mercoledì 30 dicembre 2020

Letture del 2020

 

(immagine da Pexel)

Quest'anno è stato faticoso per tutti, per non parlare di coloro che hanno perso un proprio caro a causa del virus. Tuttavia, mai come quest'anno, le letture sono state una grande consolazione, soprattutto per coloro che si sono ritrovati con uno inaspettato tempo libero, peraltro non desiderato, visto che andava a scapito del proprio lavoro. Non è stato il mio caso che ho continuato a lavorare più o meno con gli stessi ritmi in telelavoro e in presenza.

Tornando alle letture cercando di tener fede a un buon proposito ho letto un classico, Delitto e castigo di Dostoevskij, non è stata una lettura del tutto semplice per me, ho apprezzato il libro, ma mi sarebbe piaciuto che contenesse una maggiore introspezione psicologica del protagonista.

Altri libri difficili sono stati Spillover di David Quammen e Strage di Loriano Macchiavelli.

"Spillover" è stato un saggio molto interessante sull'evoluzione delle pandemie verificatesi fino al 2012, un monito su quello che sarebbe potuto accadere ed è effettivamente accaduto 8 anni dopo, nel 2020, non per niente questo saggio è stato pubblicato in versione eBook nel marzo 2020.

"Strage" invece è stato un testo difficile da leggere perché l'autore credo abbia messo dentro troppe storie e un'ipotesi in cui non mi ritrovo molto, ma mi è stato utile leggerlo in questo anno difficile in cui cadevano diversi anniversari, quarant'anni di tragedie italiane, tutte nello stesso anno, il 1980, l'inizio di un decennio che avrebbe segnato un periodo di leggerezza dopo gli anni bui del terrorismo e delle contestazioni.

Non riesco a fare una classifica dei libri letti, posso dire che ho apprezzato molto i libri scritti dai miei amici blogger e che, nel complesso, ha prevalso il genere thriller sul genere rosa, anche perché, lo ammetto, negli ultimi tempi le storie d'amore mi coinvolgono meno. Tra i thriller ho letto romanzi di autori inglesi e americani che non ho amato troppo, non perchè fossero scritti male, piuttosto perché erano storie che scadevano troppo nel macabro, insomma, non credo che un buon libro, per creare suspense, debba necessariamente indugiare sui particolari raccapriccianti. Ho riscoperto invece Donato Carrisi del quale avevo letto nel 2014 "Il suggeritore" che avevo trovato troppo cupo, invece i suoi romanzi ambientati in Italia mi piacciono molto di più. Vince su tutti il nuovo autore che ho scoperto di recente: Riccardo Bruni, praticamente quest'anno ho letto quattro suoi libri e ho appena iniziato il quinto romanzo. Mi ricorda un po' lo stile di Carofiglio, con le riflessioni sulla vita dei personaggi e la sua vena leggermente malinconica. 

LETTURE 2020
1. Le due facce della vita di Nadia Banaudi
2. Non è tutto oro di Valeria Corciolani 
3. La mano sinistra del diavolo di Paolo Roversi 
4. Amore di mamma di Sarah Flint 
5. Una ragazza malvagia di Alex Marwood 
6. Il giro della morte di Renato Mite 
7. La casa delle voci di Donato Carrisi 
8. Il giallo di villa nebbia di Roberto Carboni
9. Un ristretto in tazza grande di Federico Maria Rivalta 
10. La voce del mare di Emily Pigozzi 
11. Bologna destinazione notte di Roberto Carboni 
12. Colpevoli di innocenza di J.S. Monroe 
13. La primavera torna sempre di Lorenzo Marone 
14. Storie di scrittori di Ariano Geta 
15. Gli insospettabili delitti della casa in fondo alla strada di Alex Marwood 
16. Il segno mancante di Federico Maria Rivalta 
17. La stanza degli ospiti di Dedra San Mitchell
18. Sarà il nostro segreto di Maria Teresa Steri
19. La promessa del buio di Riccardo Bruni
20. L'amore ai tempi del covid-19 di Antonio Manzini
21. Non esiste saggezza di Gianrico Carofiglio 
22. Oscuri segreti di famiglia di Alex Marwood
23. Consegna a Greentown di Renato Mite 
24. La stagione del biancospino di Riccardo Bruni
25. La ragazza che ascoltava De André di Sandra Faé
26. Spillover di David Quammen
27. Aurora nel buio di Barbara Baraldi  
28. Tre cadaveri di Raffaele Malavasi 
29. Veronica c'è di Grazia Gironella 
30. Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij
31. Una sera di foglie rosse di Riccardo Bruni
32. Due omicidi diabolici di Raffaele Malavasi 
33. Di questo e altri mondi di Riccardo Bruni
34. Per un bacio e molto più di Monica Brizzi 
35. Strage di Loriano Macchiavelli 
36. Come tracce sulla sabbia di Federico Maria Rivalta 
37. L'uomo del labirinto di Donato Carrisi 
38. Tutti gli amori imperfetti di Grazia Gironella 

 

domenica 20 dicembre 2020

Il prezzo della democrazia

 
 (Pixabay )

Ho ritrovato questo post in bozza scritto sull'onda emozionale dell'attentato terroristico del 17 agosto 2017 a Barcellona.
Non so perchè alla fine non l'avevo pubblicato, forse mi sembrava un argomento troppo politico o, forse, semplicemente non ho avuto tempo ed è rimasto lì, nel limbo del blog.
 
Tuttavia rileggendolo mi sembra che le argomentazioni di allora siano ancora attuali, soprattutto in un anno in cui il nostro mondo è stato così scosso dalla pandemia a causa della quale molte libertà, che sembravano scontate, sono state messe in discussione per urgenti necessità di salute pubblica.

Ecco cosa avevo scritto: 

In questo ferragosto macchiato di sangue da nuovi attentati la mia mente è stata assalita da diverse considerazioni non troppo piacevoli.
Il mio primo pensiero riguarda l'abitudine con cui ho assimilato la notizia, è terribile ma non ho provato subito lo stesso grande orrore del Bataclan e dell'attentato in Costa Azzurra. Già questo mi ha fatto male, l'idea che forse ci stiamo abituando al terrore. 
Poi ho seguito le notizie e lo sgomento e la rabbia mi sono arrivati addosso con forza. Penso allo strazio di quelle vite spezzate e alle loro famiglie, e mi si spezza il cuore.
Ma non è di questo che voglio parlare, non solo di questo almeno. 
Vorrei cercare di capire come siamo arrivati a tutto questo odio. Così vado a ritroso a quello che è sembrato l'inizio di tutto, ossia quell'undici settembre a New York, l'odio c'era già allora, contro un'America che parlava di libertà e intanto vendeva le armi per le guerre mediorientali.
Segui il denaro, la celebre battuta di quel fantastico film intitolato Tutti gli uomini del presidente, il controllo sul petrolio, sulle energie e quindi sull'economia.
Forse è tutto lì, forse è solo questo, il controllo economico, infatti i musulmani di Dubai non mi sembra facciano attacchi terroristici. Ma questi sono solo miei pensieri, non ho fatto nessuna ricerca.
 
Il fatto è che la democrazia occidentale, che appare come l'accesso al paradiso in terra, ha un notevole costo, non è scontata come può sembrare a chi guarda dall'altra parte del mondo. 
Essa è prima di tutto una grande evoluzione culturale, capire che la libertà non può dissociarsi dal rispetto e dall'impegno
Questo è un concetto che troppo spesso sfugge proprio a chi in democrazia ci vive, prova ne sono gli attacchi sui social quando qualcuno esprime un parere non troppo popolare, perché ci stupiamo allora dell'intolleranza di chi vive una cultura completamente agli antipodi? 
 
La bozza terminava qui e oggi mi chiedo a che punto sia la nostra democrazia. Mi sembra che in questo difficile anno sia stata messa a dura prova e nonostante tutte le restrizioni forse ci sentiamo ancora abbastanza liberi. Oppure la nostra sensazione di libertà si è un po' appannata?
E tra i costi della democrazia c'è anche il fatto che la pandemia è ancora in corso? 
Le restrizioni hanno dovuto tener conto dei giusti interessi di molti e questo dover contemperare le esigenze economiche (e non solo) di tutti ha portato un rallentamento che non ha permesso un intervento incisivo e potente sul diffondersi del contagio.

Al di là di ogni considerazione, penso che la democrazia sia ancora un bene da difendere con tutte le forze, anche se qualche aggiustamento credo sia necessario; per esempio, uno stato democratico deve comunque salvaguare i piu deboli, anche quelli che non possiedono adeguate basi economiche per curarsi e per vivere in maniera dignitosa. 
La libertà di mercato non può sostituire la dignità della persona umana e questa, probabilmente, è una delle più importanti libertà che una democrazia dovrebbe sostenere, visto che è stato già ampiamente dimostrato che il capitalismo non costituisce affatto la panacea di tutti i mali, come qualcuno voleva sostenere. 

Oggi più che mai questo si rende necessario e, in prossimità di questo Natale in costrizione, questo mi sembra un buon messaggio da dare.
 
Buon Natale a tutti.

                                                                            (Pexel)



domenica 13 dicembre 2020

La nostra realtà è fantascienza

 

Qualche sera fa ho visto un film su Rai 4 intitolato Seven sisters, era già cominciato, ma siccome non c'era niente di meglio sugli altri canali e, stranamente, non ero ancora crollata dal sonno sul divano mi sono messa a vederlo e sono stata letteralmente catturata. Era ambientato in una società distopica nel 2073, insomma tra qualche anno, e quando ho finito ci ho ripensato a lungo. Quel film mi è rimasto così impresso che nel lungo week end dell'Immacolata me lo sono rivisto su Rai Play, stavolta dall'inizio.
Ecco uno stralcio della storia da Wikipedia:
 
Nel 2073 il pianeta si trova in una situazione di sovrappopolazione dovuto a un critico aumento dei parti gemellari e plurigemellari, a loro volta sopraggiunti a causa degli effetti collaterali dei nuovi ortaggi OGM introdotti per scongiurare la fame nel mondo. Per combattere la sovrappopolazione il governo della Federazione Europea, sotto la spinta dell'attivista ecologa conservativa Nicolette Cayman, instaura la legge del figlio unico, secondo la quale tutti i fratelli e sorelle vengono prelevati da un organo preposto, chiamato "Bureau per il controllo delle nascite" (Child Allocation Bureau, CAB), ibernati e messi in stato di sonno criogenico, nel quale resteranno in attesa di una soluzione al problema; inoltre a ogni persona viene consegnato un bracciale speciale contenente tutti i dati di quella persona e un localizzatore. 
In questo contesto, Karen Settman muore di parto dando alla luce, in una clinica abusiva, sette gemelle omozigote che vengono nascoste e allevate da suo padre Terence. Egli dà a ognuna il nome di un giorno della settimana e permette loro di uscire di casa nel giorno corrispondente al loro nome. Fuori dalle mura di casa esse condividono l'identità della madre Karen Settman. Un sabato Giovedì esce di nascosto dal nonno e dalle sorelle per andare a giocare con lo skateboard e ha un incidente che le provoca la perdita di una falange dell'indice sinistro: Terence è dunque costretto a recidere la stessa falange alle restanti sorelle.  
Le sette sorelle, identiche fisicamente in tutto e per tutto, hanno sviluppato fin da bambine caratteri (e look) differenti: Lunedì è sicura di sé e cinica; la debole Martedì trova conforto alla pazzesca situazione assumendo droghe, al contrario di Mercoledì che si rifugia nell'allenamento fisico esasperato; l'esuberante Giovedì ha un difficile carattere ribelle; la geniale Venerdì è la più timida delle sette (nonché esperta hacker); Sabato invece parrebbe la classica femme fatale; Domenica la più dolce e materna del gruppo.
 
Non vi riporto il resto perchè potreste avere voglia di vedere il fim, ma questo film diventa lo spunto per qualche considerazione. Le sette sorelle fingono di essere una sola persona per poter vivere ed evitare di essere ibernate per un tempo infinito...
Inutile dire che il finale riserverà diverse sorprese, ma non è di questo che voglio parlare.

Insomma qualche domanda è d'obbligo, siamo davvero così lontani dalla realtà? 
 
Quando Orwell scrisse 1984 era il 1948 (il titolo deriva dall'inversione delle ultime cifre), poi fu pubblicato nel 1949, eppure ha immaginato un mondo dove il grande fratello controllava tutto nella società e non è così distante dal mondo attuale in cui viviamo.
Oggi in fondo il mondo viene controllato da un grande fratello mascherato da tecnologia attraverso i vari social e le profilazioni di Google. 
Pensate che una volta ho scaricato un documento sul computer dell'ufficio, a cui accedo attraverso il mio account di lavoro, e mi sono ritrovata quello stesso documento tra i documenti word del mio iPad, insomma una specie di magia...nera. 
Deve essere perché quando ho installato la app per le video chiamate sull'iPad nel periodo dello smart working ho usato l'account aziendale e questo è il risultato, spero sia questo il motivo e non la magia nera.
Comunque tornando al nostro mondo distopico, mi sono chiesta quanto la nostra realtà sia distante effettivamente dal mondo di fantasia concepito in alcuni film o romanzi.
C'è stato quel film profetico intitolato Contagion che mostrava un mondo invaso dalla pandemia di un virus letale che si diffondeva con il contatto. Ma davvero la pandemia attuale era così imprevedibile? 
L'organizzazione mondiale della sanità aveva da tempo lanciato l'allarme sul rischio ma nessuno aveva ascoltato, anzi nessuno aveva voluto ascoltare. 
Oggi la manipolazione delle informazioni è sotto gli occhi di tutti, le notizie più incredibili sono tutte fake news oppure no? Abbiamo abbastanza elementi per identificarle? 
Chissà, nel film Seven sisters l'informazione dava comunicazioni rassicuranti sul destino dei gemelli, ma era davvero così? se volete scoprirlo potete vederlo su Rai Play o sui canali che volete.
La sovrappopolazione è una realtà concreta contro cui stiamo combattendo già da tempo.
So per esperienza che chi scrive trova molto spunti dalla realtà, poi è chiaro che la realtà viene ricamata con la propria creatività, ma spesso quello che parte come una fantasia diventa molto vicino al mondo concreto.
Spinta dalla curiosità sono andata a cercare su Google i film distopici più famosi, ve ne cito solo un paio, quelli che secondo me hanno trovato un certo inquietante riscontro nella nostra realtà.

Fahrenhait 451 di Bradbury scritto nel 1953.
Uno stralcio da wikipedia:
Ambientato in un imprecisato futuro posteriore al 1960, vi si descrive una società distopica in cui leggere o possedere libri è considerato un reato, per contrastare il quale è stato istituito un apposito corpo di vigili del fuoco impegnato a bruciare ogni tipo di volume.
 
Oggi i libri non vengono bruciati, ma la cultura sembra sempre più in pericolo, c'è sempre meno considerazione per essa e troppo spesso prevale la cialtroneria.
Sembra vietato pensare con la propria testa, c'è sempre qualcuno che ti vuol spiegare cosa pensare e cosa dire e ti bombarda con notizie e informazioni ridondanti, i media sovente costituiscono una distrazione dai problemi più importanti.
Insomma siamo abbastanza vicini a qualcosa di simile, i libri rappresentano la nostra libertà di pensiero e la nostra cultura.

Cecità di José Saramago pubblicato nel 1995

Stralcio breve della trama da wikipedia 
In una città mai nominata, all'improvviso molte persone cominciano a perdere la vista, sembra a causa di un virus.
L'epidemia si diffonde in tutta la città e il governo del paese decide, provvisoriamente, di rinchiudere i gruppi di ciechi in vari edifici, allo scopo di evitare il contagio. Ogni giorno le guardie avrebbero fornito il cibo agli internati, ma ben presto anche le guardie vengono colpite dalla malattia e la situazione del paese degenera e cade nel caos completo.

Il tema fondamentale del romanzo è quello dell'indifferenza, che esplode con il dilagare della cecità, ma che era già presente prima degli avvenimenti in questione.

Lo stesso scrittore, nel discorso fatto in seguito all'assegnazione del Premio Nobel, ha sottolineato come la società contemporanea sia cieca poiché si è perso il senso di solidarietà fra le persone.

Mi sembra che queste brevi note si commentino da sole, rispetto alla nostra moderna società, peraltro il tema di un virus misterioso che colpisce all'improvviso è terribilmente attuale.

Ci sono molti altri romanzi (e parecchi film) che, in qualche modo, hanno anticipato in modo inquietante la realtà.

Quali romanzi o film vi vengono in mente di questo genere?


Fonti testi
Wikipedia 

Fonti Immagini
Pixabay

lunedì 7 dicembre 2020

Tattabum

 
Lo sai che più si invecchia, più affiorano ricordi lontanissimi, come se fosse ieri 
(Franco Battiato) 

La nostra classe era una prima media anomala, era la prima F e mancava la seconda e la terza.
Era l'unica classe mista composta da maschi e femmine, tutte le altre sezioni erano solo maschili o femminili, era infatti una classe di transizione, in seconda media le ragazze sarebbero passare alla sezione femminile e i ragazze a una sezione maschile. All'epoca, nel 1975, era così, solo alle superiori avremmo avuto una classe mista senza che nessuno se ne stupisse. 
Ma torniamo alla prima F, i ragazzi o i forse dovrei dire i bambini, visto che avevano quasi tutti undici anni, salvo qualche ripetente, insomma i bambini erano la minoranza, le bambine un po' di più.
Quelle classe si era formata perché, al termine della quinta elementare, i promossi e gli iscritti alla prima media non raggiungevano un numero sufficiente per fare una classe solo maschile o femminile, oppure eravamo troppi per essere inseriti nelle altre sezioni.
Comunque sia, questa strana classe doveva andare avanti e noi avevamo dei buoni insegnanti.
Ricordo la professoressa di italiano che era severa ma di buon cuore, sembrava dura ma alla fine aveva sempre un atteggiamento dolce con tutti e poi ricordo la professoressa di inglese che era bellissima, una vera bomba sexy, con lunghi capelli neri, alta, magra e sorridente, una giovane donna appassionata all'insegnamento. Tutti studiavamo inglese volentieri perché lei era adorabile. 
 
Non ricordo gli altri insegnanti della prima media, non ho di loro neanche un ricordo nebuloso, pensare che ricordo bene le suore dell'asilo, ma gli altri professori della prima media proprio no, forse perchè erano gli stessi professori che ho trovato in seconda media e che, invece ricordo bene. 
Non so, è una teoria, ma la memoria fa strani scherzi.
Altro vuoto di memoria riguarda le bambine di quella classe, non le ricordo.
È probabile, anche in questo caso, che me le sia ritrovate in seconda media, ma ho il vuoto assoluto. 
 
Ricordo bene invece alcuni bambini.
 
Federico era il più bravo, sempre in ordine, con il grembiule perfettamente stirato e un fiocco azzurro perfetto, lui doveva avere una buona famiglia
C'era Edoardo, ero il bambino più bello, ripetente di un anno, anche lui abbastanza in ordine ma sempre con l'aria triste.
Poi c'era lui, il ragazzo ripetente più volte, avrà avuto tredici anni, a noi bambine sembrava troppo grande anche per entrare nel banco.
Il suo grembiule era sempre sgualcito e troppo corto, Non parlava con nessuno, aveva sempre gli occhi bassi e la faccia arrabbiata. E aveva perfino un po' di barba, una peluria leggera sulla faccia che rimarcava ancora di più la sua età. Non ricordo il suo nome, forse si chiamava Giovanni o Antonio, lui aveva per tutti noi un solo nome, Tattabum, così lo chiamavano gli altri ragazzi per farlo arrabbiare. 
Ero un nomignolo onomatopeico crudele perché quel ragazzo grande e grosso, con già la barba in faccia, non riusciva a parlare, ogni frase per lui era un supplizio, perchè era balbuziente. 
 
I bambini sono terribilmente spietati e lui ogni volta che veniva interrogato la sua difficoltà di linguaggio suscitava l'ilarità della classe, senza nessuna pietà.
 
Ogni volta che qualcuno dei bambini lo chiamava con quell'appellativo ignobile lui si alzava dal banco e lo andava a riempire di pugni, in questo il più forte era lui.
Il bello era che anche il bambino che veniva picchiato si sbellicava dalle risate.
Questa cosa faceva divertire tutta la classe finché non arrivava la professoressa di italiano che cominciava a urlare e li prendeva per le orecchie finché non riusciva a separarli.
 
"Tu sei grande e grosso, rischi di far del male sul serio" diceva la professoressa.
"E voi invece smettetela di farvi beffe di Giovanni" aggiungeva rivolta a quegli altri.
Forse si chiamava davvero Giovanni.
 
Della prima media ricordo queste scene tra commedia e tragedia.

Un giorno Edoardo fu interrogato e capimmo il motivo della sua tristezza.
La professoressa ci aveva dato un tema sulla famiglia, non ricordo bene, forse parlava del Natale o qualcosa del genere, ma Edoardo raccontò, nel tema, che aveva passato il giorno di festa con i suoi fratelli e una zia, perché suo padre non c'era più e sua madre lavorava perchè faceva l'infermiera e lavorava spesso anche nei festivi. 
La professoressa di italiano si commosse, nonostante il tema fosse scritto in un italiano non perfetto, sull'onda dell'emozione, diede un voto molto alto a Edoardo, gli fece una carezza e gli disse che suo padre lo guardava dal cielo ed era orgoglioso di lui. 
Da quel giorno tutti noi capimmo meglio gli occhi tristi di Edoardo, ma nessuno riusciva a capire Tattabum, lui restò chiuso nel suo mondo per tutto l'anno scolastico, aspettava che finisse per terminare la scuola dall'obbligo e andare a lavorare.
 
Ora, non so perchè mi stanno tornando alla mente queste vecchie storie di vita vissuta, forse perchè come dice Battiato, più si invecchia più affiorano i ricordi, oppure perchè in questo anno difficile, si fanno riflessioni sulla vita che traggono spunto anche da ricordi lontani.
 
Così ho ripensato a Giovanni (chiamiamolo così), alla sua difficoltà di linguaggio e a come deve essere stata difficile la sua vita soprattutto in quell'anno scolastico.
Ricordo però che, nonostante tutto, verso la fine dell'anno,  tra i ragazzi, compreso Giovanni, si fosse creata una certa unione, quindi mi piace pensare che quell'anno non sia passato invano.
 
 
Fonti immagini
Pixabay