sabato 21 settembre 2019

Aiuto ho il burnout!


Dopo quasi tre settimane di ferie in agosto, il giorno prima del rientro sono stata assalita dallo sconforto. Mi dava fastidio l'idea di tornare al lavoro, stare due giorni a leggere le mail che si sono accumulate e fare subito le attività più urgenti (quelle urgenti già dal giorno prima di quando veniva manifestata l'urgenza).
Mi dada fastidio anche l'idea di rivedere i colleghi, perfino quelli più simpatici.
Insomma una vera crisi di sconforto.
Così mi sono ricordata di un articolo letto su donna moderna tempo fa che parlava del "burnout" una vera e propria sindrome che colpisce soprattutto le donne a causa del lavoro...chissà perché le donne, forse perché lavorano sempre su più fronti? 
Vi sentite stanchi e depressi con la sensazione che il lavoro vi stia schiacciando e che si sia impossessato di ogni aspetto della vostra vita togliendovi tutte le energie? 
Potreste essere vittime della sindrome da burnout, oggi riconosciuta ufficialmente dall'organizzazione mondiale della sanità.
I sintomi principali sono:
Ci si sente scarichi di energie, desiderosi di stare soli, insicuri nello svolgimento del proprio lavoro.

A quanto pare l'effetto, per gli uomini, è che si sentono sempre più spersonalizzati, mentre, per le donne, è soprattutto un esaurimento emotivo che le rende continuamente spossate, con un grande senso di impotenza perché qualsiasi cosa venga fatta non è mai abbastanza. 
In pratica si tratta di un processo di alienazione, di estraneamento che porta a un deterioramento delle emozioni associate al lavoro (ce l'ho), un problema di adattamento tra la persona e il lavoro a causa delle eccessive richieste di quest'ultimo (ce l'ho), una sensazione di schiacciamento nei confronti del lavoro perché sembra che non si faccia mai abbastanza (ce l'ho). 
L'elenco potrebbe continuare ma mi fermo perché tanto ho reso l'idea. Lo stress è una condizione positiva se si sostiene per un breve periodo, nei momenti in cui la nostra attenzione deve essere alta perché cominciamo una nuova attività, oppure c'è un evento importante, ma se il livello di stress è sempre al massimo allora non è più un fattore positivo, ma diventa del tutto negativo e può sfociare nel burnout, o nella follia. 
All'inizio questa sindrome sembrava circoscritta alle professioni di aiuto (medici, infermieri, operatori sanitari, forze dell'ordine, assistenti sociali, operatori del volontariato ecc) a quanto pare aiutare gli altri non fa poi così bene, ma questo succede quando ci si fa un carico eccessivo delle problematiche connesse al proprio lavoro.
Gli ultimi studi hanno dimostrato che questa sindrome invade allegramente (si fa per dire) tutti i campi lavorativi e quindi anche quelli in cui non avrebbe dovuto esserci. 
Questo comporta insonnia (ce l'ho) e depressione (non so se ce l'ho ma potrei esserci vicina), un senso di ridotta realizzazione personale (ce l'ho).
Tra le cause del burnout cito in particolare quelle in cui mi ritrovo
-il sovraccarico di lavoro: questo si spiega da solo;
-senso di impotenza: quando il proprio lavoro sembra inutile perché non porta a una reale soluzione dei problemi. Ho passato luglio e metà del mese di agosto a cercare di risolvere dei problemi lavorativi connessi ad alcuni contratti e alla fine - dopo incontri e riunioni e meningi (le mie) spremute fino all'inverosimile, non siamo riusciti a trovare una quadra;
-mancanza di controllo: sensazione di non avere il controllo sulle risorse necessarie per svolgere il proprio lavoro (il settore che dirigo ha cinque persone, ma ne servirebbero il doppio).

Soluzione (illusoria) per liberarsi dal burnout:
Licenziarsi e abbandonare il lavoro mandando tutti a quel paese urlando: da oggi in poi vi arrangiate!
Questa sarebbe la mia soluzione, la sola idea mi manda in estasi.

Se potessi farlo lo avrei già fatto già alcuni anni fa, quando il lavoro è diventato per me una gabbia soffocante in cui mi manca sempre più il respiro e da quando mi sono resa conto che, anche se mi fermo al lavoro fino alle otto di sera con straordinari non pagati (lo specifico perché ho un contratto così) non serve a niente 
-perché non riesco a mettermi mai in pari;
 -perché salta sempre fuori un problema nuovo mentre stai cercando una soluzione a un problema vecchio e quindi i problemi irrisolti raddoppiano;
 -perché chi dovrebbe decidere - che non sono io - non decide, ma alla fine decide qualcun altro assumendosi delle responsabilità per le quali non è pagato; 
-perchè la mole di lavoro è eccessiva rispetto alle forze di cui dispongo; 
 - perché nessuno riesce a capire che "presto e bene non stanno insieme".

Nonostante questa mia notevole consapevolezza, non posso licenziarmi perché ho bisogno di pagare tutte le mie bollette (e quelle di qualcuno altro che mi grava sul groppone, ma questa è un altra storia), vediamo quindi quali sono le altre possibili soluzioni:
-ritagliarsi del tempo per sè senza sensi di colpa: sappiate che io il senso di colpa nei confronti del lavoro non ce l'ho più da tempo (anche perché per fare di più di quello che faccio dovrei dormire in ufficio, eh no questo proprio no)
-distaccarsi a livello emotivo dal lavoro smettendo di inseguire la performance perfetta a tutti i costi 
-essere indulgenti con se stesse e prendersi cura di se, magari imponendosi di uscire in orario.

Questi consigli sono validi, sempre che si riesca a seguirli, cosa non semplice.
Per fortuna, il distacco emotivo dal lavoro lo ottengo anche grazie alla scrittura che mi porta a spaziare con la mente in altri orizzonti. 
Anche una bella lettura può aiutare o un bel film liberatorio come quello che vi riporto sotto oppure dedicarsi ad altre attività piacevoli nel poco tempo libero che ci resta.


Voi cosa dite? Avete altri suggerimenti?



Fonti testi
Donna moderna n. 29 del 4/7/2019
Wikipedia 

Fonti immagini
Pixabay 
Wikipedia (logo italiano del film)

29 commenti:

Sandra ha detto...

Il part-time ha parzialmente risolto una situazione che conosco bene. In azienda ormai quasi ogni giorno qualcuno si sente male x il sovraccarico e la pressione continua.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Sì, il part time potrebbe essere una soluzione. Questa estate mi sono informata su quanto mi costerebbe in termini di soldi tanto per fare un po' di conti e ho deciso che per il momento rimando a tempi migliori. In ogni caso l'ufficio del personale mi ha già detto che certe forme di part time molto spinte non mi verrebbero concesse, forse l'unica forma a cui potrei aspirare è quella che contempla un giorno alla settimana...confesso però che scrivere thriller mi aiuta tanto per abbassare lo stress

Ariano Geta ha detto...

Per esperienza personale posso dire che a volte bisogna proprio mollare un certo luogo di lavoro, se le persone che ti stanno intorno sono tossiche. Ovviamente non dico mollare su due piedi, ma cercare di nascosto un nuovo lavoro e poi dimettersi. Posso dire per esperienza diretta che in certi casi è proprio il posto il problema.
Dove lavoravo prima tornavo ogni sera a casa a pezzi, e qualcuno mi diceva: "Tu dai la colpa al lavoro, ma evidentemente sei tu che non reggi la pressione: sta pur certo che se anche cambiassi lavoro, dopo un po' ti lamenteresti pure di quello nuovo", facendomi venire il dubbio che il problema fossi io.
Ringraziando Dio ho trovato un altro lavoro e ho potuto fare un confronto tra prima e dopo per capire se davvero il problema ero io...
Ti dico solo una cosa: dove stavo prima, nell'ultimo anno di lavoro lì ero arrivato a cumulare trenta giorni di assenza per malattia, che si concretizzava in un senso di nausea e conati di vomito alla sola idea di rimettere piede in ufficio...
Dove sto adesso, nei primi quattro anni di lavoro ho fatto zero giorni di malattia. Una mattina mi hanno convocato per farmi notare che in quattro anni avevo fatto mediamente sette giorni di ferie all'anno, non potevo farne così poche, dovevo farne di più...

Ariano Geta ha detto...

S'intende che facevo così poche ferie perché al lavoro ci andavo volentieri ;-)

Giulia Lu Mancini ha detto...

Infatti Ariano, è il posto di lavoro che fa la differenza. Alcuni anni fa avevamo un dirigente, ora in pensione, che ci faceva lavorare come dei dannati, ma rendeva il clima in ufficio molto piacevole perché eravamo tutti parte di una grande squadra (almeno lui ci faceva sentire così). Anche se il carico di lavoro era notevole nessuno si lamentava, c'è da dire che lui cercava anche di farci avere dei benefit legati a un'attività straordinaria o cose del genere. E poi ringraziava sempre tutti dell'impegno. Insomma sapeva gestire il personale, anche se ovviamente aveva dei difetti anche lui. Dopo sono arrivate delle dirigenti donne che erano delle vere iene, il risultato è stato quello di far scappare via verso altri settori molti colleghi. Io ho resistito alcuni anni poi mi sono trasferita anch'io, trasferimento che mi è costato lacrime e sangue perché per sei mesi ho lavorato su due fronti finché non hanno trovato una sostituzione adeguata. In pratica per sei mesi ho lavorato con dei ritmi assurdi portandomi anche il lavoro a casa nel week end. Sono stata bene per qualche anno poi sono cambiati i vertici e hanno deciso di chiudere alcuni servizi tra cui il mio per riorganizzare un settore dal niente e mi hanno chiesto di prendere l'incarico, in un certo senso non ho avuto scelta. Purtroppo anche qui c'è una dirigente che non è il massimo (per usare un eufemismo) e quindi mi ritrovo di nuovo a soffrire. C'è anche da aggiungere che la colpa non è solo della dirigente, ma di tutto il nuovo sistema e dei nuovi vertici che fanno scelte riorganizzative sulla nostra pelle. Cambiare del tutto azienda è difficile. Ho cambiato tre volte azienda in passato e ho visto che a certi livelli è sempre troppo complicato...ho scritto un commento lunghissimo!

Marco L. ha detto...

Ciao Giulia.
Mi dispiace moltissimo leggere di questa alienante situazione che stai vivendo. A lezione su questo argomento dico sempre che "un lavoratore contento, lavora di più e lavora meglio". Un'azienda (seria) dovrebbe quindi evitare che i suoi dipendenti vivano situazioni del genere, anche solo perché ci guadagna in termini di qualità e quantità di lavoro. Oltre ovviamente a evitare un danno di immagine. Con la salute ci guadagnano tutti, azienda e lavoratori.

Mi permetto però di dirti, da persona che per lavoro si occupa anche di questi argomenti, che quanto hai descritto non è il burn-out, bensì lo stress-lavoro correlato. Che non è assolutamente da minimizzare o prendere alla leggera, per carità, ma il burn-out è un'altra cosa, in particolare nella reazione psicologica che ne consegue.

Luz ha detto...

Mi sono occupata di burnout sul mio blog, quattro anni fa, ispirata da alcuni colleghi docenti in "sofferenza psichica". Concordo con Marco, quella che descrivi non è la patologia vera e propria, perché quella è proprio gravissima. Il comparto docenti è molto esposto, negli anni ho capito che in particolare lo è quello della scuola dell'infanzia e primaria.
Io faccio molta attenzione a non andare in quella pericolosa direzione, dosando le situazioni in cui procurarsi pericolosi livelli di stress è facilissimo, al punto che nemmeno te ne accorgi.
La scrittura, come te, e il teatro, la lettura, sono rimedi necessari.

Grazia Gironella ha detto...

Niente suggerimenti, però sento una certa energia nella tua insoddisfazione. Forse non è sempre disponibile, ma quando c'è ti aiuta... spero!

Nadia Banaudi ha detto...

E far entrare nella squadra qualcuno in più? Stagista per esempio. Un alleggerimento di lavoro potrebbe aiutare e sostituire il vi mollo tutti che mi pare alleggiare per aria. Forza Giulia! Leggi dentro di te cosa vuoi davvero se cambiare o continuare e la soluzione arriverà

Giulia Lu Mancini ha detto...

Ciao Marco.
Sì, credo che il mio sia solo un forte stress, però il senso di soffocamento che provo ormai da un bel po' di tempo mi fa temere che questo stress degeneri. Un'azienda seria dovrebbe pensare al benessere dei propri dipendenti che lavorerebbero meglio e di più. Il punto è esistono ancora le aziende serie? Molte si spacciano per tali e poi ti chiedono la luna da raggiungere con la mongolfiera, poi ti fanno anche fare dei corsi su come gestire il cambiamento, credendo di risolvere la situazione. Non è così che funziona. Se servono più persone per mandare avanti una baracca, servono e basta. Poco tempo fa ho presentato domanda di trasferimento per un altro settore, allarmati mi hanno promesso due persone. Per il momento aspetto di vedere come finisce, ma non ritiro la domanda. Però è sconfortante combattere per poter svolgere bene il proprio lavoro.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Sì, infatti il titolo 'aiuto ho il burnout' è provocatorio, forse non ho il burnout ma la sofferenza psichica c'è tutta, in certi momenti mi sentivo così depressa che ho addirittura pensato che non valesse la pena vivere...
La scrittura mi aiuta perché spesso scarico certe tensioni sulla carta.

Giulia Lu Mancini ha detto...

L'energia che mi arriva dalla mia insoddisfazione la metto spesso nella scrittura, soprattutto nei thriller. Far morire qualcuno appartenente alla categoria dei "cattivi" nei miei scritti mi scarica moltissimo.

Giulia Lu Mancini ha detto...

La soluzione sarebbe la pensione, ma mi mancano ancora troppi anni. Nel frattempo cerco di sopravvivere. Intanto ho presentato domanda di trasferimento ad altro settore (non credo andrà a buon fine perché dovrebbero trovare una sostituzione per il mio posto); a seguito di ciò l'ufficio personale mi ha convocato e in quell'incontro ho esposto tutto quello che non va e che servirebbe fare. Servirebbe una diversa organizzazione e più persone, nel frattempo va bene anche uno stagista per tamponare l'attesa (ma anche questo non lo decido io). Dentro di me so già cosa voglio davvero cara Nadia (avere tempo per me e la scrittura correndo meno, più o meno) ma quello che voglio davvero cozza un po' con la realtà, per ora lo stipendio mi serve per pagare tutte le mie spese. Insomma il "mollo tutto" è solo un sogno tranne vincere un gratta e vinci milionario :)

Marina ha detto...

Hai affrontato tu abbastanza bene il problema, enunciandolo e provando a pensare a delle soluzioni, tutte valide, tra l’altro, esclusa, ovviamente, quella di mollare tutto: il lavoro è prezioso e, soprattutto in tempi come questi, bisogna tenerselo stretto, quasi coccolarlo, oserei dire. Il segreto è non concedere al lavoro tutto lo spazio che abbiamo a disposizione e non parlo solo di spazio fisico, cioè di tempo oggettivo che siamo costretti a dedicargli, ma anche di spazio mentale: oltre al lavoro c’è altro, la scrittura, le letture, le passeggiate, una gita nel fine settimana, il caffè con un’amica, cose anche piccole ma che non ci fanno dimenticare che una giornata di vita è un contenitore pieno di cose diverse e tutte hanno uguale importanza.

Marco Freccero ha detto...

Comprendo benissimo.
Io avevo anche dei problemi di salute (lavorare in una cella frigo per anni, alla fine porta con sé acciacchi vari). Quindi anche su consiglio del medico ho tagliato la corda e adesso sono un partita IVA.
La salute ne ha guadagnato. Ti auguro presto o tardi di riuscire a coronare il tuo sogno ;)

Barbara Businaro ha detto...

Alla parola burnout io associo solo una moto impazzita che fa un sacco di fumo e lascia tutto il pneumatico incollato a terra! :D
(cerca su youtube e vedo cos'è il burnout per i motociclisti che tanto devono cambiare le gomme e quindi si divertono...)
Ma conosco lo stress-lavoro. Colpisce le donne perché, per dimostrare il nostro valore in una società di pari opportunità finte, non sappiamo dire di no. Questo è il punto.
Non bastano le ore per terminare l'arretrato? Fai quello che riesci e il resto lo lasci lì. Hai già sollevato la questione che occorrono almeno altre due persone, ma finché continuerai a tamponare la situazione non metteranno manco l'annuncio di ricerca del personale!
E se chi dovrebbe decidere non lo fa, lo si mette davanti alle proprie responsabilità. Arriva la scadenza e non è stata presa decisione? Non si fa nulla. Se quella responsabilità non è prevista nel tuo contratto, non te la assumere (anche perché se la decisione che prendi tu dovesse andare storta, possono chiedertene danno in tribunale e vincerebbero pure facile, pensa un po'! L'ho visto, non molto tempo fa, per un'amica)
Purtroppo per natura le donne sono portate a muoversi su diversi fronti, e finiscono col far diventare il lavoro una seconda famiglia. Non lo è, ci vuole un certo distacco. Mi paghi per questo, non per altro. Se vuoi altro, mi paghi di più (e in Italia siamo molto sottopagati, tra l'altro).

Cristina M. Cavaliere ha detto...

Ho vissuto anch'io questa situazione quando ero dipendente, ti parlo del 2004, quando mi sono felicemente licenziata per svolgere il mio lavoro a casa. Oggi la riscontro nei miei stressatissimi referenti in casa editrice. Purtroppo a volte sono situazioni alimentate dagli stessi dipendenti volenterosi e che si fanno un mazzo quadrato sopperendo alle carenze altrui. Il risultato è che non soltanto la situazione cambia, ma addirittura peggiora, e che si arriva a portarsi a casa il lavoro lavorando durante il fine settimana e fino alle 2.00 di notte. Dopo, diventa tutto dovuto.
Come suggerimenti e soluzioni, mi allineo in toto a quello che ha scritto Barbara. Quindi bisogna dire, papale papale, che la parola "straordinario" è autoesplicativa: si tratta di qualcosa fuori dall'ordinario e non sistematica. Bisogna avere la forza di dire dei "no" grandi come case e mettere dei paletti, possibilmente fin da subito. Per paradosso, nella mia esperienza si riceve molto più rispetto e considerazione quando si puntano i piedi.

Maria Teresa Steri ha detto...

Mi spiace molto per questa situazione, Giulia. Penso che quando ci si allontana da determinate situazioni pesanti, è inevitabile vederne le brutture, insomma il distacco fa sì che ci rendiamo pienamente conto di ciò che non va. E ciò accade inevitabilmente con l'estate. Capisco bene cosa significa, anche se non vivo circostanze identiche alle tue. Purtroppo ricette non ce ne sono, l'unica cosa (se non si può dare un taglio netto) è procurarsi momenti di svago, ritagliarsi del tempo per se stessi. Questa sindrome può ingoiarci, se cediamo. Un caro abbraccio

Giulia Lu Mancini ha detto...

Lavorare in una cella frigorifera non deve essere affatto piacevole e alla lunga fa male alla salute. Hai fatto bene a cambiare, sei stato molto determinato. Il padre di un mio amico lavorava in fabbrica alla catena di montaggio diversi anni fa, lui prese il diploma di geometra con le scuole serali e poi mollò la fabbrica e aprì uno studio. Oggi nel suo studio ci lavora anche suo figlio è lui ormai è in pensione, anche se ogni tanto gli dà una mano. Erano forse altri tempi, ma è un esempio di come serva tanta tenacia per cambiare vita; mi raccontava che spesso i suoi colleghi operai lo invitavano a uscire la sera e lui diceva che doveva andare a scuola, ovviamente lo prendevano in giro...realizzare i sogni è faticoso e non è mai gratis :)

Giulia Lu Mancini ha detto...

Mollare tutto sarebbe bello, ovviamente vincendo la lotteria!
Il lavoro è prezioso, ma non deve fagocitare la vita, il punto è questo. Anche il fatto che oggi ce ne sia meno, secondo me, non è del tutto vero, il lavoro ha un costo (forse in Italia è troppo alto e non ci sono adeguate politiche per incentivare il lavoro e la crescita in questo campo) quindi per sopperire a questo costo si chiede a una unità di personale di fare il lavoro che prima svolgevano due persone se non addirittura tre. In questi casi (sempre più frequenti e non parlo solo di me) si va avanti di corsa, con l'ansia di non farcela. Ogni tanto occorre concedersi una tregua, ritagliandosi degli spazi personali, ma non è sempre facile...

Giulia Lu Mancini ha detto...

Imparare a dire di no, questa è già una soluzione. Ci riesco pochissimo anche perchè spesso se un giorno resta indietro qualcosa, il giorno dopo me lo ritrovo moltiplicato per tre, allora cerco di essere in pari almeno per quello che non può proprio essere rimandato, quest'ultima categoria però sembra amplificarsi ogni giorno di più. Ogni tanto però punto i piedi e scappo dal lavoro...cioè esco in orario perché ho un impegno familiare (anche se non è vero, ma in qualche modo bisogna salvarsi). Cerco di non prendermi responsabilità che non mi competono, ma è comunque una gran fatica. Vado a curiosare su YouTube per vedere il burnout dei motociclisti, come idea mi sembra molto più divertente :)

Giulia Lu Mancini ha detto...

Wow Cristina sei una grande, licenziarti per lavorare da casa è stata una decisione che sicuramente ti ha migliorato la vita, però deve essere costata molto in termini di coraggio. È vero spesso sono i dipendenti stessi che lavorando come matti creano un circolo vizioso e poi sembra tutto dovuto. Io una volta mi leggevo le mail del lavoro da casa, stressandomi anche quando non ero in ufficio. Poi ho detto basta, è una cosa che non faccio più e se qualcuno me lo chiede dico che, una volta fuori dall'ufficio, ho bisogno di non pensare più al lavoro per potermi ricaricare, del resto "nessuno mi paga la reperibilità nè sono un medico che fa interventi a cuore aperto"...

Giulia Lu Mancini ha detto...

Grazie Maria Teresa,
è vero, nel periodo delle ferie il distacco fa apparire il rientro al lavoro come il ritorno all'inferno. Poi cerco di convincermi che ci sono lavori peggiori del mio e che non bisogna lasciarsi fagocitare e che devo prenderla con più calma. Tutto questo dura un paio di giorni poi ricado nel vortice. Però c'è una bella notizia, ho strappato tre giorni di ferie (ne ho tanti in arretrato) e quindi per qualche giorno stacco davvero. Un abbraccio anche a te.

Tenar ha detto...

Cavolo, mi spiace tantissimo!
Non sto dicendo parole di circostanza. Qualche anno fa mio marito si è trovata nella stessa situazione, con gli stessi ritmi (pure peggio) e la stessa sensazione. Purtroppo il suo è lo stipendio più importante che entra e quindi non si poteva farne a meno, le aziende chimico farmaceutiche del tipo in cui lavora stanno tendenzialmente in mezzo al nulla (sai mai che esploda qualcosa...) e quindi l'unica occasione lavorativa sensata a livello di retribuzione si trovava in un paesello montano dalle parti di Bormio. Siamo andati a vedere e per quanto io la montagna la ami, ci è venuta una botta di depressione assurda (il paesello, per altro, mi ha accolto con un ragnetto che mi ha morso scatenandomi una reazione allergica epocale). Scartate tutte le possibilità di andarsene, ha optato per un supporto psicologico (gratuito, presso la ASL), dove ha scoperto quello che si sospettava: molte pratiche comuni nel suo ufficio erano da denuncia. Vorrei dire che sia bastato ventilare l'ipotesi denuncia per cambiare tutto, ma mentirei. Però, intanto lui si è tolto l'idea che la colpa fosse sua, ha scoperto una serie di servizi ad hoc per questi casi (consulenti sindacali etc...) e col tempo è aumentato il numero di lamentele in azienda. In capo a qualche tempo la catena di comando è cambiata del tutto. Ora la situazione non è rosea, ma i fine settimana al lavoro e i rientri a tarda notte sono davvero le eccezioni che dovrebbero essere e lui comunque è molto più sereno.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Caspita mi dispiace per la situazione che avete dovuto affrontare e per lo stress fortissimo che affronta tuo marito. Quando lo stipendio è indispensabile e un lavoro alternativo non è semplice da trovare allora ci si sente in trappola, in questi casi supporto psicologico e rapporti con i sindacati possono aiutare. Se poi la situazione è generalizzata e si crea lo spirito di squadra tra i dipendenti si può puntare al miglioramento. Però è davvero avvilente dover arrivare alle proteste e a alle lotte quando basterebbe creare un clima organizzativo giusto perché tutti lavorino in modo efficace (scientificamente provato). Sono contenta che tuo marito sia più sereno.

Une autre vie ha detto...

Ho letto tutto compresi i commenti e devo ammettere che a parer mio non c'è altra soluzione che quella di un taglio netto. Drammatico, spesso pericoloso e doloroso ma liberatorio. Dimenticavo bisogna anche avere la forza di affrontare il mondo di chi ci sta attorno e sul "groppone". Io mi sto preparando... poverissimo probabilmente ma libero.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Ciao benvenuto nel mio blog, poveri ma liberi è una bella aspirazione non del tutto irrealizzabile, diciamo che si può imparare a vivere con molto poco...

Ivano Landi ha detto...

Ciao Giulia, leggo ora questo tuo post perché sono di nuovo in (momentanea) attività sul mio blog e sto facendo il giro degli amici.
Io appartengo alla categoria del "mollo tutto", cosa che ho messo in pratica dieci anni fa, quindi non sono adatto a darti consigli sensati. Nella mia condizione attuale, che mi sono costruito passo passo in questo ultimo decennio, gli orari me li gestisco in quasi totale autonomia e se anche mi devo muovere in mille direzioni diverse contemporaneamente per far quadrare i conti, la maggior parte di queste direzioni sono piacevoli e lo stress, che pure a volte c'è, non è più la condizione dominante della mia vita come era fino a dieci anni fa.
Certo, la mia scelta di non farmi una famiglia propria mi ha aiutato molto in questo. Se ti fai male, ci rimetti solo tu e nessun altro, e correre rischi è quindi più facile.
Buon prosieguo comunque e speriamo tutto per il meglio :-)

Giulia Lu Mancini ha detto...

Ciao Ivano, grazie di essere passato da me. Allora hai mollato tutto dieci anni fa, ti ammiro molto e condivido la tua scelta, ci ho pensato spesso anch'io in questi anni, però sto tenendo duro ancora per un po' perché ho un familiare che dipende da me, pur non avendo figli...è vero se non hai vincoli familiari la scelta può essere più semplice. Adesso però resisto :-)