domenica 30 luglio 2023

La nuova moda: l’eleganza dell’essenziale

 

Non seguire i trend. Non lasciare che la moda ti possieda, sii tu a decidere chi sei, ciò che vuoi esprimere nel modo in cui vesti e il modo in cui vivi. Gianni Versace 

Non ho mai seguito troppo la moda nella mia vita, un po’ per questioni economiche, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per questioni di fisico, infine per carattere. Seguire la moda, oltre ad avere grande disponibilità economica, comporta dispendio di tempo ed energia, non per niente oggi ci sono le fashion blogger che ne hanno fatto un mestiere. Io ho sempre seguito la moda a modo mio, prendevo dalle ultime tendenze quello che poteva andar bene per me, se un vestito mi stava bene e mi piaceva lo compravo altrimenti ne facevo volentieri a meno. Inoltre un aspetto fondamentale del mio “attingere” dalla moda riguardava la comodità, se un capo era comodo aveva molta probabilità di finire nel mio armadio, questo non vuol dire che non abbia mai comprato capi scomodi, no ne ho comprati tantissimi, solo che restavano nell’armadio a lungo senza indossarli e poi infine a malincuore me ne liberavo. Oggi sono arrivata alla “quasi”  piena consapevolezza che è meglio non comprare indumenti scomodi: un pantalone troppo stretto anche se stretching, un pantalone a vita bassa, una gonna o una maglietta troppo corta, che non indossavo volentieri neanche quando ero una taglia 42 figuriamoci adesso. Ci sono indumenti in cui ci sentiamo bene e altri no, quindi facciamocene una ragione e smettiamo di comprare ciò che non va bene per noi! Quando la moda strizza l’occhio noi distogliamo lo sguardo. 

E così, dopo aver superato abbondantemente i 50 anni, sono arrivata alla consapevolezza di voler stare comoda in tutto quello che indosso, ma soprattutto che non mi serve comprare molte cose perché spesso le possiedo già. Con gli ultimi cambi degli armadi ho riscoperto vestiti che non ricordavo neppure di avere. E sembra che anche la moda (quella dei giornali e della tv) se ne sia accorta, un articolo letto su Donna Moderna intitolato Mettiti comoda (numero del 25/5/23) parlava proprio di questa nuova tendenza. A quanto pare questa estate sono di gran moda le tuniche ampie, le camicie over, i panta-palazzo, i sandali flat insomma tutto ciò che è largo, comodo, ampio. La moda o la tendenza si chiama lady style. Con la pandemia tute e ciabattine sono diventate indispensabili nella nostra vita quotidiana e quindi anche la moda si è adeguata, possiamo stare comode con classe, del resto la vita è già troppo complicata, perché quindi dovremmo farcela complicare ancora di più da un vestito scomodo, quello che quando lo indossi non vedi l’ora di togliere? 

La semplicità e la comodità sono sempre state un must di Giorgio Armani e molti altri stilisti hanno scoperta l’eleganza dell’essenziale, tessuti morbidi, fluidi, scivolati addosso che puoi portare tutto il giorno.

Dal canto mio vi dico quello che indosso ora e che prima - di norma - non mettevo (anche perché non li trovavo in negozio): i pantaloni con l’elastico - non l’elastico stile pigiama ma quello ben strutturato, piatto che non ingrossa - un primo pantalone del genere l’avevo ordinato on line ai tempi della pandemia e poi l’ho adottato in diverse versioni, comprandoli però in un negozio Benetton (che prima non li aveva). Ho eliminato i tacchi da molto tempo, l’unica caratteristica che richiedo a un paio di scarpe, oltre alla comodità, è la qualità del pellame, mai usato un tacco dodici ma anche i tacchi più bassi che una volta mettevo li ho eliminati del tutto, mi accontento di un leggero rialzo indispensabile per non avere mal di schiena, per me anche le ballerine rasoterra sono “out” distruggono la schiena. Infine prediligo le fibre naturali, soprattutto in estate cotone e lino sono il mio must, preferisco spendere di più ma avere un capo in fibre naturali da sfruttare a lungo e non inquinare con il fast fashion, sì perché oltre a inquinare i nostri armadi i vestiti, soprattutto quelli che compriamo a prezzi bassi e magari sono in materiale sintetico o misto, inquinano l’ambiente. L’industria dell’abbigliamento é tra le più inquinanti non solo per il sistema di produzione di alcuni capi (per produrre un jeans servono 9.500 litri di acqua, per produrre una maglietta 2700 litri di acqua) ma anche perché quando ci liberiamo di questi vestiti, perché non li mettiamo più (e magari non li abbiamo mai messi o messi solo paio di volte), finiscono dispersi nell’ambiente. 

Ammetto la mia ignoranza, fino a qualche tempo fa, non sapevo che per produrre un jeans servisse tanta acqua, ma non mi ero mai interessata prima alla questione, ora però - se proprio devo comprare un indumento nuovo - ci penso due volte, mi chiedo sempre se mi serve davvero oppure no, primo perché non voglio occupare l’armadio con cose inutili, non importa se quel capo costa poco anzi, se costa poco ci penso ancora di più, costa poco perché qualcuno viene sfruttato, che non vuol dire solo sottopagato, ma che lavora in condizioni terribili, per esempio nelle concerie di alcuni paesi vengono usati i bambini che stanno tutto il tempo in mezzo a prodotti chimici che accorceranno la loro vita. Ho visto di recente una indagine giornalistica sul fenomeno e queste condizioni di lavoro fanno accapponare la pelle. E tutto per un paio di jeans…

Le nuove regole (mie) della moda ma sembrano ormai assorbite dalla tendenza corrente sono:

Non è necessario cambiare look tutti i giorni (questa ormai è un’abitudine acquisita da tempo) una volta cercavo di variare abbigliamento ogni giorno che andavo al lavoro, con il risultato che perdevo tanto tempo a decidere cosa mettermi e magari finivo comunque con mettermi le stesse cose, quelle in cui mi sentivo a mio agio.

Avere pochi capi ma di qualità (Made in Italy e fibre naturali) spendere un po’ di più ma scegliere qualcosa che duri a lungo, lavorare sul proprio stile, magari mescolando quello che abbiamo in modo diverso, come dicevo mi è già capitato di recuperare cose dimenticate dal mio armadio a cui ho dato nuova vita. Questo non vuol dire che non compro più nulla, ogni tanto se proprio trovo qualcosa che mi piace la compro, ma con maggiore consapevolezza.

Un classico è per sempre per me almeno lo è, in fondo conosco già quello che mi serve, quando la moda mi propone qualcosa che esula troppo dalle mie abitudini finisco con non metterlo, quindi meglio scegliere quello che so che va bene per me, se amo il color sabbia e il blu, non ha senso comprare una giacca rossa o gialla solo perché mi dicono che dovrei “osare” di più con i colori. Se proprio voglio osare con i colori magari mi concedo un foulard molto colorato, credetemi funziona, per me. 

E quindi visto che abbiamo parlato di moda e forse qualcuno partirà per un viaggio o forse solo per un breve week end al mare o in montagna la mia domanda è: qual è la cosa che mettete sempre in valigia con qualunque tempo e qualunque destinazione? 

Per una riflessione sull’impatto ambientale dei nostri vestiti vi lascio il link del primo episodio di “Junk: Armadi pieni” una docuserie di Sky Italia in sei episodi che si trova anche su YouTube.



Fonti immagini: Pixabay 



domenica 23 luglio 2023

All’improvviso l’indifferenza

 

In generale accetto senza problemi le chiacchiere di tutti e senza problemi le lascio perdere. Charles Bukowski

C’è una canzone d’amore che ogni tanto irrompe dai miei ricordi lontani, era di un cantante ora del tutto dimenticato che si chiama Roberto Soffici. Era una canzone tutto sommato piuttosto spinta per l’epoca perché parlava di un rapporto amoroso tra un uomo adulto e una ragazza molto giovane, questo almeno era il senso che trasmetteva il testo della canzone, era un brano del 1977 intitolato All’improvviso l’incoscienza.

Comunque, non so perché certi ricordi restano attaccati alla pelle e non se ne vanno più, io ricordo tutto il testo perfettamente e soprattutto il titolo mi frulla in testa ogni volta che devo descrivere una sensazione che mi assale all’improvviso, appunto. Ed è da diverso tempo che mi gira in testa il titolo di un post che vorrei scrivere a proposito della scrittura: all’improvviso l’indifferenza. Eh lo so, l’ho presa larga ma è proprio così che nasce questo post, la sensazione che mi porta il titolo della canzone di Roberto Soffici è quello che ora sento nei confronti del mondo della scrittura, all’improvviso. Avete presente quegli amori non corrisposti per cui vi dannate l’anima e vi tormentate, strappandovi i capelli? Per anni, per mesi, per un tempo infinito, avete fatto di tutto per ottenere uno sguardo, un momento di attenzione, una parola dolce, dall’oggetto del vostro amore. E poi, all’improvviso, vi rendete conto che quell’amore non esiste più, puff, è sparito, si è dissolto sotto i colpi del “non l’amore”. Succede, per gli amori adolescenziali, ma anche per gli amori adulti, perfino per i matrimoni.

Ecco, con la scrittura, è successo proprio questo, all’improvviso non mi importa più nulla. Beh, non é proprio così, scrivere mi interessa ancora, ma non vedo più la pubblicazione di un romanzo, il successo, il riconoscimento di una casa editrice, come qualcosa di cui mi importi davvero. È che da diverso tempo non seguo più i miei romanzi, li pubblico e poi me ne dimentico, non mi impegno più di tanto per promuoverli, mi è persino capitato di declinare l’invito di qualche blogger a presentare il romanzo sui loro blog, dicendo che non ho tempo, il che è vero, ma una volta il tempo lo avrei trovato, perdendo qualche ora di sonno. Oggi non più. Ora preferisco concentrarmi di più sulla mia vita, quella vera che si svolge fuori dalla scrittura, preferisco dedicare il tempo libero a quella parte di me che è stata a lungo trascurata per scrivere.

Lo so, potrebbe sembrare la storia della volpe e dell’uva, disprezzare qualcosa perché non lo posso raggiungere, beh in effetti anche questo pensiero incide sulla mia situazione, non potrò mai vivere di scrittura, allora preferisco concentrarmi su altro; in realtà questa nuova prospettiva credo sia nata anche perché ho dimostrato a me stessa le mie capacità, qualche lettore ha perfino apprezzato, affezionandosi alla mia serie su Saverio Sorace, qualcuno ha amato i miei romanzi d’amore altri meno…ma io credo di aver raccontato delle storie che sentivo dentro di me e che finalmente hanno trovato la strada per venire alla luce, ma soprattutto ho imparato da self publisher molte attività che sono dietro l’editoria e questa conoscenza mi ha regalato un nuovo sguardo nei confronti di questo mondo.

So di non essere l’unica delusa in campo, almeno tra i blogger che seguo, mi permetto di citare Sandra Faé che in un suo recente post Il male di giugno racconta del suo senso di delusione riguardo il mondo dell’editoria pur avendo avuto un certo successo con diverse case editrici. 

Io ho avuto un percorso diverso perché ho puntato di più sul self publishing per motivi vari che vado a esporre, dopo aver cercato l’attenzione di una casa editrice senza esito (in un tempo in cui ero anche piuttosto ingenua, ogni tanto inviavo il mio manoscritto senza rendermi conto che era parecchio imperfetto e magari la mia richiesta aveva una presentazione poco efficace). Avevo anche partecipato al concorso Io scrittore, il mio romanzo “La libertà ha un prezzo altissimo” aveva superato la prima e la seconda fase, era arrivato tra i primi duecento, tanto che per un momento ci ho quasi creduto, visto che i primi dieci romanzi venivano pubblicati, poi però non ho vinto, né sono arrivata tra i primi dieci. 

Gli anni tuttavia passavano inesorabili e alla fine, dopo essermi documentata sull’autopubblicazione, ho deciso che non potevo più aspettare e avrei pubblicato il romanzo per conto mio, attraverso la piattaforma di Narcissus che ora si chiama Streetlib. Questa decisione è stata fondamentale nel mio percorso perché finché cerchi di pubblicare (qualcosa che hai già scritto) non ti concentri sulla scrittura, ma quando finalmente ho pubblicato il mio primo romanzo ho scoperto di avere dentro me tante storie che aspettavano di uscire ed essere raccontate. Ed é grazie a questo che sono nati gli altri miei romanzi. In questi anni ho studiato molto e mi sono formata, la scrittura non é stata più approssimativa e di getto come lo era per i miei primi scritti, era molto più “composta”, quello che scrivevo di getto veniva poi riletto, cesellato e perfezionato. 

Per un po’ ho avuto anche un contratto con una piccola casa editrice che ha notato il mio romanzo L’amore  che ci manca, l’esperienza è stata piacevole perché é bello avere qualcuno che crede in te, ma è stato anche bello riappropriarmi dei miei diritti e ripubblicare il romanzo con i miei tempi e le mie esigenze. C’è una cosa importante poco evidente all’esterno, quando dipendi da una casa editrice devi sottostare a tempistiche di pubblicazione, scelte e richieste su stile e contenuto che non sono quasi mai in sintonia con le tue, ma ti adatti perché sono loro a comandare. Da self decidi tu come e quando pubblicare, come fare la copertina, se fare o meno il cartaceo, come promuovere il romanzo e i guadagni sono tuoi, se ci sono. 

I romanzi che mi hanno dato più soddisfazione sono stati quelli della serie “gialla”, un po’ perché i personaggi sono nati rispondendo a un mio bisogno interiore,  avevo necessità di trattare dei temi molto forti ma era difficile farlo attraverso una storia d’amore. Il genere giallo è stato quello che mi ha permesso di ampliare i miei orizzonti nell’ambito del mio desiderio di scrivere. La serie su Saverio Sorace mi ha dato anche qualche piccola soddisfazione in termini di vendite, perché nel complesso ho venduto un migliaio di copie, ne ho parlato tempo fa in un post eccovi il Link

Poi, dopo le esperienze positive della serie, ho pensato di provare di nuovo a propormi a una casa editrice, approfittando anche di un periodo più tranquillo sul lavoro, perché - ovviamente - anche per contattare una casa editrice occorre tempo e attenzione, non puoi mandare una mail a caso improvvisando, ne parlo in questo post Scrivere a una casa editrice 

La proposta del mio romanzo Il male non perdona, romanzo thriller fuori da una serie, ad alcune case editrici, non ha avuto nessun effetto; Longanesi mi ha risposto ricordandomi che era possibile partecipare al concorso Io scrittore, ma su quello ho già dato, inoltre partecipare a un concorso come quello implica dispendio di energie notevole, perché, per come è impostato, ti tocca leggere i romanzi degli altri partecipanti e dare un giudizio; ora, nel corso della mia passata partecipazione io ho preso seriamente il mio compito e ho valutato sempre dando dei giudizi con delle critiche costruttive,  anche a romanzi scritti parecchio male. Non sono sicura che sia stato fatto altrettanto nei miei confronti. Quindi Io scrittore no grazie, tra l’altro voleva dire far passare un altro anno di tempo. Il tempo é prezioso, più passa e più me ne rendo conto, per questo vorrei spenderlo al meglio, possibilmente per la vita vera. 

Lo so, certe passioni restano attaccate alla pelle e quindi probabilmente continuerò a scrivere, ma rallentando parecchio come di fatto è già successo. Dopo dodici romanzi e nove anni di blog è un’esigenza legittima, dovuta soprattutto alla necessità di riprendermi un po’ del mio tempo. 

Ora vi saluto, ma siccome ho questa canzone che mi gira in testa non posso lasciarvi senza farvela ascoltare (questo autore credo sia stato parecchio sottovalutato, oltre a essere autore delle sue canzoni, ha scritto pezzi per Mina e gruppi importanti come I nomadi e l’Equipe ‘84)


E lo so che non c’entra nulla con il mio post, ma anche a voi capita di essere legati a una canzone senza un vero perché? Se volete commentare anche sulla mia esperienza di scrittura ovviamente potete farlo.

Fonti immagini:Pexels

lunedì 10 luglio 2023

Le abitudini e la coperta di Linus

 

L’abitudine a cui non poniamo resistenza diventa necessità. Sant’Agostino.



Ogni Natale non riesco a non guardare il film “una poltrona per due” me lo guardo sul divano dopo aver cenato con tutta la famiglia e siamo in attesa della mezzanotte, magari dopo che i bambini hanno aperto i regali e siamo lì insonnoliti in attesa di poter chiudere la giornata. Pur conoscendo il film a memoria me lo guardo per l’ennesima volta, mi riporta a un atmosfera lontana quando il mondo sembrava più semplice, o forse è solo l’illusione data dal ricordo.

Ci sono abitudini rassicuranti a cui non sappiamo rinunciare, é una piccola riflessione che ogni tanto mi viene quando penso ad abitudini che si sono radicate nel tempo in alcune situazioni. Per esempio una volta quando arrivavo in ufficio amavo prendere il caffè al bar con alcune colleghe, quando i ritmi erano più affrontabili 

Le abitudini sono la nostra coperta di Linus ed è forse per questo che finiscono per piacerci sempre le stesse cose, riguardiamo le stesse serie tv, rileggiamo gli stessi libri, compriamo gli stessi vestiti. Per le serie tv per esempio ho cominciato a guardare una serie che mi ricorda tanto X-Files che tanto avevo amato negli anni novanta, beh lì c’era il protagonista interpretato da David Ducovny che mi solleticava gli ormoni, ma c’era anche la struttura della storia con i suoi misteri che mi piaceva moltissimo. Ho  scoperto di recente una serie su Prime che si chiama Fringe ed è molto simile a X-file, é incentrata su misteri inspiegabili e orripilanti su cui indaga l’agente Olivia Dunham che ha creato una squadra, dedicata allo studio di fenomeni paranormali, quali controllo della mente, teletrasporto, proiezione astrale, mutazioni genetiche e cose analoghe, composta da uno scienziato molto originale Walter Bishop e suo figlio Peter. Vi riporto la descrizione di Wikipedia.

Fringe è una serie televisiva statunitense prodotta dal 2008 al 2013.

Ideata da J.J. Abrams, Alex Kurtzman e Roberto Orci, è una serie di fantascienza che segue le vicende della divisione Fringe dell'FBI di Boston, in Massachusetts, e che opera sotto la supervisione del Dipartimento della Sicurezza Interna degli Stati Uniti. La squadra si occupa delle indagini legate alla cosiddetta scienza di confine, ovvero la fringe science


Altra serie che sto vedendo in questo periodo è il seguito di Sex and The city, ve lo ricordate? quattro amiche di New York giovani, belle e affermate nel lavoro vivono esperienze sessuali in piena libertà ma sotto sotto anche loro cercano l’amore vero. Questa serie degli anni novanta ebbe un successo strepitoso perché delle donne parlavano di sesso liberamente come gli uomini. Ecco la descrizione di Wikipedia 

Sex and the City è una serie televisiva statunitense, trasmessa originariamente dal canale HBO dal 1998 al 2004.

Carrie Bradshaw, Miranda Hobbes, Charlotte York e Samantha Jones, quattro donne legate da una profondissima amicizia, percorrono sullo sfondo dell'isola di Manhattan la loro vita da single sessualmente attive, alla volta del nuovo millennio. Il telefilm è diventato famoso per le scene ambientate in bar chic, ristoranti lussuosi o club esclusivi, per l'importanza affidata alla moda e per aver mostrato apertamente scene di sesso in un telefilm.

Insomma dopo Sex and The city, prima serie con le nostre quattro amiche tra i trenta e i quaranta, arriva la serie sequel And just like that? con le nostre amiche (che ora sono tre) ultra cinquantenni. Ho cominciato a guardare la prima puntata con scetticismo e invece sono stata catturata dalle nuove avventure, del resto appartengo anch’io a quella fascia di età e, pur considerando al top la prima serie, non posso fare a meno di seguire la seconda con curiosità. 

In questo periodo alterno la visione di Fringe e di Sex and The city sequel, mi distraggono dalla realtà. Ed è così che mi sono chiesta: ma perché finisco con guardare le stesse cose? Siamo fatti in un certo modo e quando ritroviamo qualcosa in cui ci riconosciamo finiamo per essere catturati, è la coperta di Linus che ci da sicurezza. Così percorriamo le stesse strade oppure andiamo negli stessi luoghi, quando cambiamo quartiere ci ricostruiamo le stesse routine quotidiane perché abbiamo bisogno delle nostre piccole rassicuranti abitudini. 

Ricordo che quando ho cambiato casa, ormai parecchi anni fa, ho ricreato la stessa disposizione di mobili della casa precedente, almeno per quello che il nuovo spazio (casa più piccola) mi consentiva, eliminando solo quello che nell’appartamento precedente proprio non mi piaceva. 

Anche con i vestiti mi ritrovo sempre a comprare le stesse cose, perché sono attratta dalle stesse caratteristiche che un indumento deve avere per me, ogni volta che mi lascio tentare dalla novità finisco con non indossarlo. Una volta - non avevo ancora fatto il cambio dell’armadio estivo - mi trovai in un negozio con una mia amica maniaca dello shopping e comprai una maglietta di cotone color jeans, non costava molto e mi sembrava molto fresca. Quando ho fatto il cambio dell’armadio ho ritrovato una maglietta molto simile ed era proprio uno di quei capi estivi che metto sempre perché in estate sono facili da abbinare, sono capi freschi e altre motivazioni personali, come il fatto che mi piace l’azzurro; ebbene nel momento dell’acquisto non ricordavo di avere quel capo, ma sono stata attratta da quella maglietta. Inutile dire che oggi che vivo una fase minimalista e cerco di evitare di riempirmi l’armadio di roba superflua, prima di comprare qualcosa cerco di “ricordare” quello che possiedo già, é meglio prima fare mente locale su quello che si ha già. Ogni volta che ci rifletto finisco per non comprare nulla, oppure compro quello che davvero mi manca ma - soprattutto - che davvero mi serve.

Spesso siamo inconsapevoli di quanto siamo legati ad alcune abitudini, per esempio quando il mio solito bar dove prendevo il caffè tutte le mattine andando al lavoro ha chiuso oltre un mese per ristrutturazione,  mi sono sentita un po’ persa, perché ogni mattina ci passavo davanti e mi fermavo per prendere il caffè e comprare il mio pranzo, era il mio rito prima di andare al lavoro. In quel mese non ho trovato un bar alternativo, mi portavo il pranzo da casa e saltavo il caffè, mi sembrava che mi mancasse qualcosa, niente di insormontabile vero, però mi mancava quel piccolo rito mattutino. 

E voi avete delle abitudini a cui siete legati in modo particolare?


Fonti immagini: Pexels 

Fonti testi: Wikipedia