un comunicato in cui si facevano quasi delle scuse a Istraele per la frase di Ghali. 

Invece Dargen D’Amico durante un’intervista con una giornalista, ha cercato di spiegare il significato della sua canzone, ma è stato interrotto dalla Venier, che ha dichiarato che non c’era abbastanza tempo per affrontare un argomento così complesso.

Ciliegina sulla torta, nei giorni successivi il sottosegretario della lega Morelli (per me finora un poco illustre sconosciuto)  ha proposto il Daspo per gli artisti che parlano di politica sul palco! 

Questo paese ha preso una deriva preoccupante, mi chiedo se non finiremo come in Ungheria dove Orban ha trasformato il paese in una autocrazia, di fatto una dittatura, tutto in modo legale e subdolo. È un paese dove non c’è più il diritto di sciopero (degli insegnanti della scuola pubblica sono stati licenziati per aver aderito a uno sciopero perché si protestava per il depauperamento dei programmi scolastici); la magistratura è formata solo da magistrati favorevoli al pensiero autocrate di Orban e l’università é privata e in mano al regime, perché ormai di regime si tratta. 

Insomma il ministero della verità del mondo di Orwell è più attivo che mai in Ungheria, è successo qualcosa di analogo in Polonia ma con le elezioni di dicembre 2023 qualcosa sembra essere cambiato. Per chi non ha letto il romanzo di Orwell nel mondo di 1984 esistono 4 ministeri: il ministero della Verità che si occupa dell’informazione e fabbrica menzogne; il ministero della Pace che si occupa della guerra; il ministero dell’Amore che mantiene l’ordine e fa rispettare la legge e, a questo scopo, pratica la tortura; il ministero dell’Abbondanza si occupa degli affari economici ed è responsabile della generale scarsità di beni. Il libro esplora temi come il controllo governativo assoluto, la manipolazione dei media, la perdita di libertà individuali e la lotta per la verità e l’identità personale in un mondo dominato dalla propaganda e dalla sorveglianza costante. Si tratta di un mondo distopico che però comincia ad assomigliare a qualche realtà che già conosciamo.

Forse, anche in Italia dobbiamo stare attenti che non avvenga lo stesso, per conquistare certi diritti ci abbiamo messo degli anni, ma basta poco per perderli. In Italia da un giorno all’altro le famiglie monogenitoriali hanno perso il loro legittimo riconoscimento, di recente c’è stata una limitazione del diritto di sciopero, stanno approvando delle leggi bavaglio sul diritto di informazione. E chissà quali altre questioni stanno passando sotto silenzio, distratti da altre notizie più o meno futili. 

Forse è per questo che provo un certo rimpianto per quel mio 1984 (strano è anche il titolo del romanzo di Orwell) un anno in cui avevo vent’anni e stavo costruendo la mia vita, tutto sembrava possibile in una Italia liberale e sulla strada della stabilità economica. Allora c’era il governo Craxi, politico che ricordavo solo per l’inchiesta Manipulite del 1992 ma che, allora, diede un notevole impulso all’economia italiana, quando la crescita era ancora una cosa positiva. Ci fu il tempo per sognare prima del brusco risveglio.


Fonti immagini: Pixabay 

domenica 11 febbraio 2024

Rimedi contro il logorio della vita moderna

 


Non ho parole che traccino la rotta di questo 2024, anno bisestile e già in sé inquietante, perché l’ultimo anno bisestile il 2020 ci ha portato la pandemia. Certo non possiamo affermare che gli anni successivi non bisestili siano stati migliori, il 2021 oltre agli strascichi della pandemia ha portato una serie di problemi e di disordini legati ai vaccini, tutti amici a cantare sui balconi nel 2020 e poi tutti in piazza a scannarsi perché “vaccini sì e vaccini no”. Il 2022 guerra in Ucraina, il 2023 guerra in medio oriente, inflazione galoppante, mutui in salita, alluvioni, tragedie varie climatiche e non, piove governo ladro. Ecco perché questo 2024 non mi ispira nessuna fiducia nel futuro, vorrei soltanto che non fosse peggiore del precedente. 

Lo so, mi sto ripetendo e ho già espresso le mie inquietudini nel post precedente Chissà, chissà domani ma questo post ha un altro scopo, vorrei delineare qualche rimedio, qualche strategia su come operare per salvarsi dall’ansia, solo da quella, perché è impossible salvarsi dai mali del mondo, almeno in generale e in assoluto. Ovviamente sono rimedi validi per me, non ho una ricetta universale per tutti, semplicemente ho cercato di trovare una mia soluzione per il mio carattere ansioso, una soluzione operativa che poi è una risoluzione adottata da sempre, ma di cui ogni tanto mi dimentico ed è sempre la stessa: di fronte a un problema devo giocare di anticipo, faccio prima quello che potrei fare dopo oppure a ridosso della scadenza. 

Giocare di anticipo” significa agire in modo preventivo o anticipato per ottenere un vantaggio o per prevenire eventuali problemi. Lo so che sembra la scoperta dell’acqua calda eppure, sembra incredibile, sono pochissimi quelli previdenti che preparano con il dovuto anticipo quello che c’è da fare, questo significa che spesso certe incombenze arrivano alla scadenza (nella vita come nel lavoro) in ritardo oppure con incredibile ansia di chi deve farvi fronte. Per esempio, al lavoro devo produrre un documento pieno di dati (sono i dati contabili di un triennio quindi una massa enorme di informazioni da mettere in ordine) la scadenza è a fine marzo, ma io ho cominciato a lavorarci da metà gennaio, la mia speranza è di concludere tutto per l’inizio di marzo, perché guarda caso fine marzo è Pasqua, quindi la scadenza effettiva da considerare è almeno dieci giorni prima. Alcuni miei colleghi mi considerano un po’ folle, perché ho cominciato così in anticipo, tuttavia quando ho inviato all’ufficio bilancio il mio report in cui riepilogavo tutti i dati contabili che mi servivano e di cui chiedevo la copia, hanno ringraziato perché li ho chiesto con il dovuto anticipo (per fare il report ci ho perso la vista e due settimane di tempo in cui utilizzavo ogni ritaglio di tempo per lavorarci, perché nel frattempo il lavoro ordinario doveva andare avanti). 


Inoltre, un ulteriore rimedio può essere quello di “Avere un metodo” cioè “seguire un approccio organizzato o una procedura specifica per raggiungere un obiettivo o svolgere un’attività in modo sistematico e strutturato”. Adottare un metodo spesso è salvifico, si imposta una procedura che viene seguita pedissequamente. Facciamo un esempio: io cerco di essere sempre in pari con le mail del lavoro, ogni mattina come prima cosa  - quando arrivo in ufficio - leggo sempre tutte le mail arrivate, per esempio quelle di notifica della contabilità che mi segnalano l’arrivo delle fatture elettroniche dei fornitori: il mio metodo é controllare subito la fattura per verificare se sia corretta, in caso contrario segnalo subito l’errore all’ufficio competente, se la fattura è corretta la scarico in pdf e la inserisco nel mio scadenzario dei pagamenti; poi ci sono le mail inutili o di spam, che cancello, le mail informative che salvo nelle comunicazioni da tenere; quelle a cui devo dare una risposta semplice e rispondo subito; quelle che richiedono una risposta e un’azione più complessa che salvo in una cartella apposita, me le stampo per poterle leggere con maggior attenzione, magari evidenziando i punti importanti. 

Insomma cerco di avere un sistema di archiviazione organizzato per tenere traccia di documenti importanti e delle informazioni relative alle scadenze. Inoltre cerco di annotare tutte le date di scadenza in un apposito calendario elettronico dove imposto avvisi e promemoria, ma uso anche un’agenda planning di carta su cui scrivo le scadenze principali, di solito con quella mi oriento in modo più immediato perché ho sotto gli occhi gli impegni principali della giornata prima ancora di accendere il computer. Purtroppo questo non sempre basta per tenere tutto sotto controllo, ma è un buon aiuto.

Anche nella vita privata adotto lo stesso metodo per star dietro agli impegni personali, ho sempre un’agenda settimanale cartacea dove appunto le scadenze, scrivo promemoria e inserisco documenti vari di cui devo ricordarmi in prossimità di una certa data. Inoltre mi faccio ogni tanto una lista delle cose da fare e quando le ho fatte le cancello con una bella riga sopra, un momento liberatorio meraviglioso. 

Fare di testa propria potrebbe essere il terzo rimedio al logorio della vita moderna, quando decido di fare qualcosa la faccio e basta, non ho ancora capito perché gli altri vogliano a tutti i costi darmi consigli non richiesti. Decido di lavorare di domenica mattina (approfittando di una domenica piovosa) e tutti a dirmi,: ma no, ma perché non ti riposi, chi te lo fa fare…e poi capisco che se lo avessi fatto mi sarei trovata in vantaggio. Credo che sia sempre più opportuno prendere decisioni o agire indipendentemente, senza essere influenzati dagli altri. È sempre meglio “Fare di testa propria” quindi agire autonomamente, senza dipendere dalle decisioni o dalle azioni degli altri, prendere iniziative e responsabilità in totale autonomia (anche un po’ in segreto, per scaramanzia) senza essere influenzati dalle opinioni altrui. In sostanza, sono io il miglior consigliere di me stessa. Ciò vale per le piccole cose, ma soprattutto per quelle più grandi. E se sbaglierò sarà solo colpa mia, ma almeno non vivrò la frustrazione di aver ascoltato gli altri. 

Inserire una buona abitudine nella propria routine, quarto rimedio non legato all’ansia ma al proprio benessere. Quante volte ci ripromettiamo di fare qualcosa che poi rimane appesa nei meandri dei buoni propositi, questo perché ogni promessa che facciamo a noi stessi è legata alla forza di volontà che con gli anni diventa sempre più flebile e sfilacciata. Ricordo che a vent’anni ero incredibilmente determinata, se decidevo di fare una cosa la facevo e basta, come per esempio la dieta, oppure studiare 10 ore al giorno per preparare un esame. Oggi che non ho più vent’anni, sarà il lavoro che assorbe tempo, sarà che a fine giornata ho bisogno di gratificarmi, sarà che ho imparato che non sempre volere é potere - come scrivevo in quel post di novembre scorso Volere é potere? - la mia volontà è sempre meno forte, anzi è debolissima. Tuttavia se inserisco una buona abitudine nella mia routine mattutina, per esempio, poi la seguo abbastanza fedelmente. Insomma mi pongo un piccolo obiettivo piuttosto che uno troppo grande per la mia ormai debole forza di volontà. Per questo ho inserito nella mia routine mattutina dieci minuti di ginnastica, faccio cento addominali, diversi esercizi con i pesetti e poi lo stretching finale. Non sarà molto, ma se lo faccio tutti i giorni il mio corpo sarà più tonico, forse. E comunque da quando lo faccio mi sento meglio. Di più non riesco a fare perché mi sveglio già alle 5,30 e non posso anticipare oltre. Più avanti vorrei inserire qualche esercizio di yoga, ma vedremo. Al mattino la mia volontà è più forte, poi diminuisce perché sfinita dal logorio del lavoro moderno. 

Altri suggerimenti ne avete? Io per ora ne ho pensato solo questi, ma se volete lasciate un commento, mentre io vi lascio con un video da boomer, un meraviglioso spot contro il logorio della vita moderna, anche se non ho mai assaggiato il Cynar 



Fonti immagini: immagine creata con App Imagine AI



venerdì 26 gennaio 2024

Chissà, chissà domani

 

Quando il fato decide altrimenti, le decisioni dell’uomo sono inutili. (Publilio Siro) 


Ogni anno che comincia porta con sé il suo bagaglio di buoni propositi, per me una volta era così, ora invece più che ai buoni propositi (che un po’ ci sono) penso a sopravvivere. È una sensazione che mi avvolge soprattutto dal 2020, anno bisestile in cui ogni equilibrio mondiale è stato sconvolto. Ogni anno ha portato con sé nuove tragedie, la lotta sui vaccini, la guerra in Ucraina, la morte della sinistra, la vittoria delle destre, il cambiamento climatico, le alluvioni, la guerra in medio oriente. Questi anni sono stati caratterizzati da una costante paura del futuro, manifestandosi come un’ansia persistente e una preoccupazione costante riguardo agli eventi imminenti, generando così stress e incertezza.

Ed eccoci arrivati a un altro anno bisestile da cui non so bene cosa aspettarmi.

É un anno che per me si preannuncia più difficile già per il lavoro, perché tra un mese due collaboratrici bravissime vanno in pensione (compiono 67 anni quindi è una pensione più che legittima) di conseguenza il mio lavoro subirà uno scossone non da poco, la sostituzione forse arriverà ma sarà, come al solito, al risparmio una persona al posto di due, i grandi capi stanno valutando, ma le scadenze e le attività non sono diminuite anzi aumentano ogni anno di più. Poi nella città di Bologna da gennaio c’è una novità, anche se era annunciata da alcuni mesi, ma ora entra effettivamente in vigore: tutta la città diventa con il limite dei 30 km orari, salvo alcuni brevi tratti, dove resterà il limite dei 50. Questo vuol dire che ogni percorso urbano in auto sarà difficilissimo, per andare al lavoro percorro un tratto di circa 3 km su una strada ampia dove il limite dei 50 era perfettamente sostenibile, fare i 30 invece è davvero arduo, per stare nei 30 non vado mai oltre la seconda marcia. Se si supera il limite e si arriva a 36 km orari fioccano multe. Non sto parlando del centro storico, ma di strade fuori dalle mura, perciò una zona piuttosto estesa. Ora, io sono una che ha sempre sostenuto la chiusura del centro alle auto e, di fatto, in centro giro soltanto a piedi, mi avvicino con l’auto oppure con l’autobus e poi giro a piedi. Nel centro storico di fatto è corretto fare i trenta. Questa estensione a tutte le strade fuori dalle mura, di colpo, mi sembra invece un’assurdità, anche perché non hanno creato altre infrastrutture tipo piste ciclabili decenti o parcheggi scambiatori sufficienti e a prezzi equi. Mi sembra la solita cosa all’italiana, prima facciamo la legge sulla pelle dei cittadini,  poi creiamo le infrastrutture. Non so se diminuiranno gli incidenti sicuramente, per ora, aumenta lo stress del percorso casa lavoro, per questo sto andando a lavorare a piedi, l’autobus a trenta vuol dire un percorso in mezzo a una folla di gente più lungo e stressante, quindi camminare per ora mi sembra l’unica soluzione, avendo la fortuna di abitare abbastanza vicino alla sede di lavoro (ma sono sempre circa 3 km a piedi). Il problema è che spesso devo camminare con dei pesi, il computer portatile e talvolta i documenti che mi porto a casa per il telelavoro. Questo non fa bene alla mia schiena, era anche il motivo per cui usavo l’auto avendo la possibilità di parcheggiare senza spese (nel parcheggio aziendale). Dopo un paio di viaggi a 30 all’ora guardando il tachimetro invece che la strada ho deciso che era meglio camminare. 

Ma in fondo cosa volete che siano questi problemi quando ce ne sono altri ben più gravi!

All’orizzonte infatti si delineano sempre più grandi minacce. L’ampliamento del conflitto in Medio Oriente non promette nulla di positivo. Forse, per alcuni, la minaccia mortale arriverà prima a causa del vaccino che, secondo alcuni, potrebbe causare danni. Altrimenti, c’è la prospettiva che l’intelligenza artificiale scateni nuovi conflitti diffondendo notizie false. Altresì, la crisi economica, con l’affondamento delle famiglie nel baratro, l’inflazione e gli aumenti dovuti alle complicazioni delle guerre in corso e agli attacchi alle navi mercantili nel Mar Rosso, potrebbe rivelarsi letale.

Forse, però, ci preoccupiamo inutilmente di pericoli che sono al di là del nostro controllo. Non li possiamo gestire affatto. Se uno dei leader imprudenti al potere dovesse detonare una bomba atomica, come menzionato nella canzone ‘Futura’ di Lucio Dalla, non importerebbe più chi ha iniziato la guerra: russi, americani, ucraini, israeliani, palestinesi, nordcoreani, cinesi o iraniani.

In sintesi, la paura dell’Apocalisse è tornata più forte che mai. Negli anni ‘80, durante la guerra fredda tra russi e americani, questa paura era diffusa. Sembrava superata negli anni successivi grazie agli accordi tra Stati Uniti e Unione Sovietica, con il processo di pace avviato tra Gorbačëv e Bush. Tuttavia, si è rivelata un’illusione.

E cosa possiamo fare se non sperare che un po’ di ragionevolezza sia rimasta nelle menti di questi folli che giocano con le nostre vite? È quindi inutile arrovellarsi cercando la soluzione dei problemi, lascio fare al fato, mentre vi lascio il link YouTube di Futura le cui parole iniziali hanno cambiato il titolo di questo post.

E voi come vivete questo inizio di anno? Siete preoccupati o fatalisti e indifferenti agli eventi? 



Fonti immagini: immagine creata con App Imagine AI

venerdì 12 gennaio 2024

Compagni di scuola

 

Compagno di scuola, compagno di niente, ti sei salvato dal fumo delle barricate? Antonello Venditti 


Lo scorso anno un post di Elena Ferro Il tema della mia vita  mi ha fatto ripensare ai miei compagni di scuola e così mi era venuta voglia di parlarne. Il post è rimasto in bozza per molti mesi perché diventa sempre più complicato per me dedicare del tempo al blog, salvo farlo in piccolissimi ritagli di tempo e con lentezza, l’unica lentezza che mi é concessa dipendendo solo da me. 

Quando sento storie di bullismo in tv mi sembra di vivere in un pianeta alieno, perché mi torna in mente la mia classe delle superiori dove invece c’era un sostegno globale, non lasciavamo indietro nessuno, a maggior ragione i più fragili. E sono proprio i più fragili che ricordo meglio, perché le loro storie sono quelle più difficili. La nostra classe era abbastanza uniforme, tutti studenti di famiglie modeste, non ricche ma piene di onestà e buoni principi. Allora chi frequentava l’Istituto tecnico commerciale non aveva aspirazioni universitarie, si sceglieva questa scuola perché con il diploma si voleva poi iniziare a lavorare in qualche modo, a differenza dei ragazzi che frequentavano il liceo classico che avrebbero sicuramente fatto l’università. Le cose poi andavano diversamente perché dopo il diploma molti si iscrivevano all’università, un po’ perché davvero motivati, un po’ perché il lavoro non c’era. Della mia classe almeno la metà ha proseguito gli studi. Ma, facendo un passo indietro, ricordo che per arrivare alla mia scuola dovevo prendere la corriera ogni mattina alle 7,20 per arrivare nel paese vicino, una cittadina di circa 60.000 abitanti, completa di tutte le scuole. Il tragitto in corriera non era lungo c’erano pochi chilometri ma era necessario comunque svegliarsi presto per arrivare a scuola in tempo. Oggi non è più così, il mio paese natio ha tutte le scuole e due mie compagne di classe, dopo anni di supplenze fuori sede, insegnano proprio in una scuola del paese. Comunque allora la classe era formata da gruppi di studenti provenienti da centri diversi della provincia che si aggiungevano ai fortunati che invece abitavano sul posto, che comodità. 

Tra gli studenti della nostra classe ricordo alcuni in particolare.

Fabrizio: era un ragazzo schivo, sempre con l’aria triste, ma ogni tanto esordiva con delle battute sagaci che facevano ridere tutta la classe. Collezionava una sfilza di brutti voti, ma poi a metà dell’anno scolastico recuperava sempre una striminzita sufficienza per essere promosso. Questo avveniva perché molti compagni di classe, incalzati anche dai professori, lo aiutavano a studiare e a prepararsi in vista di un compito in classe e di una interrogazione e così riusciva a recuperare. È capitato più volte che anch’io mi unissi al gruppo per spiegargli un concetto di tecnica o di ragioneria prima di un’interrogazione. In pratica tutti noi lo avevamo un po’ adottato perché Fabrizio aveva una situazione familiare problematica, era figlio di genitori separati e viveva con la nonna, sua madre viveva fuori per lavoro e lui la vedeva solo durante le feste, suo padre, invece, non so quanto fosse presente nella sua vita. Di aspetto anonimo, vestito male e poco curato, Fabrizio sarebbe stato il perfetto bersaglio dei bulli di oggi, invece noi lo avevamo adottato e ce ne prendevano cura per quello che potevamo fare. 

L’episodio più importante avvenne alla maturità. Tra i componenti della commissione per gli esami di stato c’era il nostro professore di ragioneria, un professore severissimo che pretendeva da noi una preparazione precisa e puntuale e ci interrogava quasi tutti i giorni a sorpresa, con lui eravamo costretti a studiare sempre. Non lo ringrazierò mai abbastanza per questo, il metodo e la preparazione acquisita grazie alla sua severità è rimasta un punto fermo della mia formazione scolastica. Era severo ma anche lui molto attento nei confronti di Fabrizio. Lo spronava a studiare la sua materia senza assillarlo troppo ma  non perdendolo mai di vista. All’epoca per gli esami di maturità la commissione era composta da un professore interno all’istituto e tutti gli altri erano membri esterni, c’erano due scritti e all’esame orale si portavano due materie, la prima era scelta dallo studente la seconda poteva essere scelta dalla commissione: in pratica si proponevano due materie ma la seconda poteva essere cambiata su decisione della commissione anche il giorno prima dell’esame. La più grande carognata era cambiare la materia a un candidato. Con Fabrizio successe proprio così, la seconda materia da lui scelta fu cambiata, non ricordo quale fosse la materia scelta da Fabrizio, ma gli imposero Ragioneria. Il professore interno fu informato il giorno prima dell’orale e lui chiamò tutti gli studenti più bravi della classe per avvertirli. Passarono la notte con lui a ripassare ragioneria. Quella mattina eravamo tutti lì a sostenerlo. Ebbene l’orale di Fabrizio fu molto buono e alla fine il voto di maturità fu più alto di quanto tutti noi ci aspettassimo. Tutti fieri di lui come fosse un nostro fratello e, forse, lo era davvero. 

Perché oggi invece c’è tanta cattiveria verso i più deboli? Viviamo in un mondo in cui se qualcuno è fragile diventa un bersaglio di odio, qualcuno da umiliare e sottomettere, lo vediamo sempre più spesso nella realtà di tutti i giorni e ovviamente nei social. E la scuola è diventata una trincea per gli stessi professori

Poi ci sono gli altri compagni di scuola, c’era la più bella della classe che si chiamava Angela, bionda con il naso piccolo e le labbra a cuore. Quando Venditti nella sua canzone cantava “quella del primo banco, la più carina” mi veniva in mente lei, niente affatto cretina a dispetto della canzone. Poi c’era Michele che sognava di scrivere come me anche se, leggendo Asimov, preferiva la fantascienza e ogni tanto mi faceva leggere i suoi racconti. Ci siamo scritti delle lettere per tutto il primo anno di Università e poi ci siamo persi di vista. Era uno dei più bravi della classe in generale, ma era sicuramente il più bravo in italiano (che in un istituto tecnico è considerata quasi un’inutilità) iscritto all’università dopo un anno l’ha abbandonata e si è trasferito a Bergamo per lavoro. Per uno strano caso della vita ci siamo ritrovati dopo quasi trent’anni ed è diventato il beta reader dei miei primi quattro romanzi. È lui che mi ha dato notizie degli altri compagni di scuola e ho scoperto che ha sposato la ragazza con cui stava ai tempi della scuola, Rosanna, sorcina della prima ora come me appassionata di Zerolandia, anche lei compagna di classe, di cui mi parlava sempre nelle sua lettere, preoccupato del fatto che vivesse in un’altra città universitaria lontana da lui. Alla fine il loro amore ha superato gli anni, la lontananza e tanti altri problemi. Ci siamo rivisti una volta che sono venuti a Bologna da Bergamo per un week end ed è stato piacevole ritrovarsi e parlare dei vecchi tempi. Ora il nostro rapporto si mantiene prevalentemente via mail e via Facebook.  

Poi c’era Lorenzo che si era iscritto a Bologna alla facoltà di Economia come me, per il primo anno ci siamo ritrovati a lezione insieme, poi avendo un piano di studio diverso ci siamo persi di vista, dopo la laurea è tornato in Puglia e oggi è un affermato commercialista. E poi ci sono altri visi che riaffiorano dai ricordi dei banchi di scuola, Soccorsa la mia compagna di banco, bellissima e con il solo desiderio di raggiungere il diploma per sposarsi e creare una famiglia, desiderio ampiamente realizzato, Maddalena che ho ritrovato a Bologna per caso perché sua figlia vive e lavora qui, dimostrando ancora quanto il mondo sia piccolo, Maria Assunta e l’altra Angela del terzo banco. Poi ci sono i volti ben fermi nella memoria di cui però non afferro più i nomi, eppure resta nitido il loro carattere perché cinque anni vissuti insieme, tra i banchi di scuola, lasciano un’impronta indelebile.

E vi lascio con la canzone di Antonello Venditti che ha accompagnato i miei ricordi scolastici di sempre ed è il manifesto di un’epoca, ancora molto attuale per il sentimento di nostalgia che suscita 


Fonti immagini: Pexels