domenica 23 febbraio 2025

Il lato ribelle di ognuno di noi

 

Non c'è nulla di comodo nella libertà. Nasce da un grido di battaglia, da una ribellione, da un salto nel vuoto. (Fabrizio Caramagna)

Ognuno di noi ha un lato ribelle, ne sono convinta. In fondo, siamo tutti fatti di sfaccettature diverse, ma non sempre le mostriamo. Alcuni aspetti emergono solo in determinate situazioni o quando ci troviamo in un contesto più familiare.

L’altro giorno leggevo un’intervista a Ewan McGregor, un attore che mi piace molto e che ho visto di recente in Pastorale americana, tratto dal libro di Philip Roth. É un attore estremamente versatile, capace di interpretazioni sempre intense e diverse tra loro. Nell’intervista parlava proprio del suo lato ribelle. Mi ha fatto pensare a quanto mi aveva colpito in Trainspotting (1996), un film crudo e potente in cui interpretava un ruolo particolarmente duro. Negli anni l’ho riscoperto in altri film, apprezzando sempre di più la sua capacità di trasformarsi. In Pastorale americana è davvero straordinario e, leggendo l’intervista, ho scoperto che non solo vi recita, ma lo ha anche diretto.

Tornando alla sua vena ribelle, raccontava di sognare un viaggio in solitaria attraverso gli Stati Uniti su una moto d’epoca, una American Chopper vintage. Lo affascina l’idea di osservare il paese con gli occhi di un americano, vivendo la strada e il viaggio in modo autentico.

E questo mi ha fatto riflettere: ognuno di noi ha un lato che rimane nascosto fino a quando non si trova nel giusto contesto. Spesso le persone appaiono in un certo modo in base all’ambiente in cui le incontriamo. Sul lavoro, ad esempio, vediamo solo una parte della loro personalità, quella che meglio si adatta a quel contesto. Ma fuori da quell’ambiente possono sorprenderci. Mi viene in mente un impiegato della banca dove ho il conto. Lo vedevo sempre in giacca e cravatta, impeccabile nel suo ruolo, ma un dettaglio mi aveva colpito: portava un orecchino. Mi sembrava quasi un piccolo atto di ribellione contro il rigido ambiente bancario. Un giorno, chiacchierando con lui, scoprii che nel tempo libero suonava in una band rock. E in un certo senso, non ne ero sorpresa: dietro la sua immagine formale, c’era un’anima diversa.

Anche io, fuori dall’ufficio, sono una persona diversa. Una volta una collega mi ha detto: ma sai che sei molto simpatica fuori dal lavoro? In ufficio sei sempre così seria! In effetti, quando si è concentrati sul lavoro, non c’è tempo per battute e chiacchiere leggere. Ma questo non significa avere due facce: semplicemente, adattiamo il nostro modo di essere al contesto in cui ci troviamo.

Alla fine, siamo tutti più complessi di quanto sembri a prima vista. E forse, proprio in quelle sfumature che sveliamo solo a volte, si nasconde la parte più autentica di noi.

Credo di esprimere la mia ribellione attraverso la scrittura, in fondo i miei personaggi osano più di me e fanno scelte e azioni che io non ho il coraggio di fare. Forse è anche per questo che mi piace scrivere. Nelle mie intenzioni più nobili cerco anche di raccontare verità scomode che non saprei descrivere in altri modi. Non so se ci riesco fino in fondo, ma nei miei gialli ci provo. 

È il mio modo di ribellarmi a certi aspetti della realtà che non mi piacciono e provare a raccontare una verità oggi sempre più sfumata e strumentalizzata. 

Ma sulle verità da raccontare ci sarebbe ancora molto da dire. Forse ne parlerò meglio in un altro post. Queste sono solo riflessioni, un po' frettolose, di una domenica mattina di semi ozio, in cui mi sono resa conto che anche questo febbraio 2025 sta per finire, dopo un Festival di Sanremo, di cui mi ha colpito la "piattezza": nessuna polemica, cantanti impeccabili, spazio solo per canzoni d'amore e dolori rassicuranti. Nessun tema controverso, nessuna protesta. Personalmente, ho sentito molto la mancanza di voci come Dargen D'Amico e Ghali.

Ecco la domanda per voi: avete un lato ribelle e come lo manifestate?


Fonti immagini: pexels 


sabato 8 febbraio 2025

Superare le paure del mondo

L’uomo porta dentro di sè le sue paure bambine per tutta la vita. Arrivare a non avere più paura, questa è la meta ultima dell’uomo. Italo Calvino 

Circa un anno fa lessi un articolo sulla paura e sull’ansia che caratterizza sempre più la nostra società. Cerco di riportare di seguito quello che mi è rimasto più impresso e quello di cui avevo preso appunti. 


“Viviamo immersi in un clima di cupi presagi, circondati da pensieri che agitano il nostro presente: pandemie, catastrofi climatiche, guerre alle porte. Il 57º Rapporto sulla situazione sociale del Paese, pubblicato dal Censis, fotografa una società che guarda al futuro con paura. Tra le preoccupazioni più diffuse spiccano il cambiamento climatico, gli sconvolgimenti globali legati ai flussi migratori e il timore di un conflitto mondiale. Basta aprire un giornale o accendere il telegiornale per scatenare ogni tipo di ansia.

L’ansia è il male del nostro tempo: viviamo in un costante stato di allerta per eventi che non sono ancora accaduti e che forse non accadranno mai, ma che potrebbero verificarsi. La paura accompagna il pericolo reale, mentre l’ansia lo anticipa. Oggi la mente umana è perennemente in allerta: si teme di perdere il lavoro, di essere esclusi dal proprio gruppo sociale, di ammalarsi gravemente.”


Purtroppo, l’ansia può intrappolarci in meccanismi pericolosi. Una delle trappole più comuni è l’evitamento: ci sottraiamo a una situazione per paura di non saperla affrontare, ma più la evitiamo, più la paura si trasforma in fobia. Un’altra trappola è la dipendenza da qualcuno: incapaci di affrontare una situazione da soli, cerchiamo la compagnia di una persona che ci dia sicurezza. Tuttavia, questo comportamento non fa che rafforzare la convinzione della nostra inadeguatezza, rendendoci sempre più dipendenti. Infine, vi è la trappola del controllo: tentiamo di gestire razionalmente le nostre reazioni fisiologiche—come il battito cardiaco accelerato o il respiro affannoso—ma questo sforzo può rivelarsi controproducente e sfociare in attacchi di panico. 

Io stessa sono abbastanza ansiosa, cerco di controllare l’ansia anticipando - per esempio- gli impegni lavorativi, programmando il più possibile le attività in anticipo, ma non sempre funziona perché c’è sempre l’imprevisto in agguato. 



Conosco persone che soffrono di ansia patologica e che vivono con grande difficoltà. Un parente del mio compagno, ad esempio, vive in una paura ossessiva di tutto. Se deve andare in ospedale per un controllo, non riesce a dormire per il terrore di aver contratto qualche virus o di aver assorbito radiazioni semplicemente passando vicino al laboratorio di radiologia. È affetto da disturbo ossessivo-compulsivo e, nonostante stia cercando di curarsi, non mostra segni di miglioramento.


Ai tempi dell’università, una coinquilina di una mia amica soffriva di una forma di agorafobia: non riusciva a uscire di casa da sola e aveva sempre bisogno di essere accompagnata. Le sue coinquiline si alternavano per starle vicino, perché quando era sola evitava di andare all’università. Non so come sia riuscita a laurearsi—seppur in ritardo—ma so che ha intrapreso un percorso con uno psicoterapeuta e oggi, forse, sta bene.


Anch’io ho avuto una fobia: la paura dei cani. Me l’ha trasmessa mia madre, che da piccola mi diceva sempre di stare attenta ogni volta che ne vedevo uno. Era lei ad avere paura, ma io, istintivamente, ho interiorizzato la sua fobia. Da adulta, però, sono riuscita a superarla: ho iniziato ad avvicinarmi al cane di una mia amica e, con il tempo, ho preso confidenza. Ora i cani piccoli non mi spaventano più—una volta sì, anche quelli minuscoli—e nemmeno quelli più grandi mi fanno paura. Tuttavia, continuo a essere guardinga con alcune razze considerate pericolose, come pitbull e dobermann. Non si tratta più di una fobia, ma di una normale prudenza.


Mia sorella, negli ultimi vent’anni, ha sempre avuto dei cani. Ha iniziato con uno di piccola taglia, che è vissuto fino a 13 anni, e oggi ne ha uno di media grandezza, ormai anziano. Spesso mi capita di portarlo fuori e, ormai, interagisco con i cani di parenti e amici in modo del tutto spontaneo, senza più alcuna paura.


L’articolo che ho letto è di un anno fa, ma resta attuale: la situazione non sembra affatto migliorata. Siamo ancora con la guerra alle porte, più o meno, e un nuovo presidente americano deciso a dominare il mondo insieme a un miliardario che si crede onnipotente.


La democrazia mi pare sempre più fragile, forse perché nel pensiero comune appare troppo faticosa. La libertà è indissolubilmente legata alla responsabilità, e questo la rende difficile da gestire. Governare democraticamente significa confrontare opinioni diverse, cercare un accordo o almeno un buon compromesso nel rispetto dei diritti di tutti. Ma significa anche proteggere le minoranze e i più fragili—eppure, oggi, questi ultimi sembrano sempre più oppressi e schiacciati.


Si fa strada l’idea che sia più semplice affidarsi a un “uomo forte”, capace di decidere per tutti, riducendo problemi complessi a soluzioni rapide e autoritarie. E forse è proprio questo che mi spaventa di più: vedere la democrazia vacillare sotto il peso della sua stessa complessità.



Pensate che il mio quadro sia troppo pessimistico? Voi di cosa avete paura?


Fonti immagini: pexels 




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