sabato 15 gennaio 2022

Tornare alla normalità: what ever it takes

 

Viviamo in un sistema in cui o sei una ruota o finisci sotto le ruote (Friedrich Nietzsche)


“Il mondo è cambiato. Dobbiamo cambiare noi. Innanzitutto non facendo più finta che tutto è come prima, che possiamo continuare a vivere vigliaccamente una vita normale. Con quello che sta succedendo nel mondo la nostra vita non può, non deve, essere normale. Di questa normalità dovremmo avere vergogna. Non voglio tornare alla normalità, perché la normalità era il problema.”

Tiziano Terzani.


Ho letto questa frase di Tiziano Terzani nell’articolo di una rivista poco prima di Natale e mi ha fatto riflettere. Sembra che il desiderio di tutti sia quello di tornare alla normalità, ma che cosa era la normalità? Il consumismo sfrenato, il capitalismo e il profitto a tutti i costi, a scapito dei diritti dei lavoratori (che poi, all’occorrenza, sono pure loro consumatori)? Per carità un po’ di consumismo che male fa! Dona un po’ di leggerezza alla pesantezza della vita, certo se poi compri una maglietta a 5 euro magari é utile porsi qualche domanda, costa così poco perché hanno sfruttato qualcuno? Magari ci ha lavorato un bambino a cui hanno rubato l’infanzia, però non è solo questo il problema. Quanta gente vive intorno alla vendita di questi prodotti a basso prezzo? Io smetto di comprare ma il venditore avrà una sua famiglia che mantiene con la sua attività di vendita, insomma il problema è molto più complesso di quanto sembri.

La normalità era il problema ed è questo che deve farci riflettere perché é il sistema che deve cambiare, ma cambiare il sistema non è semplice. Siccome tutto ruota intorno all’economia forse come consumatori possiamo indirizzare le nostre scelte, del resto i cambiamenti “pacifici” avvengono con piccoli ma inesorabili passi. Negli ultimi anni ho avuto sempre più la sensazione che il mondo andasse verso una deriva terribile, siamo diventati sempre più criceti che corrono nella ruota, tutto in nome di un’efficienza che non era quasi mai al servizio del benessere della persona. Certo al mondo occidentale ha fatto molto comodo crescere e godere di tanti vantaggi, la globalizzazione ha permesso di ridurre sempre più i costi di molti prodotti e di arrivare a un livello tecnologico altissimo. Non ci siamo accorti però che tutto questo aveva un prezzo elevato e che presto avremmo pagato un conto molto salato anche qui in Occidente. 


Ci siamo “distratti” e la corsa al profitto ha portato a scelte scellerate, delocalizzazioni di stabilimenti all’estero dove il personale costa meno, smantellamento dei diritti dei lavoratori (vi ricordate l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori eliminato per favorire le imprese? e la riduzione della pausa dei lavoratori Fiat? e la legge Fornero che ci farà lavorare fino a un’età imprecisata come fossimo robot?) io me lo ricordo bene e, probabilmente, mi sfuggono altre leggi capestro passate sotto silenzio in nome dell’economia. Per non parlare delle norme sulla sicurezza che, a livello burocratico, aumentano vertiginosamente ma poi - nei fatti - non riescono a tutelare il lavoratore ed é lampante con le morti sul lavoro (o incidenti invalidanti) che continuano a verificarsi tutti i giorni. Se si lega ogni attività alla logica del profitto, se ogni servizio è comprato al massimo ribasso, non stupiamoci se poi c’è qualcuno che “risparmia” sulla sicurezza; nel 2021 abbiamo avuto un numero incredibile di casi emblematici di questa situazione: l’incidente della funivia del Mottarone, gli incidenti sul lavoro per macchinari manomessi per aumentare la produzione (oltre mille morti sul lavoro secondo il rapporto INAIL). 


Non si tratta solo del massimo ribasso, ma anche del risparmio sulle assunzioni di chi deve controllare, se gli ispettori del lavoro sono pochi rispetto al tessuto aziendale nazionale, i controlli non vengono effettuati, non basta la legge, servono anche gli strumenti per operare e non si può operare efficacemente senza le “persone” che devono farlo. Le assunzioni nel settore pubblico sono state ridotte sempre più, “grazie” alla propaganda di certa politica che denigrava i pubblici dipendenti come fannulloni (in questo modo si è operato uno smantellamento progressivo di molti settori compreso quello sanitario di cui, guarda caso, ci si è accorti solo con lo scoppiare della pandemia). 


Che poi, certe scelte di risparmio sulla vita dei lavoratori hanno anche altre conseguenze, meno traumatiche, ma ci sono, per esempio sui consumi. Nel periodo in cui lavoravo dodici ore al giorno perché mi avevano assegnato un progetto impossibile da gestire con le mie sole forze (ero responsabile di un settore con sei persone dove ne sarebbero servite dieci) mi caricavo di una serie di incombenze per garantire le scadenze. Ecco in quel periodo non “consumavo” non avevo neanche il tempo di andare a mangiare al bar in pausa pranzo, così mi portavo un panino da casa, non andavo più in palestra e il fine settimana non facevo shopping neanche se ne avevo voglia perché ero troppo stanca. 

Con il tempo ho smesso di rincorrere certi consumi per scelta, ma anche perché per “godere” di alcuni consumi serve avere del tempo, più il tempo libero si riduce, meno hai voglia di uscire la sera, andare al cinema o a teatro, andare in giro per negozi, uscire con gli amici e consumare “beni di consumo”, questo prima della pandemia. Forse è per questo che quando si è bloccato tutto io ho sofferto meno degli altri. Insomma io avevo la capacità economica di “consumare” ma non avevo il tempo (e la voglia perché l’avevo persa) per farlo. Quando ci si lamentava della crisi economica questo era il mio pensiero, facendo una statistica casereccia avevo scoperto che era così per molti miei colleghi e amici. 


E poi c’è il clima, ogni volta che risparmiamo o compriamo qualcosa a basso costo produciamo inquinamento, riempiamo la nostra vita di oggetti inutili che andranno a invadere l’ambiente. Abbiamo aperto i negozi anche nei giorni festivi per “vendere” di tutto e a tutte le ore, sempre in nome della crescita economica, non ci accorgevamo che questa crescita era a scapito del nostro tempo libero, del tempo passato in famiglia con i nostri affetti. 

Forse dovremmo tornare a riappropriarci della domenica senza acquisti, magari promuovere parchi e aria aperta nel rispetto della natura.


Insomma la “normalità” che avevamo non la voglio più. Non voglio tornare alla normalità a ogni costo, perché il prezzo sta diventando sempre più insostenibile.


17 commenti:

Caterina ha detto...

Il discorso è giusto, sta di fatto che la pandemia non ha annullato la vecchia normalità economica, l’ha sospesa per un breve periodo, ma si è ripartiti anche peggio di prima si può dire. Oggi tutto questo sta continuando ed è la dimostrazione che l’uomo non impara mai niente. Io credo che la pandemia si sia originata anche da questo modello economico insostenibile che ha sconvolto tutti gli equilibri naturali.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Infatti Caterina è proprio così, il modello economico da “criceti in gabbia” ha portato parecchie storture che hanno contribuito anche a creare la pandemia, per questo serviva cambiare tutto ma come giustamente hai affermato non è cambiato niente anzi siamo peggiorati.

Sandra ha detto...

La vecchia normalità economica, secondo me, non è mai finita. Lavoro in un settore che non si è fermato neppure durante il primo e unico lockdown e le pressanti richieste ai lavoratori sono persino aumentate, con la scusa che la pandemia stava facendo perdere incassi. E' molto difficile sottrarsi a questo sistema, dire "no" senza assolutamente scadere nel diventare lavativi, può dare il via a pesanti ripercussioni. In generale la mia etica personale di acquisti più consapevoli, spendere il tempo libero in maniera più sana non ha avuto bisogno della pandemia per farmi riflettee e rivedere le abitudini.

Giulia Lu Mancini ha detto...

È vero (e per fortuna) che molti settori, come il tuo e il mio, non si sono mai fermati, anzi forse sono finiti in un frullatore ben peggiore di prima della pandemia, perché si sono dovuti organizzare on line anche con strumenti di emergenza per mantenere il livello di servizio. Il problema è stato dei settori legati ai viaggi e al turismo, ai servizi alla persona, bar, ristoranti, parrucchieri, spettacoli e il settore delle vendite di “beni non indispensabili”. Tuttavia quello che non sembra indispensabile è comunque vitale per le persone e le famiglie che ruotano intorno a queste attività che prima erano anch’esse nel frullatore. Il problema è un altro, la globalizzazione non è sostenibile, per questo bisogna rallentare e trarre un insegnamento da quanto successo, non mi sembra però che si stia operando in tal senso.

Ariano Geta ha detto...

Disamina lucidissima che condivido in pieno. Nel momento in cui la movimentazione di denaro diventa la "necessità" principale, ne consegue che gli esseri umani diventano secondari rispetto all'economia in senso globale.
L'occidente si è trovato negli ultimi anni a dover competere con economie emergenti (Cina e India su tutte) in grado di produrre con costi molto più bassi. Qual è stata la risposta dell'occidente a tale sfida? É stata una cosa tipo "Diventiamo anche noi un po' più Cina-India, abbassiamo anche noi i costi di produzione".
Il fatto che per ottenere tale risultato è stato ritenuto utile ridurre anche i diritti e le tutele dei lavoratori è passato in secondo piano, quasi fosse una "inesorabile necessità".
La mia paura è che anche in Europa arrivi un modello di stile americano, in cui il denaro è talmente sovrano da renderlo "conditio sine qua non" persino per frequentare un corso di studio universitario o per essere ricoverati in un ospedale.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Il modello americano è davvero terrificante ma, se ci hai mai fatto caso, molti nostri governi hanno inneggiato all’efficienza economica americana come un modello da seguire, tanto che molte riforme, per esempio la riforma scolastica la legge Gelmini, sono state varate in nome di questa presunta “efficienza”. Guarda caso la riforma Gelmini ha portato un grave danno ai corsi universitari dell’Università pubblica italiana (i criteri della Gelmini non si applicano alle università private, mi sembra un segnale no?). Allo stesso modo stava avvenendo per la sanità pubblica, piano piano smantellata, una volta c’erano più ospedali, ma quelli piccoli magari nelle isole sono stati soppressi (mio cognato era medico ed è stato costretto a trasferirsi a lavorare nell’ospedale del paese vicino) poco male in certi casi ma se in un isola manca l’ospedale e c’è brutto tempo, ti viene un infarto e muori perché non riesci a raggiungere l’ospedale più vicino (se c’è il mare di mezzo può accadere). Insomma forse dovremmo essere grati alla pandemia che ha portato alla luce i problemi della sanità italiana, soprattutto in certe regioni per così dire “eccellenti”. Sarà servito, chissà io un po’ ci spero...
È questa “normalità” che proprio non rivoglio

Giulia Lu Mancini ha detto...

Tra l’altro certi provvedimenti nefasti sono arrivati proprio da governi cosiddetti “di sinistra” guarda l’abolizione dell’articolo 18...e mi fermo qui

Elena ha detto...

Cara Giulia, condivido in pieno questo tuo pensiero e mi stupisco, ma non dovrei, per l'incredibile attualità delle parole di Terzani, che, in quanto profondo conoscitore dell'animo umano, ha pronunciato "sentenze" che sono eterne. Quella normalità di cui parli non la voglio più nemmeno io, sto facendo delle scelte che mi permetteranno di superarla, nel mio piccolo quotidiano, perché non mmi interessa e non la considero più funzionale per me. Certo per ragioni diciamo così ideologiche, ma anche pratiche. Vivere in un contesto in cui le risorse sono sempre più destinate ai ricchi o a una parte di mondo che le assorbe come un enorme Leviatano, insulta i miei principi e il mio modo di essere. Mentre proviamo a cambiare lo stato dell'arte, possiamo cambiare il nostro modo di vivere in questa società. In qualche modo bisogna sopravvivere. What ever it takes. Ma non nel senso che intende l'autore di questa famosa quanto abusata frase. Non a tutti i costi.

Maria Teresa Steri ha detto...

Una bella riflessione che condivido. La normalità tanto agognata da tutti, intesa come consumismo e mancanza di rispetto per le risorse, non è affatto auspicabile. Tante cose sono peggiorate negli ultimi decenni e forse la pandemia avrebbe potuto darci una svegliata, ma ho l'impressione che lo abbia fatto con poche persone, perché in troppi desiderano solo tornare a svagarsi e uscire come prima. Ma forse pochi è meglio di nessuno...

Giulia Lu Mancini ha detto...

È incredibilmente attuale la considerazione di Tiziano Terzani, mi sono stupita anch’io. Per questo quando l’ho letta sono rimasta folgorata, sembra proprio scritta ai nostri pandemici giorni, invece Terzani è morto in un tempo più lontano ma era già molto avanti, cara Elena.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Pochi è meglio di nessuno Maria Teresa, tuttavia speriamo che tra quei pochi ci sia qualcuno che possa contribuire al cambiamento, magari qualcuno al posto giusto che possa fare la differenza. É davvero desolante che la pandemia non abbia scosso le coscienze abbastanza da portare un cambio di passo, ma forse qualcosa può ancora accadere, non perdo la speranza.

Luz ha detto...

Faccio fatica a immaginare il ritorno alla normalità. Davvero in certi momenti non ricordo più come eravamo. Poi una cosa sono le nostre vite, altro il resto del mondo, e lo scenario, che tu descrivi bene, non è di quelli incoraggianti.
Sono molto scettica riguardo a una presa di coscienza dell'uomo contemporaneo verso una normalità che in effetti non dovrebbe assomigliare a quella di prima. L'uomo potrebbe fare di questa pandemia un'occasione, ma non accadrà. Torneremo a quella normalità, resa ancora più complessa dal tentativo di ritrovare il benessere di prima. :(

Giulia Lu Mancini ha detto...

Non credo torneremo alla normalità così come era prima, ma per certi aspetti la realtà potrebbe anche peggiorare visto che, in nome di questo ritorno alla “normalità”, molte scelte non sono molto “ragionate” ma vorrei sbagliarmi. Non ci resta che aspettare come si dice: chi vivrà vedrà...

Barbara Businaro ha detto...

Io non penso di "tornare al prima" semplicemente perché la pandemia non mi ha cambiato più di tanto la vita (se non per il disagio delle fpp2 e le auto limitazioni per proteggere le persone care). Prima dello smart working già telelavoravo, avevo già postazione dedicata, difficoltà a far comprendere in condominio che sto lavorando e non sono a casa a pettinare le bambole, videoriunioni ogni secondo e vetifica delle performance. Tutto normale. Ad avermi mandato in crisi, casualmente scoperto poco prima della pandemia, è il vergognoso CCNL Commercio in vigore già da parecchi anni, che toglie i permessi retribuiti per i primi 4 anni di un nuovo contratto (e io avevo appena cambiato società). Uno scempio che poi si è riflettuto male sull'economia: se non ho permessi (e poche ferie), non vado a fare acquisti, non gestisco casa, non posso nemmeno passare dal medico o farmi un esame. Ho ristretto tutto al necessario e tutto il resto acquistato online (acquisto anche a mezzanotte, si muove il corriere, io apro solo la porta di casa). Quindi complimenti a quei geni dell'Economia giù a Roma che l'hanno pensata, applausone proprio.
E io avevo appena cambiato lavoro per non fare più trasferte e avere più tempo per me. Una mazzata completa. Ma la riflessione sulla mancanza di tempo libero l'avevo già fatta...
Con la pandemia, anche altri sono stati spinti su questi ragionamenti, vuoi per l'eccesso di smart working, o per aver riscoperto invece il tempo con i famigliari, o per essersi trovati senza lavoro a ripensare alle proprie scelte (sempre che siano scelte!). In america questo sta portando al fenomeno del Great Resignation, delle dimissioni in massa, specie tra i colletti bianchi. Il che inizia ad avere un certo impatto anche sulle assunzioni: si cerca un lavoro retribuito ma bilanciato sul tempo libero. Per cui le aziende sono costrette a considerare come benefit un orario di lavoro ridotto rispetto al passato. Mi auguro che arrivi presto anche da noi questa rivoluzione, ma dipende anche dalle nostre scelte.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Capisco molto bene, il tempo libero ha anche un ritorno economico, un lavoratore stanco che deve arrancare per trovare il tempo per poter fare le sue attività fuori dal lavoro, limiterà tutto quello che è superfluo oppure troverà alternative che facciano risparmiare tempo (per esempio gli acquisti on line) ma questo è a discapito del mercato tradizionale e anche dell’indotto di contorno (bar e ristoranti). Del resto se fossimo governati da persone intelligenti e lungimiranti forse non saremmo a questo punto...

Marco L. ha detto...

Ciò che chiami "normalità" per molte ragioni sarebbe più appropriato definirla "consuetudine".
Comunque sul tuo discorso si potrebbe obiettare che viviamo meglio della generazione precedente. E che probabilmente la generazione che ci seguirà vivrà meglio della nostra. E più su questo secondo punto che ho qualche dubbio.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Ho il tuo medesimo dubbio, non sono sicura la generazione che ci seguirà vivrà meglio, anzi penso che sia il contrario, ma spero di sbagliarmi. Abbiamo creato un mondo più inquinato, con lavori più precari e globalizzati, apparentemente facilitato da una maggiore tecnologia ma che è più facilmente attaccabile e quindi più fragile.