sabato 21 settembre 2019

Aiuto ho il burnout!


Dopo quasi tre settimane di ferie in agosto, il giorno prima del rientro sono stata assalita dallo sconforto. Mi dava fastidio l'idea di tornare al lavoro, stare due giorni a leggere le mail che si sono accumulate e fare subito le attività più urgenti (quelle urgenti già dal giorno prima di quando veniva manifestata l'urgenza).
Mi dada fastidio anche l'idea di rivedere i colleghi, perfino quelli più simpatici.
Insomma una vera crisi di sconforto.
Così mi sono ricordata di un articolo letto su donna moderna tempo fa che parlava del "burnout" una vera e propria sindrome che colpisce soprattutto le donne a causa del lavoro...chissà perché le donne, forse perché lavorano sempre su più fronti? 
Vi sentite stanchi e depressi con la sensazione che il lavoro vi stia schiacciando e che si sia impossessato di ogni aspetto della vostra vita togliendovi tutte le energie? 
Potreste essere vittime della sindrome da burnout, oggi riconosciuta ufficialmente dall'organizzazione mondiale della sanità.
I sintomi principali sono:
Ci si sente scarichi di energie, desiderosi di stare soli, insicuri nello svolgimento del proprio lavoro.

A quanto pare l'effetto, per gli uomini, è che si sentono sempre più spersonalizzati, mentre, per le donne, è soprattutto un esaurimento emotivo che le rende continuamente spossate, con un grande senso di impotenza perché qualsiasi cosa venga fatta non è mai abbastanza. 
In pratica si tratta di un processo di alienazione, di estraneamento che porta a un deterioramento delle emozioni associate al lavoro (ce l'ho), un problema di adattamento tra la persona e il lavoro a causa delle eccessive richieste di quest'ultimo (ce l'ho), una sensazione di schiacciamento nei confronti del lavoro perché sembra che non si faccia mai abbastanza (ce l'ho). 
L'elenco potrebbe continuare ma mi fermo perché tanto ho reso l'idea. Lo stress è una condizione positiva se si sostiene per un breve periodo, nei momenti in cui la nostra attenzione deve essere alta perché cominciamo una nuova attività, oppure c'è un evento importante, ma se il livello di stress è sempre al massimo allora non è più un fattore positivo, ma diventa del tutto negativo e può sfociare nel burnout, o nella follia. 
All'inizio questa sindrome sembrava circoscritta alle professioni di aiuto (medici, infermieri, operatori sanitari, forze dell'ordine, assistenti sociali, operatori del volontariato ecc) a quanto pare aiutare gli altri non fa poi così bene, ma questo succede quando ci si fa un carico eccessivo delle problematiche connesse al proprio lavoro.
Gli ultimi studi hanno dimostrato che questa sindrome invade allegramente (si fa per dire) tutti i campi lavorativi e quindi anche quelli in cui non avrebbe dovuto esserci. 
Questo comporta insonnia (ce l'ho) e depressione (non so se ce l'ho ma potrei esserci vicina), un senso di ridotta realizzazione personale (ce l'ho).
Tra le cause del burnout cito in particolare quelle in cui mi ritrovo
-il sovraccarico di lavoro: questo si spiega da solo;
-senso di impotenza: quando il proprio lavoro sembra inutile perché non porta a una reale soluzione dei problemi. Ho passato luglio e metà del mese di agosto a cercare di risolvere dei problemi lavorativi connessi ad alcuni contratti e alla fine - dopo incontri e riunioni e meningi (le mie) spremute fino all'inverosimile, non siamo riusciti a trovare una quadra;
-mancanza di controllo: sensazione di non avere il controllo sulle risorse necessarie per svolgere il proprio lavoro (il settore che dirigo ha cinque persone, ma ne servirebbero il doppio).

Soluzione (illusoria) per liberarsi dal burnout:
Licenziarsi e abbandonare il lavoro mandando tutti a quel paese urlando: da oggi in poi vi arrangiate!
Questa sarebbe la mia soluzione, la sola idea mi manda in estasi.

Se potessi farlo lo avrei già fatto già alcuni anni fa, quando il lavoro è diventato per me una gabbia soffocante in cui mi manca sempre più il respiro e da quando mi sono resa conto che, anche se mi fermo al lavoro fino alle otto di sera con straordinari non pagati (lo specifico perché ho un contratto così) non serve a niente 
-perché non riesco a mettermi mai in pari;
 -perché salta sempre fuori un problema nuovo mentre stai cercando una soluzione a un problema vecchio e quindi i problemi irrisolti raddoppiano;
 -perché chi dovrebbe decidere - che non sono io - non decide, ma alla fine decide qualcun altro assumendosi delle responsabilità per le quali non è pagato; 
-perchè la mole di lavoro è eccessiva rispetto alle forze di cui dispongo; 
 - perché nessuno riesce a capire che "presto e bene non stanno insieme".

Nonostante questa mia notevole consapevolezza, non posso licenziarmi perché ho bisogno di pagare tutte le mie bollette (e quelle di qualcuno altro che mi grava sul groppone, ma questa è un altra storia), vediamo quindi quali sono le altre possibili soluzioni:
-ritagliarsi del tempo per sè senza sensi di colpa: sappiate che io il senso di colpa nei confronti del lavoro non ce l'ho più da tempo (anche perché per fare di più di quello che faccio dovrei dormire in ufficio, eh no questo proprio no)
-distaccarsi a livello emotivo dal lavoro smettendo di inseguire la performance perfetta a tutti i costi 
-essere indulgenti con se stesse e prendersi cura di se, magari imponendosi di uscire in orario.

Questi consigli sono validi, sempre che si riesca a seguirli, cosa non semplice.
Per fortuna, il distacco emotivo dal lavoro lo ottengo anche grazie alla scrittura che mi porta a spaziare con la mente in altri orizzonti. 
Anche una bella lettura può aiutare o un bel film liberatorio come quello che vi riporto sotto oppure dedicarsi ad altre attività piacevoli nel poco tempo libero che ci resta.


Voi cosa dite? Avete altri suggerimenti?



Fonti testi
Donna moderna n. 29 del 4/7/2019
Wikipedia 

Fonti immagini
Pixabay 
Wikipedia (logo italiano del film)

sabato 14 settembre 2019

Il mondo narrativo

Ho letto tempo fa una interessante newsletter di Stefania Crepaldi che sottolinea l'importanza del mondo narrativo di un romanzo citando i noir di Loriano Machiavelli che ambienta le sue storie a Bologna. E pensare che non avevo mai letto nulla di questo autore, pur conoscendolo di fama, anche perché ha scritto spesso a quattro mani con Guccini di cui sono una appassionata fan (o meglio lo ero, perché adesso lo ascolto molto meno, pur apprezzandolo ancora).
Bologna ben si presta come mondo narrativo per molti motivi, i suoi portici, i suoi vicoli, i suoi misteri (di misteri e di storie noir nella realtà Bologna ne ha avute tantissime). 
Comunque sto tentando di recuperare la lettura dei romanzi di Loriano Macchiavelli per curiosità e perché ho scoperto che il suo personaggio, Antonio Sarti, è quel poliziotto fantastico piuttosto "scartolato" - quasi un precursore di Coliandro - interpretato da Gianni Cavina nella serie - andata in onda tra il 1991 e il 1993 - intitolata L'Ispettore Sarti - un poliziotto, una città (se non conoscete Gianni Cavina vuol dire che siete parecchio giovani, comunque è un attore molto amato da Pupi Avati e qualche anno fa ha interpretato la figura del padre nella serie TV Una grande famiglia).
Comunque la serie dell'ispettore Sarti era ambientata negli anni novanta a Bologna e mi piaceva molto proprio per la sua ambientazione e la simpatia del poliziotto che, nonostante tutto, riesce sempre a risolvere i suoi casi...
Anche il video vintage della sigla della serie televisiva scritta e cantata dallo stesso Cavina rende l'atmosfera della storia e dei suoi personaggi.


Come affermava Stefania Crepaldi molti autori ambientano i loro romanzi in luoghi esotici, magari all'estero, forse senza esserci mai stati, ma questa può non essere un'idea felice perché raccontare di un luogo che si conosce può essere più vantaggioso e rendere il romanzo più suggestivo. Raccontare un luogo attraverso le sue atmosfere e le sue sfumature può davvero donare molto a una storia.

Inoltre l'Italia, soprattutto negli ultimi tempi, è stata un po' riscoperta dalla letteratura, dopo le abbuffate di film americani, le ambientazioni italiane vengono sempre più apprezzate. Già nelle fiction TV, per esigenze contingenti, la provincia italiana è stata spesso usata come ambientazione. Posso citarvi diversi casi.
Per esempio, mentre ero in ferie, ho riguardato le puntate in replica del Maresciallo Rocca ambientate a Viterbo (da quando sono stata nella Tuscia mi sono innamorata di quei luoghi), la serie si fa apprezzare per l'interpretazione di un bravissimo Gigi Proietti, ma anche per il contesto narrativo, Viterbo e i suoi dintorni. 
Viterbo, un vicolo

L'Italia è così variegata,  così intensa, che ogni luogo può essere il perfetto mondo narrativo di un romanzo. 
Possiamo citare la Napoli di Maurizio De Giovanni e di Elena Ferrante, l'isola d'Elba dei delitti del Bar Lume dei romanzi di Marco Malvaldi. La Sicilia di Montalbano, il Friuli di Ilaria Tuti. 
C'è solo l'imbarazzo della scelta per scegliere il mondo narrativo italiano che può essere davvero il proprio mondo...quello in cui si vive o comunque quel mondo che si conosce bene, perché ciò che è importante in un romanzo non è la fredda descrizione dei luoghi ma trasmetterne le atmosfere.
Per esempio nel mio romanzo (non per essere megalomane, ma solo perché mi hanno detto che questa atmosfera è resa molto bene...) Fine dell'estate, ambientato a Fiorita, nome di fantasia di una piccola cittadina del sud d'Italia, così descrivo la "controra":

“Si chiamava “controra” la fascia oraria compresa tra le due e le cinque del pomeriggio, nei pomeriggi di estate, nei pomeriggi caldi del sud. Durante la controra non era educato telefonare, o fare visite, o bussare alla porta, si evitava anche di guardare la tv o di accendere la radio, o, se lo si faceva, si teneva il volume bassissimo.
La controra mi dava la sensazione di essere sospesa nel tempo, qualunque cosa volessimo fare nella nostra giornata era rimandata almeno a dopo le cinque del pomeriggio. Era come se fosse notte fonda, anche se fuori c’erano la luce e il calore fortissimo del sole estivo, il momento più caldo della giornata.
Con gli scuri abbassati che riparavano dalla luce troppo intensa, restavo nel mio angolo a leggere o a pensare a quello che avrei fatto nel corso della serata, agli appuntamenti con le amiche, ai vestiti da indossare, ai punti di ritrovo, nell’aria finalmente più fresca della sera.
A volte mi manca quella sensazione di pace e di silenzio nella calura estiva, la sensazione di attesa, 
il tempo che avevo da dedicare ai miei pensieri o alla lettura di un libro, mi manca la sensazione del tempo che rallenta che invece ora, nella mia nuova vita, è diventato frenetico e convulso.”


Matera

Matera, cortile
Di recente ho scoperto diversi romanzi ambientati in Italia, per esempio l'ultimo è un romanzo noir di Piera Carlomagno Una favolosa estate di morte ambientato in Lucania e più precisamente tra Matera e Potenza una regione riscoperta che si presta molto bene come ambientazione di un mistero. 
Ma tornando indietro nel tempo vi ricordate lo sceneggiato Rai Ritratto di donna velata ambientato a Volterra? Insomma il mondo narrativo italiano può essere un perfetto contesto in cui ambientare la propria storia.
Siete d'accordo con me?
Avete letto qualche libro con ambientazioni interessanti italiane?


Fonti
Video: YouTube 
Immagine: le foto di Viterbo e di Matera sono mie, ricordi di viaggio



sabato 7 settembre 2019

Dieci piccoli insight

Silvia Algerino del Blog Lettore creativo tempo fa ha scritto un post molto carino,
Scrivo questo post in ritardo, ma come si dice per certe cose non è mai troppo tardi



Silvia spiega il significato degli insight molto meglio di me, ma il post traspone poi questo significato nelle piccole cose che ci fanno stare bene, insomma quelle cose apparentemente insignificanti che ci regalano un po' di benessere nel nostro quotidiano.
Leggendo il post di Silvia ho cercato di mettere a fuoco quali sono quelle piccole cose che donano alla mia vita quel quid in più...

1. L'odore del caffè che invade la cucina e il gorgoglio della moka
2. L'odore del ragù che mi ricorda la mamma con l'acuto senso di nostalgia che ne deriva, perché quell'odore mi riporta alla mia infanzia e adolescenza 
3. Poter restare a letto il sabato mattina sapendo che hai il week end davanti a te
4. Leggere un libro che mi sta appassionando
5. Tornare a casa la sera dopo l'ufficio e sapere di non dover uscire, mettersi il pigiama e godersi il meritato relax
6. Comprare una sciocchezza inutile ma che ci piace tanto
7. Ascoltare una canzone che mi piace e fingere di cantarla a squarciagola immaginando di essere su un palco stile rock star...
8. Dormire nelle lenzuola fresche di bucato e di ferro da stiro
9. Bere una schweppes lemon con il ghiaccio nelle afose giornate estive oppure un calice di vino rosso a temperatura ambiente in una sera autunno inverno 
10. Partire di mattina presto su una moto io e lui, per una giornata in libertà inseguendo il vento e quello che ci va.


La vita è breve e complicata e quindi non lamentiamoci, godiamo delle piccole cose che abbiamo e cantiamo con Caparezza (che poi anche canticchiare questa canzone è un piccolo insight che mi fa stare bene!)



Voi siete d'accordo?

Fonti:
Immagini: Pixabay
Video: YouTube

domenica 1 settembre 2019

Realtà fonte primaria di ispirazione


Un romanzo deve raccontare una storia che, pur inventata, sia verosimile.
Perfino in una storia fantasy questa caratteristica deve essere presente perché faccia presa sul lettore.
Negli ultimi tempi ho letto romanzi in cui lo spunto era nato dalla realtà, non che la cosa mi stupisca, io stessa prendo notevoli spunti dalla realtà soprattutto per i thriller. 
In Fragile come il silenzio i casi trattati dal commissario di violenza sulle donne sono basati su casi reali in cui ho opportunamente cambiato alcune dinamiche, anche se il copione sembra ripetersi sempre con la stessa costanza, purtroppo. 
Ne La sottile linea del male l'ispirazione è nata proprio dalla mia conoscenza del mondo universitario e delle sue dinamiche che mi ha fatto pensare a un personaggio come il professor Roberto Negri. 
Ne L'ombra della sera, per il killer, mi ispiro a persone reali e a studi scientifici ormai consolidati che lascio spiegare direttamente da un personaggio nell'epilogo del romanzo. Anche la storia della ragazza scomparsa in una sera d'estate nasce dalla lettura di un articolo che mi aveva profondamente colpito di una giovane donna sparita nel nulla, mentre stava raggiungendo dei suoi amici per andare a una festa, in un altro tempo e in un altro luogo. 

Ilaria Tuti nel suo thriller Fiori sopra l'inferno trae spunto da un fatto storico risalente al 1945 che l'autrice spiega nelle sue note finali. Quando leggo le spiegazioni degli autori scopro un intero universo in cui mi riconosco perché io stessa traggo ispirazione e riflessioni dalla realtà. 

La vita degli autori entra spesso nei romanzi che scrivono, per esempio Herman Melville (quest'anno Moby Dick - considerato uno dei capolavori della letteratura americana - ha compiuto 168 anni) ha lavorato diversi anni su una baleniera e l'autore di MobyDick, che aveva vissuto agiatamente i primi anni della sua vita, dopo il tracollo finanziario di suo padre, fu costretto a lavorare per mantenere la sua famiglia composta da otto figli tra fratelli e sorelle e ridotta in povertà. Nel frattempo il padre dopo la bancarotta ebbe gravi problemi di salute che lo portarono alla morte.
Tra i vari lavori che il giovane Herman svolse ci fu quella di mozzo sulla nave "St. Lawrence" dove si inbarcò nel giugno 1839 in partenza per Liverpool dal porto di New York. Dopo la traversata rientrò a New York e per i tre anni seguenti fece l'insegnante.
Dopo la lettura di Due anni a prora (Two Years Before the Mast) di Richard Henry Dana Jr. - romanzo che descriveva la dura vita da marinaio semplice di uno studente di legge - si ridestò in Herman Melville il desiderio di viaggiare tanto che si imbarcò di nuovo come marinaio, nel gennaio 1841, al porto di New Bedford (Massachusetts) sulla baleniera "Acushnet", diretta verso l'Oceano Pacifico. Il viaggio durò diciotto mesi e il romanzo sulla balena Moby Dick sembra rielaborare molti ricordi dell'esperienza a bordo della "Acushnet".

Tenera è la notte racconta in un certo senso pezzi di vita di Francis Scott Fitzgerald.
L'autore faceva parte della corrente letteraria chiamata "Lost Generation" che comprendeva un gruppo di scrittori statunitensi nati, negli anni 1890, che si stabilì in Francia negli anni venti. Tenera è la notte racconta la vita a inizio secolo di questi giovani statunitensi che vivevano in costa azzurra, in una indolente agiatezza. L'autore visse per cinque anni in Europa, dal 1924, con la moglie Zelda almeno fino al suo rientro definitivo negli Stati Uniti nel 1931.

Mi è capitato di leggere la biografia di alcuni scrittori famosi dopo aver letto i loro romanzi e di avervi trovato spesso delle attinenze con la loro vita. Ciò non vuol dire che il romanzo non sia frutto di invenzione, ma semplicemente che la vita personale influenza la scrittura in modo più o meno trasversale. Il romanzo si sviluppa su binari paralleli alla nostra vita ed è quasi inevitabile che pensieri e ricordi dell'autore finiscano tra le parole scritte sulla pagina.
Certo non è solo la propria vita vera che influenza l'ispirazione di chi scrive, spesso la fonte e, in certi casi, per fortuna, è semplicemente la realtà che ci circonda che finisce tra le pagine di un romanzo, lo scrittore, come disse qualcuno, è un ladro della vita degli altri. Si resta colpiti da una storia ascoltata o che, semplicemente, ci ha sfiorato per un attimo e nasce l'ispirazione. L'osservazione della realtà mescolata alla propria creatività e al lavoro assiduo sulle parole è la genesi di ogni romanzo. 
Insomma, scrivere può essere come guardare la realtà ogni volta attraverso un paio di lenti diverse.

Voi cosa ne pensate?



Fonti:
Immagini Pixabay
Testi Wikipedia