Mi capita spesso di leggere romanzi che non riesco a inquadrare nel tempo e nello spazio. A volte è una scelta voluta, quando l'autore decide di non definire con esattezza il tempo e il luogo in cui si svolge la trama, questo avviene nei romanzi di Saramago, vi posso citare Le intermittenze della morte e Cecità. In realtà io amo poter inquadrare un romanzo in un periodo preciso, mi sembra di capire di più, ma forse è una mia fissazione. Quando un romanzo è solo un insieme di azioni senza un quadro preciso di insieme in cui le azioni avvengono, il lettore come me si sente un po' spiazzato, durante la lettura mi capita di pensare "Ma quando è accaduto tutto questo? Che epoca era?"
Ci sono poi quei romanzi dove il tempo è dilatato, nel senso che il tempo della storia è una settimana oppure un giorno o una sola notte e ogni capitolo corrisponde a un'ora che scorre, vi ricordate la serie TV "24"? Ogni episodio si svolgeva in 24 ore. Guardare la serie, cosa che ho fatto occasionalmente, mi causava uno stato d'ansia notevole perché c'era un pericolo da scongiurare e veder scorrere i minuti sullo schermo mi causava una certa tachicardia.
Come definire il tempo nei romanzi? Si può lasciare lo svolgimento in un tempo indefinito, ma circoscritto in una certa stagione, per esempio la storia può iniziare in una mattina di primavera e terminare in estate o proseguire fino all'inverno, oppure tutto può svolgersi in una settimana.
In Pista nera di Antonio Manzini, per esempio, la vicenda dura proprio una settimana, una qualsiasi settimana di un'inverno ad Aosta; in Gli indifferenti di Alberto Moravia tutto si svolge in due giorni, però io non me ne sono accorta, perché il fatto che la storia si svolgesse in due giorni l'ho letto nella presentazione del libro. È un libro che ho riletto da poco e l'ho apprezzato soprattutto per lo spaccato che ci offre di una società in decadenza, quel momento a tratti inconsapevole della storia d'Italia in cui il ventennio fascista non lascia ancora presagire la tragedia verso cui sta rotolando il paese.
A volte c'è bisogno di circoscrivere una storia in un dato periodo, breve o lungo che sia, per esempio se la vicenda si svolge durante una vacanza allora il tempo può essere una settimana, dieci giorni, un mese. Nel mio romanzo Fine dell'estate tutta la prima parte del romanzo si svolge in estate, per l'esattezza in due mesi, agosto e settembre; poi c'è una seconda parte che si svolge tra l'autunno e l'arrivo dell'estate successiva. Lo svolgimento con queste tempistiche è stato quasi spontaneo. Il "tempo" della storia si può stabilire in anticipo, nella fase della progettazione, oppure può delinearsi in modo naturale capitolo dopo capitolo.
Devo ammettere che il più delle volte scrivo seguendo l'istinto, ma ogni tanto mi sono dovuta fermare e riflettere sui tempi che volevo dare alla trama, lo spazio invece è quasi sempre collegato alla città in cui vivo, oppure a un luogo a cui sono legata in qualche modo.
Molti autori fanno altrettanto, Gianrico Carofiglio ha ambientato quasi tutti i suoi romanzi a Bari, tranne l'ultimo che è ambientato a Marsiglia e uno ambientato a Roma.
Ci sono poi molti autori italiani, che ambientano le loro storie negli Stati Uniti o in paesi stranieri, non per raccontare un viaggio ma semplicemente perchè le storie ambientate in paesi diversi dall'Italia sembrano più accattivanti.
È una scelta che non condivido del tutto, soprattutto quando mancano quasi del tutto le descrizioni dei luoghi, perché mi piacerebbe leggere di posti che lo scrittore conosce bene, in tal modo la lettura del romanzo diventa anche una possibilità di viaggiare attraverso gli occhi del suo autore. Certo il luogo può essere funzionale alla storia e, in quel caso, va bene.
Comunque le mie sono solo elucubrazioni, perchè i meccanismi attraverso cui nasce una storia possono essere i più svariati, spesso sconosciuti allo stesso autore, talvolta catapultato in una trama dai suoi protagonisti e attraverso percorsi che portano a traguardi imprevedibili al di là della progettazione accurata della storia.
Cosa ne pensate? Quanta importanza date al tempo e allo spazio in una storia da scrivere o da leggere?
Cosa ne pensate? Quanta importanza date al tempo e allo spazio in una storia da scrivere o da leggere?
27 commenti:
Quando scrivo sono molto limitata, le mie vicende durano massimo un anni magari con molti flash back, non so scrivere saghe di decenni. Nei libri altrui amo un po' tutto, ma se la storia dura anni non deve in alcun modo essere trascinata a fatica.
Anch'io uso spesso i flash back per spiegare situazioni passate, credo sia il metodo più usato e anche quello meno pesante. Scrivere saghe di decenni credo sia molto difficile e richieda un lungo lavoro.
Io gliene do molta, infatti le mie ambientazioni sono sempre ben definite, salvo qualche eccezione. Ho spaziato notevolmente in entrambe le dimensioni: i racconti e i romanzi che ho scritto sono ambientati in molti luoghi (nella città in cui vivo, a Roma, a Venezia, parecchi in Giappone, altri in grandi città americane e europee) e cronologicamente vanno dal I° secolo A.C. al secolo XX, ai giorni nostri, sino al futuro (in particolare "Bilogia del Bicentenario" che è ambientato a Roma nel 2061).
Mi piace molto costruire luoghi ed epoche attorno alla vicenda narrata.
L'ambientazione è un personaggio aggiuntivo della storia, il luogo in cui si svolge la trama può trasmettere emozioni anche più di un personaggio. Non ho letto tutti i romanzi e racconti, mi sono fermata al tuo simpatico investigatore privato, però da come li descrivi sembrano molto interessanti.
Leggere e scrivere per me sono due attività distinte. Quando leggo mi tuffo nella storia e se l'autore mi lascia indicazioni precise dello spazio e del tempo mi ci catapulto convnta di essere accanto ai protagonisti, se non lo fa e riesce ad avvincermi lo stesso lasciando il tutto nel vago prende punti doppi.
Quando si tratta di scrivere invece, mi viene sempre difficile ambientare le storie in posti che non siano quelli in cui vivo. Il problema diventa quando le persone leggono e li riconoscono e pensano che non sia frutto di fantasia... questo mi trattiene molto, lo ammetto.
Ti capisco Nadia, c'è sempre la remora a sganciare la storia dal proprio vissuto per evitare che sembri autobiografica, vivendo a Bologna non mi pongo più questo problema perché è una città molto frequentata e può diventare il palcoscenico di tutti, però in Fine dell'estate quando ho parlato di un piccolo centro di provincia ho usato un nome di fantasia; è un espediente che molti autori usano, ma c'è comunque uno spazio definito in cui il lettore può ritrovarsi. Per esempio il romanzo La nausea di Sartre è ambientato a Bouville, nome di fantasia che secondo i critici potrebbe essere Le Havre, cittadina in cui Sartre ha vissuto per qualche tempo. Il nome di fantasia rende comunque quel luogo universale, il luogo in cui ognuno può riconoscere determinate caratteristiche anche di luoghi analoghi.
Riguardo alle letture anche io quando leggo mi lascio trasportare e, se il libro mi cattura, posso non accorgermi del tempo e dello spazio del romanzo.
Il mondo è bello perché è vario (e non avariato, cone dice qualcuno in battuta). Mi piacciono i film adrenalici, ma una volta ogni tanto. La serie "24" l'ho persa ma credo non l'avrei vista volentieri. Sui libri c'è appunto la varietà: Il codice Da Vinci mi pare si svolga in una notte (più i flashback), ma non dà ansia perché è ben calibrato con le spiegazioni storiche. Saghe famigliari molto lunghe (mi viene in mente La casa degli spiriti di Isabel Allende o Un cappello pieno di ciliege di Oriana Fallaci) si fanno amare se ben raccontate, e certo in testi così lunghi non puoi saltare l'ambientazione, anche per rendere le differenze culturali con la nostra epoca. Però il piacere di questa lettura è soggettivo: le parti che più adoro di Outlander di Diana Gabaldon sono proprio i luoghi e i fatti storici, che le costano momta ricerca e fatica, ma ci sono lettrici che li saltano annoiate!!
Ci sono storie, proprio come quelle di Saramago, a cui l'incertezza giova, sono quasi favole moderne. Ma bisogna essere davvero bravi per scriverne. In generale mi attengo al vecchio "scrivi di ciò che conosci", quindi luoghi reali vissuti o storici o immaginati molto studiati o molti immaginati. Recentemente mi sono imbaracata in storie che mi hanno portato per motivi interni a San Pietroburgo, dove non sono mai stata e ho sentito la cosa come estremamente limitante, nonostante i reportage fotografici di amici in loco poprio nel momento in cui stavo scrivendo (per un racconto postato su EFP ho usato praticamente tutte le location che mi sono state fotografate, per la serie, sfruttamento di amici)
Saramago è maestro nel creare storie senza tempo e spazio, ma del resto lui è un premio Nobel. Scrivere di ciò che si conosce è sempre un buon metodo, io ho scritto solo una volta di un posto in cui non ero mai stata, ma che conoscevo bene attraverso chi c'era già stato, però dopo qualche mese ci sono andata di persona. Anch'io ho sfruttato gli amici ;)
Che meraviglia "La casa degli spiriti"! Mi viene in mente che anche la quadrilogia de L'amica geniale è una lunga saga e ho amato tantissimo tutti i quattro romanzi, la sua bellezza è proprio in questo, è una storia che si interseca con le vicende italiane per circa sessant'anni.
Per me il tempo e lo spazio devono essere presenti per far sentire me e il lettore radicati, e permettermi di descrivere la natura o le condizioni meteorologiche in modo sensato, ma non devono tradursi in un preciso luogo o periodo storico, o mi sembrerebbe di "marchiare" la storia e renderla meno universale. Sto cercando di spiegare quello che faccio d'istinto, perché non è una scelta a tavolino. :)
Da lettore, l'ambientazione temporale la considero necessaria; non pretendo una scaletta cronologica rigorosa ma che sia quantomeno indicativa dello scorrere del tempo.
Nei romanzi della serie Star Wars non esiste una collocazione temporale precisa e lo scorrere del tempo, soprattutto negli spostamenti da un pianeta all'altro non è reso come vorrei. Un'indubbia pecca.
Quando scrivo seguo una cronologia precisa che non manco di appuntare su un foglio, altrimenti finirei per perdermi nei meandri della successione temporale.
Inquadrare il periodo in cui si svolge la storia anche senza date precise può bastare per dare il senso temporale al romanzo e renderlo universale :)
Anch'io cerco di seguire una certa cronologia per evitare di perdermi, abbiamo qualcosa in comune Calogero!
Concordo su tutto, Giulia. Tempo e spazio sono coordinate necessarie affinché il lettore sia ancorato alla storia. Il luogo può essere di fantasia, come Macondo di Marquez, purché rimandi a descrizioni verosimili e a epoche precise. E' ciò che faccio anche nelle mie storie, studio al millesimo ambientazione e tempo e vi calo la storia, altrimenti non saprei fare:)
Mi fa piacere sapere di non essere l'unico a farsi certi scrupoli, nel mio caso assolutamente necessari.
Stare dietro agli eventi di una trilogia mi sarebbe stato altrimenti impossibile.
Penso comunque sia comune a ogni autore. Per comporre un opera articolata servono anni, senza contare che la maggior parte di noi ci lavora nei ritagli di tempo e ha mille altre cose da ricordare.
Vero anche un luogo di fantasia è comunque ancorato a una realtà concreta in cui il lettore può ritrovarsi. Tempo e spazio sono le coordinate in cui muoversi per viaggiare nella storia :-)
Verissimo, scrivere nei ritagli di tempo impone una certa disciplina.
Per me dipende dalla storia: ci sono storie che meritano di essere collocate in tempi e spazi ben precisi, altre in cui l'assenza di una "determinatezza" in tal senso non si percepisce come una mancanza o un limite, perché non ha nulla di funzionale a ciò che si sta narrando. In genere, comunque, piace anche a me sapere dove ci troviamo, in che epoca, in quale luogo fisico. Sorrido perché nel mio romanzo se c'è una cosa di più imprecisato sono proprio tempo e spazio. :)
Sono abbastanza d'accordo con te, anche per me spazio e tempo hanno un certo peso. Vero però che ci sono storie che non ne hanno bisogno, anzi che forse perderebbero di forza volendo circoscriverle. Di solito mi piace anche inquadrare gli eventi in date precise, come ho fatto nei miei romanzi. Però è un vincolo a volte fastidioso. Penso per esempio a quelle serie tv dove non ci sono date. Magari sono impegnative da seguire ma anche più stimolanti perché di volta in volta devi capire dove/quando sei.
Mi è capitato di leggere romanzi sapientemente scritti per i quali non mi sono posta il problema. In fin dei conti, basta proprio che siano scritti a dovere perché il lettore non si senta spiazzato. Cecità probabilmente deve essere questo tempo sospeso e indefinibile, perché non è fondamentale l'epoca in cui quell'inferno ha luogo ma che che abbia luogo. Certi scrittori fanno apposta a non essere così precisi, beati loro, se lo possono permettere.
Anch'io mi sento infastidita da romanzi ambientati in luoghi esotici, lontani, di cui alla fin fine lo scrittore non sa nulla e li ha scelti come ambientazione solo per rendere più accattivante l'intreccio.
Ci sono storie bellissime con tempo e spazi indefiniti, in quel caso l'autore è davvero molto bravo a renderle universali, credo che sia, però, anche più difficile. Quando scrivo mi viene più naturale incasellare la storia in un periodo di tempo preciso.
È vero, il tuo romanzo è senza tempo e spazio, però la storia non ne ha bisogno, io l'ho immaginata ambientata in un futuro in cui fosse possibile vivere una vita virtuale come fa la tua protagonista. Nel tuo caso ambientarlo nel 2092, per esempio, non avrebbe aggiunto nulla alla storia...:)
Eh sì, l'ambientazione esotica fatta solo per rendere la storia più accattivante non mi piace granché; se si tratta di un luogo che l'autrice conosce bene è un altro discorso, di solito si percepisce bene e il romanzo ne guadagna. Cecità di Saramago si svolge in un luogo e in un tempo indefinito, ma la vicenda è talmente particolare che non ha importanza dove e quando si svolga, in questo caso la tragedia raccontata diventa ancora più di impatto.
Anche a me piace quando i tempi sono ben definiti. Nel mio romanzo, "L'estate dei fiori artici", che sto disperatamente cercando di terminare (anche per questo ho messo in semi-pausa il blog) l'azione si svolge in un tempo molto circoscritto, dal 27 luglio al 27 agosto, e il suo scandire è da me precisato di volta in volta con date apposte all'inizio di ogni capitolo.
Volevo dire "il suo scorrere", non il suo "scandire".
Ciao Ivano, ben ritrovato, mi fa piacere saperti impegnati sul tuo romanzo L'estate dei fiori artici, ne hai parlato molto nel blog e sono curiosa di leggerlo. Anche tu ami i tempi ben definiti, credo che, a parte certi rari romanzi in cui la storia è bella proprio perché resta indefinito il tempo, in altri è preferibile farlo o, almeno circoscriverlo un po'...
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