sabato 25 aprile 2020

Il nostro tempo che non è più nostro



In questi giorni di clausura da coronavirus abbiamo il tempo di fare alcune riflessioni e di farci domande senza risposta. Mi sono resa conto che facevo un sacco di cose in una giornata: lavoravo, facevo la spesa, andavo in palestra, uscivo con amiche e compagno, scrivevo, leggevo, preparavo la cena, il pranzo per il giorno dopo da portarmi al lavoro, le pulizie di casa e di corsa ecc 
Oggi mi rendo conto che faccio la metà delle cose, pur avendo un tempo più dilatato, per esempio in una giornata lavorativa da casa svolgo meno attività di quando sono in ufficio fisicamente, come se il mio istinto si impigrisse al contatto con la mia casa (che è sempre stata il mio spazio di libertà). Insomma in smart working non faccio straordinari quasi mai, gli altri colleghi invece mandano mail di sabato e domenica o la sera tardi, ma forse fa parte dell'organizzazione personale del tempo che si è ampliato per alcuni, per altri si è ristretto.

Un tempo che  non sembra più appartenerci per davvero.
 
Io resto in casa come tutti e mi manca la normalità, comincio a essere insofferente, ma tutto sommato si tratta di piccoli problemi.
Mi assilla invece il pensiero di chi si ritrova seriamente in difficoltà a causa di questo isolamento, una mia amica che lavora in un bar e che oggi si chiede come farà ad andare avanti, la mia amica che lavora in aereoporto e che adesso è in cassa integrazione al cinquanta per cento (per ora) e tanti altri.
In questo tempo sospeso ho imparato nuove funzionalità tecnologiche che prima ignoravo, perchè in fondo me ne disinteressavo e anche che puoi ritrovare dei contatti lontani negli anni senza paura di disturbare.
Ho ricontattato infatti molte persone, per esempio un mio caro amico medico che non sentivo da tre anni, gli ho mandato un messaggio per sapere come stava, mi ha telefonato e siamo stati al telefono per un'ora. Per fortuna lavora in una clinica privata convenzionata e, in questo frangente, stanno mandando avanti solo gli interventi urgenti, ha fatto il tampone ed è negativo e si alterna tra la clinica e un altro ospedale della zona; non sono centri covid, ma ci sono altre malattie che devono essere curate perché non si muore solo di covid, si muore anche di infarto, di cancro e ipertensione...magari anche di stress.
Mia sorella, che vive in puglia, non ha un bancomat e ha dovuto aspettare quindici giorni prima di riuscire ad andare in banca a ritirare i soldi per fare la spesa (prendendo ovviamente apposito appuntamento), per fortuna che, nel frattempo, le ha fatto un po' di spesa l'altra mia sorella dotata di bancomat, ma chi è del tutto solo come fa? 
Io vado raramente in banca, faccio i bonifici on line, ho tutte le bollette domiciliate sul conto, ho il bancomat e la carta di credito, ma ci sono persone che queste operazioni non le hanno mai fatte, il nostro paese è formato da persone anziane (ma anche più giovani) che non hanno dimistichezza con la tecnologia. Non dimentichiamolo mai: queste persone sono in reale difficoltà. 
Un mio collega invece ha un bambino autistico e fatica a gestire il lavoro agile con suo figlio, si alterna con la moglie, in lavoro agile anche lei, ma senza più l'aiuto del centro che seguiva il bambino è tutto più complicato.
E poi c'è la mia amica che lavora nel turismo stagionale e non sa cosa potrà guadagnare quest'anno, visto che le spiagge non apriranno, forse.
A noi mancano i ristoranti, ma a chi nel ristorante ci lavora manca il lavoro...
Poi ci sono coloro che si sono laureati un mese fa come obiettivo di una vita universitaria e ora la loro ricerca di lavoro sembra un'utopia.
Penso alla mia insegnante di pilates che viveva di un lavoro precario, sempre in giro presso molte palestre di Bologna, richiestissima perché bravissima, ma adesso a casa, disoccupata senza tutele.
L'altro giorno ho scoperto che un negozio gastronomico di Bologna fa consegne a domicilio, così ho ordinato molte cose buone perché voglio aiutare, in qualche modo, l'economia locale, anche se la mia bilancia protesterà.
Siamo tutti immobili o in lento movimento, sospesi e oggi ho scritto un post di pensieri preoccupati in libertà, niente di nuovo in questo tempo di coronavirus. 
Per me il tempo in casa passa senza grandi differenze rispetto a prima, scrivo, leggo, mangio, bevo, dormo, penso.
Pur in lento movimento, il tempo scorre lo stesso e siccome oggi è anche l'anniversario della liberazione vi lascio con un pensiero del presidente Pertini che sembra perfettamente calzante anche con questo momento.

La libertà non è mai una conquista definitiva, la libertà è un bene che va difeso giorno per giorno. Sandro Pertini 



Fonti immagini
Pixabay 




sabato 18 aprile 2020

Un possibile ritorno


In questi giorni di arresti domiciliari da coronavirus un pensiero mi ha fatto molta compagnia: Saverio Sorace, la voglia di raccontare una sua nuova avventura.
Certi personaggi sono come dei vecchi amici, puoi lasciarli andare per un po' ma poi ritornano nella tua vita con lo stesso entusiasmo di sempre.
Ho in testa una storia legata a Saverio, ma è ancora indefinita e nebulosa, so solo che c'è e spinge per uscire, ma c'è sempre un periodo di incubazione di una trama (con questi termini mi sembra di parlare del virus, vabbè) e sto aspettando che maturi al punto giusto.
Nel frattempo, un giorno, ho provato a mettermi di fronte al computer con un file word nuovo, intitolato "quarta indagine di Sorace" perché non avevo nessuna idea del titolo e guardando la pagina bianca ho cominciato a buttare giù delle idee. 
Mi sono fermata dopo due righe e ho guardato la pagina vuota per dieci minuti, poi mentre mi accingevo a spegnere il computer per raggiungere il mio amico divano, ho avuto una breve visione, una scena che mi era passata per la mente già in passato e, così, ho provato a descriverla.
Non mi dilungo oltre, ma partendo da quella scena iniziale ho iniziato a scrivere il primo capitolo di Saverio Sorace, ho perfino individuato un titolo - provvisorio per ora - ma potrebbe anche essere quello definitivo, lo scopriremo solo vivendo e, soprattutto, scrivendo.
Certo la strada è ancora lunga e forse non terminerò questa storia, sapete perché? 
Il mio timore è che - se ci dovessero concedere la libera uscita - io non riesca più a passare un solo minuto davanti al pc a scrivere, quindi dovrei affrettarmi a scrivere a più non posso, ma purtroppo il periodo di incubazione della storia è ancora in corso. 
Del resto scrivere un romanzo è sempre una scommessa con se stessi, con il tempo, con gli imprevisti della vita e nessuno meglio di noi, che viviamo questo momento, può capire bene il significato di "imprevisto", perché siamo foglie in balia del vento e non conosciamo il futuro, possiamo solo immaginarlo. 
Vedremo quindi come andrà, per ora sono contenta di sapere che Saverio Sorace è tornato, almeno nella mia vita scrittoria.

Vi lascio con estratto del famoso romanzo di Luis Sepulveda che non ha vinto la sua battaglia contro il virus lasciandoci più soli e inquieti.


- Bene, gatto. Ci siamo riusciti, disse sospirando
- Sì, sull'orlo del baratro ha capito la cosa più importante, miagolò Zorba
- Ah sì? E cosa ha capito?, chiese l'umano
- Che vola solo chi osa farlo, miagolò Zorba.




venerdì 10 aprile 2020

La processione del venerdì santo


Pasqua, nei miei ricordi, è sempre stata una festa di rinascita, ovvio direte voi, è proprio questo il significato della Pasqua cristiana, Cristo risorge e l'umanità approda a una nuova vita.
A prescindere dal significato cristiano, per me la Pasqua era una ripartenza perché portava la primavera e ci avvicinava alla fine della scuola assieme alla sua beata sensazione di leggerezza.
La festa cominciava dal giovedì santo quando, a partire dal pomeriggio, con il vestito nuovo, spesso troppo leggero, facevamo il giro delle chiese per fare visita a Gesù nel sepolcro. Per noi era il giorno dei "sepolcri" con le chiese aperte pieno di incenso e una moltitudine di gente che sfilava davanti al sepolcro dove la statua di un Gesù bellissimo riposava in attesa della risurrezione.
Il venerdì santo uscivo di nuovo con le mie amiche per assistere alla processione della Madonna addolorata, una rappresentazione che mi dava sempre una certa emozione.


La Madonna veniva portata in spalle da un gruppo di uomini devoti (mi sono sempre chiesta quanto pesasse quella statua enorme) e passava per tutte le strade principali del paese. Ogni famiglia metteva sul bancone un tappeto decorato in segno di rispetto. Le stagioni era scandite dalla feste religiose e dalla loro solennità e ora, a distanza di tanto tempo, penso che quelle tradizioni così sentite e radicate nel tessuto sociale dei nostri piccoli centri di provincia rendessero davvero il senso della festa e della comunità. 
Credo sia passato un'infinità di tempo dalla mia ultima processione (non riesco davvero a fare il conto degli anni), tra l'altro le poche volte che sono stata in Puglia per la Pasqua non ho avuto modo di essere lì per la processione del venerdì santo, di solito il venerdì ero in viaggio. 
La maggior parte delle volte la Pasqua per me non era una gran festa, visto che lavoravo normalmente fino al venerdì, per cui ho sempre evitato partenze direzione Puglia.
Insomma la Pasqua, da anni, ha perso per me quel significato di rinascita e leggerezza che avevo da ragazza. Ciononostante ogni anno ritornavo con la mente alla Pasqua paesana e mi illudevo di poter fare un piccolo viaggio, illusione che, purtroppo, di fronte alle scadenze del lavoro, saltava regolarmente. E poi, di solito, il lunedì dell'Angelo diventava l'occasione per un primo giro in moto, sempre che ci fosse bel tempo...quindi alla fine preferivo restare a Bologna, in attesa di poter prendere delle ferie più lunghe.
Oggi, ancora una volta, mi è tornata in mente la processione del venerdì santo che, in questo 2020, non ci sarà e ho provato una struggente nostalgia. Non c'è molto altro da aggiungere, chissà se dopo questa Pasqua in quarantena sconfiggeremo la morte anche noi e usciremo a rivedere il sole?

Intanto buona Pasqua in casa a tutti. 

Fonti immagini 
Pixabay 

sabato 4 aprile 2020

La perfidia e l'amore ne L'amica geniale


Ho scoperto Elena Ferrante leggendo il suo romanzo La figlia oscura, mi aveva colpito il suo modo di scrivere delle scomode verità senza edulcolarle in alcun modo. Si parlava del rapporto di una donna con la sua maternità, quel senso di soffocamento che spesso i figli possono dare nonostante l'amore che si prova. Il romanzo però parla di tanto altro, parla del desiderio di libertà e di affermazione della protagonista al di fuori dell'obbligo di essere moglie e madre. Questa è la mia interpretazione perché in realtà la trama parla di una vacanza. In quella vacanza, però, accade qualcosa che supporta la mia tesi.

Quando ho letto la quadrilogia de L'amica geniale quindi conoscevo già lo stile crudo e schietto della Ferrante e i suoi giudizi impietosi sull'amicizia e sull'amore. C'è una sorta di perfidia sotterranea in entrambe le amiche, Elena prova ammirazione verso Lila, per la sua intelligenza, la sua sfrontatezza e la sua capacità di non abbassare mai la testa, il suo coraggio. Nel primo libro Lila, pur essendo solo una bambina, affronta Don Achille, l'orco delle favole, il primo cattivo della storia e gli chiede la restituzione delle bambole che, secondo lei, ha sottratto dalla cantina dove loro lo avevano gettate per una specie di sfida. Elena resta muta accanto a Lila, senza avere il coraggio di fiatare. Don Achille dopo aver negato e discusso, davanti alla fermezza di Lila, da loro dei soldi perché possano ricomprare le bambole.
Lila è fiera e combatte per ogni piccola conquista, ma non sempre il suo coraggio è sufficiente, nonostante la sua testardaggine non riesce a convincere il padre, che la picchia brutalmente, ad andare alla scuola media, lei che è la più brava di tutte, deve rassegnarsi e smettere di studiare.
Invece Elena ci riesce, grazie al supporto della maestra e a suo padre, un uomo più di ampie vedute per l'epoca che decide di farla studiare e la sostiene, anche quando Elena viene boicottata dalla stessa Lila che la convince a una fuga da scuola, per andare a vedere il mare. 
L'amicizia tra le due bambine crescerà e diventerà più forte ed equilibrata, ma entrambe saranno per tutta la vita protagoniste e antagoniste, a fasi alterne.
È importante leggere tutti e quattro i libri per avere chiara tutta la storia e assaporare il crescendo di emozioni che provoca. Per me il libro più bello è l'ultimo, ma è anche quello che mi ha straziato il cuore perché non c'è salvezza per nessuno dei protagonisti.

La storia delle due amiche e del rione di Napoli della loro infanzia è anche un modo per raccontare l'Italia: dagli anni cinquanta, anni poveri ma pieni di fiducia nel futuro, ai primi anni duemila, gli anni della disillusione.

Due amiche geniali, come solo le donne sanno essere, che rivendicano il diritto di essere libere.
È un paradosso che questa libertà riesca abbastanza a Elena grazie allo studio pazzo e disperatissimo, mentre venga solo sfiorata da Lila che pure aveva tutte le qualità e il genio per poter emergere ed emanciparsi, senza mai riuscirci, tranne forse verso la fine.
In realtà entrambe sono geniali a loro modo.
Lila è una bambina intelligente, fiera, piena di aculei pronta a colpire per difendersi.
Elena è una bambina dolce, sottomessa, ma con il fuoco che le arde dentro e con una implacabile pazienza che la porterà lontano.
Crescendo, manterranno queste loro caratteristiche pur smussandole per essere in grado di affrontare i grandi dolori che, inevitabilmente, incontreranno.
La loro amicizia, tra alti e bassi, tra gioie e dolori, passioni e rivalità mai sopite, sarà la costante, il filo conduttore di tutta la trama. 
Anche l'amore è il filo conduttore della storia, quello per gli uomini che, il più delle volte, cadrà nello sconforto della delusione, quello legato all'amicizia tra Lila ed Elena, quello filiale tra incomprensioni e disperazione, quello per un'ideale e per il legame alla propria terra.
Queste le riflessioni che derivano dalla visione della serie tv, che mi ha fatto ripercorrere le fasi più belle della lettura dei libri. 
Certe storie conquistano perché ciascuno di noi può trovarvi una parte di sè, a me è successo soprattutto perché anch'io ho vissuto in un piccolo centro del sud e ho avuto un'amica di infanzia con la quale sono cresciuta, quasi in simbiosi, dalle elementari alle medie, poi le nostre strade si sono separate per ricongiungersi in età adulta, qualche anno fa. A parte questo, ci sono sentimenti ed emozioni che ho rivissuto attraverso questo lungo racconto ripercorrendo le tappe della storia italiana.

Capita anche a voi di riconoscere un pezzetto della vostra storia in un libro che leggete?



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