giovedì 30 ottobre 2025

Quella strana nostalgia

Non so se tutti hanno capito Ottobre la tua grande bellezza, nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza. Francesco Guccini 

 

Ottobre ha sempre avuto per me un fascino particolare. È un mese che segna la fine di qualcosa e, allo stesso tempo, un nuovo inizio: le giornate si accorciano, ma la luce diventa più morbida, più intima. Sembra un tempo sospeso, fatto di luci dorate e pensieri quieti. Forse è per questo che mi ritrovo spesso a fare bilanci, a guardare indietro e a cercare un senso nelle piccole cose di ogni giorno.

Siamo ormai arrivati alla fine di ottobre anche quest’anno. È stato un mese trascorso piacevolmente, nonostante le ansie di cui accennavo nel mio ultimo post. 

Mentre settembre ci lascia ancora assaporare gli ultimi strascichi d’estate, ottobre ci immerge nell’autunno, è un mese che invita alla lentezza e alla riflessione, un invito che accolgo sempre con entusiasmo: un po’ perché sono pigra, un po’ perché la mia natura mi porta a ritirarmi in me stessa e a godere delle piccole cose.

Il sole autunnale ci ha regalato molte giornate luminose, e ne ho approfittato per concedermi lunghe passeggiate, spesso immerse nella natura. Abbiamo anche trascorso una splendida giornata in campagna per festeggiare l’arrivo dell’autunno. Una nostra amica ha una casa in campagna, e ogni anno, più o meno in questo periodo, ci ritroviamo tutti insieme per un pranzo all’aperto tra grigliate e castagne. È diventata una tradizione, un modo semplice ma autentico per ritrovarci e celebrare il fatto di essere ancora insieme.

Proprio in quell’occasione mi sono sorpresa a pensare agli anni passati. Ho iniziato a frequentare questa compagnia nel 1984, all’inizio del secondo anno di università — sono passati quarantun anni. In mezzo ci sono stati periodi di distanza, almeno per quanto mi riguarda: matrimoni finiti, momenti particolari, silenzi. Poi, qualche tempo fa, ci siamo ritrovati, e da allora non ci siamo più persi di vista. La festa d’autunno è diventata il nostro modo di dirci che, nonostante tutto, ci siamo ancora.

E così, inevitabilmente, si torna con la mente agli anni in cui tutto era ancora possibile: il futuro come una tela bianca, che faceva un po’ paura ma anche sognare. Poi arrivano gli anni del lavoro, della vita frenetica, in cui non c’è tempo per porsi troppe domande, né esistenziali né professionali.

E infine, quasi senza accorgertene, varchi la soglia dei cinquanta, poi dei sessanta, e senti il bisogno di fermarti. Di riflettere. Di assaporare la vita con calma.

Ormai sappiamo chi siamo, molto più di quanto potessimo immaginarlo a vent’anni, quando ancora si navigava a vista in cerca di una direzione. Certo un po’ mi manca quel tempo in cui era ancora tutto possibile, in cui mi chiedevo “cosa farai da grande?” Era anche un tempo in cui il mondo sembrava migliore, anche se forse non è davvero così, è solo il velo offuscato della memoria che fa sembrare tutto più bello. 

In questo mese in cui il tempo rallenta e i ricordi tornano a bussare, sento il bisogno di fermarmi, di guardare indietro e di ringraziare per le strade percorse e per le persone che ancora camminano accanto a me. 

Forse è questo che mi piace dell’autunno: la capacità di farmi rallentare e guardare le cose con occhi più sinceri. Con il passare del tempo non cerco più grandi risposte, ma piccoli momenti di verità

Mi piace pensare che ogni autunno porti con sé una nuova consapevolezza, un modo diverso di stare al mondo. Anche se il tempo passa, restano le persone, i ricordi e quella voglia semplice di condividere un pezzo di strada insieme.

Volevo scrivere un testo con uno spirito ottimista e non lamentoso, ma alla fine è venuto fuori un post piuttosto nostalgico. Capita anche a voi, quando l’aria si fa più fresca e le foglie cambiano colore, di sentire una lieve nostalgia per qualcosa che non sapete definire?






Fonti immagini: foto mia del sentiero di accesso della casa di campagna 

domenica 12 ottobre 2025

Ballando sull’orlo del precipizio

 

Tutta la propaganda di guerra, tutte le urla, le bugie e l'odio, provengono invariabilmente da persone che non stanno combattendo. George Orwell.

Non so voi, ma in questi giorni ho la sensazione di vivere nell’attesa di una catastrofe imminente, come se la terza guerra mondiale potesse scoppiare da un momento all’altro. Putin gioca con i droni nei cieli d’Europa, mentre quell’americano grottesco, che prometteva di chiudere la guerra in Ucraina in tre giorni se fosse stato eletto, ora minaccia di mandare in mare i suoi sommergibili nucleari. Sembra di assistere a due bambini che giocano con i destini del mondo — il nostro mondo occidentale, indebolito da ottant’anni di pace e incapace di imparare davvero dalla storia.

E cosa possiamo fare noi, cittadini comuni e spesso inermi? Oltre, magari, ad andare a votare quando è il momento — finché viviamo in una democrazia — occorre agire. Bisogna farsi sentire, partecipare, fare rumore con scioperi e manifestazioni in piazza.

Devo dire che questo Paese, tutto sommato, mi ha stupito: ho visto una grande partecipazione sia il 22 settembre sia il 3 ottobre. In quest’ultima occasione mi sono trovata personalmente coinvolta nei disagi della manifestazione: mio malgrado, ero nei pressi di una strada che portava alla tangenziale, dove avrei dovuto passare anch’io. Ci ho messo due ore e mezza per riuscire a tornare a casa, ma nonostante tutto ero contenta di vedere tanta gente in strada — finalmente qualcosa si muoveva.

È di questi giorni la notizia dell’accordo di pace tra Israele e Gaza (sarà vero?). Io resto alla finestra e aspetto gli eventi: spero che non sia soltanto un’illusione, anche se, probabilmente, è appena iniziato il tempo degli affari legati alla ricostruzione — affari da cui, certamente, trarranno vantaggio i grandi registi che hanno deciso la pace alle loro condizioni.

Tuttavia, anche così, dobbiamo rallegrarci: i bambini di Gaza potranno mangiare e tornare a scuola, anche se per ora vivranno nelle tende.

E l’Ucraina? C’è speranza anche per l’Europa? Putin smetterà, finalmente, di bombardare?

È difficile dirlo: in questa guerra pesano interessi economici enormi — le famose terre rare — e, purtroppo, la guerra resta soprattutto una questione di economia. Come recita una bella poesia di Trilussa, “la guerra la fanno i poveri, ma la decidono i ricchi”.

La storia ci ha insegnato che ogni pace è fragile, ma anche la più imperfetta vale più di qualsiasi guerra, perché ogni tregua, ogni bambino che torna a scuola, ogni silenzio dopo una sirena è già un piccolo inizio. E da qualche parte, forse, la pace sta imparando a camminare. 

Restiamo sull’orlo del precipizio, sospesi tra guerra e pace, tra verità e propaganda, con il vento della storia che ci spinge e la paura di cadere. Ma forse, proprio lì, su questo margine incerto vale la pena credere che qualcosa possa cambiare. 

Vi lascio con questa bellissima poesia recitata dal grande Gigi Proietti - link yuotube - mai parole mi sono sembrate così attuali 



Fonti immagini: Pixabay