domenica 26 febbraio 2023

Elvis

La moda è la maniera di dire chi sei senza dover parlare. Rachel Zoe 


Tutti lo chiamavano Elvis ed era effettivamente il suo nome o meglio quello con cui lui si faceva chiamare e si presentava. E lui di Elvis aveva le sembianze, un po’ in miniatura, perché era un po’ più basso e magro del vero Elvis, ma era Elvis per tutti noi. Frequentava regolarmente le lezioni, prendeva appunti e faceva gli esami come tutti gli altri, anzi no, lui era a un livello più alto degli altri, aveva un libretto pieno di Trenta e lode e nessun professore si permetteva di avere un pregiudizio solo per il suo modo di essere, perché era vestito come Elvis Presley con i capelli con il classico bulbo alla Elvis. Mi sono sempre chiesta quanto tempo occorresse per prepararsi la mattina e arrivare in tempo alle lezioni, soprattutto quelle che cominciavano alle otto. 

Ogni tanto mi capita di ripensare alle persone conosciute nel periodo universitario e di chiedermi: chissà che fine ha fatto? Sono rimasta in contatto con molti amici e amiche di quel periodo, con alcuni abbiamo condiviso un lungo periodo di gioie e dolori, sono andata al loro matrimonio, ho conosciuto i loro figli, li ho rivisti dopo un divorzio oppure al funerale del compagno di una vita, lo stesso che vedevi sempre all’università accanto a lei. Altri non li ho mai più incontrati perché trasferiti in altre città ma ho notizie tramite il tam tam degli amici comuni. Poi ci sono le “comparse” quelli che incontravi regolarmente a lezione o agli esami e che salutavi con un “ciao” di simpatia però non hai mai approfondito la conoscenza perché non c’è stato il tempo né il modo di farlo. 

Ed è di queste persone che ti chiedi che fine hanno fatto, perché non li hai mai incontrati neanche per caso per le strade di Bologna (che tutto sommato non è enorme e può davvero capitare di incrociarsi in piazza maggiore o sotto le due torri), oppure li hai incontrati ma non li hai riconosciuti perché semplicemente non li hai guardati. Ma se anche li vedessi lungo la tua strada non potrei neanche chiamarli per nome perché non lo ricorderei, di Elvis proprio non lo so.

Solo che la mia mente, che ama raccontare storie anche fuori dalla carta, gira vorticosamente lungo i meandri dei ricordi e così dopo tante domande senza risposta il ricordo finisce in un post, è l’unico modo che ho per parlare di Elvis o di altri come lui, passati nei corridoi dell’Università mentre c’ero anch’io. 

Ripensando a lui mi è venuta la curiosità di approfondire i movimenti degli anni ottanta, perché non é che Elvis vestisse così perché era matto, no, c’era una moda precisa che molti seguivano, faceva parte dei Rockabilly. Negli anni ottanta, infatti, esistevano alcune sotto culture giovanili: i paninari, i punk, i metallari , i dark, i Rockabilly, “un’intera generazione che trovava la propria identità all’interno di una sottocultura ben precisa, distinguendosi con un look che aveva codici visivi e uno stile di vita ben mirati” 

I Rockabilly si contraddistinguevano per un abbigliamento riflettente “lo stile dei musicisti anni cinquanta, pantaloni, magliette colorate, cappotti con il bavero alzato, pantaloni jeans Levis (501 o 505) e altri articoli come t-shirt e giacche da moto” (descrizione riportata da Wikipedia). Tuttavia oltre all’abbigliamento quello che li caratterizzava era la passione per una certa corrente musicale.

Poi c’erano gli altri, i paninari, i dark, i metallari, i punk che avevano a loro volta loro particolari caratteristiche. Facendo un giro in rete ho recuperato alcuni dati che riporto sotto, ripresi da Google e Wikipedia.

I paninari erano molto colorati infatti i giubbotti tipici erano i bomber imbottiti con colori sgargianti (i famosi piumini Moncler degli sketch televisi del programma Drive in), poi c’erano i jeans e il giubbotto levi’s con il pelo, le felpe Best Company e altri maglioni rigorosamente oversize. Il termine paninaro deriva dal nome del bar Al panino, locale di Milano in zona San Babila in cui il primo gruppo di ragazzi su riunisce nei primi anni ottanta.

dark erano collegati alla variante oscura e malinconica della musica new wave e post-punk con composizioni musicali con tonalità in chiave minore e liriche introspettive e dolorose. 

I metallari erano gli appassionati di musica heavy metal con abbigliamento ispirato agli esponenti del genere, quindi indossavano giacche di pelle nera e accessori con spille e borchie di metallo.

Riguardo ai punk si tratta di una cultura con origini molto variegate ed è difficile racchiuderle in una sola definizione, invece la moda era più uniforme, in quanto gli elementi prevalenti erano jeans attillati e strappati, giubbotti di pelle sgualciti, stivali anfibi con grosse suole e cinte di cuoio, collari e lucchetti al collo.

Ricordo che c’era una mia amica della vecchia compagnia vedo ancora oggi, che seguiva la moda Punk, lei era bellissima, bionda e con la testa rasata ai lati e con una sfilza di orecchìni che contornavano l’orecchio, vestita sempre di nero ma con estrema cura, non c’era mai nulla fuori posto, era tutto perfettamente studiato, arrivava insieme al suo ragazzo, biondo anche lui e con lo stesso stile. Erano una bellissima coppia che durò poco più di un anno, poi si lasciarono e la mia amica si liberò lentamente dello stile punk ma ancora oggi continua a vestire di nero. 

Tra i cantanti musicali italiani Punk il ricordo più forte che ho è quello del duo musicale KRISMA (acronimo create con le iniziali dei loro nomi) formato da Cristina Moser e Maurizio Arcieri, uniti nella musica e nella vita, che ebbero un notevole successo negli anni ottanta con la musica tra punk e new wave. Nell’occasione della scrittura di questo post sono andata a cercare notizie di loro e ho scoperto, non senza una certa emozione, che non hanno mai smesso di esibirsi con la loro musica anche se lontani dalla televisione, hanno smesso solo con la morte di Maurizio avvenuta nel 2015 a 73 anni, nell’ottobre del 2022 é morta anche Cristina Moser a 70 anni, una lunga storia d’amore nella musica. Vi riporto un video da YouTube.



Oggi mi sembra che non ci siano più questi movimenti di sottoculture giovanili, per lo meno con la vivacità e la convinzione degli anni ottanta. Forse ci sono altre mode e altri movimenti ma non riesco a individuarle, o forse sono io che sono troppo distratta e non me ne accorgo.

Voi cosa ne pensate? 

Fonti: Pexels, Google e Wikipedia




domenica 19 febbraio 2023

Casa dolce e “cara”

 

Essere felici a casa è il massimo risultato dell’ambizione. Samuel Johnson

L’idea di questo post nasce da alcune notizie recenti sul carovita sui costi delle case, così ho pensato di parlarne raccontando anche la mia esperienza. 

Era il lontano novembre 1983 e io arrivavo a Bologna per il primo anno di università, avevo fatto domanda per ottenere l’alloggio nella casa dello studente, cosa che mi era stata concessa, avevo una cartolina della regione Emilia Romagna che lo attestava, ma nel frattempo dovevo arrangiarmi con una camera provvisoria in attesa di avere l’assegnazione ufficiale del posto. Così arrivai a Bologna e fui ospite di un amico per una settimana e, nel frattempo, cercai una camera in affitto che trovai in breve tempo accontentandomi di una camera in centro abbastanza fatiscente ma economica, 150.000 lire (eh sì c’era ancora la lira!) sperando di avere l’assegnazione della casa dello studente prima possibile. Mentre cercavo una camera ho visto diverse situazioni abitative, per la maggior parte parecchio brutte, alcune camere decenti ma che costavano il doppio, alcune carine e a buon mercato ma lontanissime dal centro, per una studentessa che doveva frequentare le lezioni all’università in centro spostarsi in autobus non era il massimo. Fu così che quando trovai questa camera in pieno centro, decisi di accettare. L’appartamento era in un palazzo antico in via santo Stefano, una delle strade più belle del centro di Bologna, e a raccontarla così sembra fantastico, ma io non avevo una camera, bensì un posto letto perché la camera era da condividere con un’altra studentessa, ma questa in fondo era la cosa bella perché l’altra ragazza era una studentessa di Torino che frequentava il DAMS che io trovavo adorabile. Il problema era che avevo la camera senza uso cucina e se a pranzo andavo a mensa la sera mangiavo panini, non era una situazione sostenibile a lungo. Per fortuna poco prima di Natale mi assegnarono il posto e devo dire che la casa dello studente era piuttosto bella, ogni appartamento aveva una cucina spaziosa con tutti gli utensili necessari, due bagni e tre camere, ogni camera aveva due letti, due scrivanie dotate di libreria, due armadi a un’anta, insomma ogni studente aveva il suo spazio, anche se essere in sei persone non aiutava troppo a trovare la concentrazione per studiare. Da quel momento in poi cominciava una nuova sfida: studiare  in qualsiasi posto (spesso l’ho fatto in sala studio perché la casa era una fonte di distrazioni) per mantenere la borsa di studio. L’appartamento era in un condominio immerso nel verde a San Lazzaro di Savena, ne ho parlato in questo post Io vagabondo 

Non voglio dilungarmi oltre sulla mia esperienza che era tutto sommato favorevole, anche se ovviamente dovevo studiare ed essere sempre in regola con gli esami per poter mantenere il diritto alla casa dello studente; però molti altri studenti fuori sede - che ho avuto modo di conoscere nei miei anni universitari - abitavano in case molto meno accoglienti della mia e pagavano degli affitti piuttosto alti. Il prezzo medio di un posto letto in una camera allora si aggirava intorno alle 200 mila lire e arrivava fino a 250, le camere singole invece andavano da 300 a 400 mila lire, a cui bisognava aggiungere le spese per le bollette e le spese per mangiare. Mi resi conto veramente dei prezzi delle case quando, dopo la laurea, cercai una soluzione abitativa da lavoratrice, scoprendo che pur lavorando e prendendo uno stipendio anche dignitoso non mi potevo permettere l’affitto di un appartamento, era già un lusso poter ottenere una camera singola. Per circa un paio di anni abitai ancora con altri studenti e con lavoratori, finché non trovai, tramite un conoscente che conosceva il proprietario e garantì per me, un appartamento a un affitto accettabile, anche se poi con le bollette e le spese consumavo tutto lo stipendio. Ho vissuto in quella casa fino al mio matrimonio, ma se non avessi avuto accanto il mio futuro marito forse avrei maturato la decisione di lasciare Bologna e trasferirmi in una sede lavorativa in un’altra regione. 

Ma veniamo ai nostri giorni, ormai quella camera singola che costava 350 mila delle vecchie lire (con il cambio poco più di 180 euro) oggi costa da 450 euro in su, se va bene, perché da un articolo del Resto del carlino di qualche giorno fa sembra che una camera arrivi a costare fino a 600 euro, il che mi sembra una follia, anche se ho visto degli annunci di camere anche di 700 euro.



Essere una città universitaria comporta una elevata richiesta di case in affitto, c’è una domanda altissima da parte di studenti universitari fuori sede ed è normale che il livello dei prezzi sia alto, ma quando lo è troppo diventa insostenibile e forse controproducente perché  molti studenti potrebbero abbandonare la città. Quando mio nipote venne a studiare a Bologna lo aiutai nella ricerca della casa, anzi a dirla tutta si affidò totalmente a me, feci una ricerca forsennata on line e trovammo una camera singola in un appartamento molto carino a un buon prezzo, 360 euro più le spese, l’appartamento era appena fuori porta condiviso con altri due ragazzi. Era il 2012 e la situazione forse era ancora sostenibile, anche se nel corso della lunga ricerca con mio nipote ho visto delle situazioni assurde: cantine ristrutturate a 500 euro al mese, camere di mezzo metro, praticamente ex sgabuzzini adattati, dove ci stava a malapena il letto senza l’armadio a 300 euro e cose che “voi umani non avete mai visto”, eh sì da lacrime nella pioggia. Insomma i proprietari di casa pensano di poter affittare di tutto, anche garage ristrutturati, solo perché c’è molta domanda. Nell’articolo de Il resto del Carlino c’è l’intervista di una studentessa che dopo sei mesi di ricerca infruttuosa (le hanno proposto dei prezzi troppo alti a condizioni improponibili) nel frattempo era ospite da un’amica, ha deciso di ritornare a casa sua trasferendosi nell’Università più vicina raggiungibile da pendolare. Bologna accogliente ma non in questo caso, era il sottotitolo dell’articolo. Bologna e gli affitti, un rapporto complicato sin dal Medioevo, quando i proprietari delle case costruivano stanze in più per affittarle agli studenti dell’Università più antica d’Europa “la ricerca di un alloggio in città è sempre stata complicata, ma a quanto pare dopo la pandemia le cose sono addirittura peggiorate”. Probabilmente questo è dovuto anche al fatto che Bologna è diventata molto più turistica di un tempo, molti proprietari preferiscono quindi puntare sugli affitti brevi e sulle camere affittate con la formula dell’affitto temporaneo o come Bed and breakfast, cosa che consente un maggior guadagno e minori rischi, il rischio è quello di non poter più disporre della propria casa come è successo al mio vicino che ha affittato a una famiglia con tre bambini, ma dopo lo sfratto sta ancora aspettando che la casa venga liberata la famiglia in questione è in attesa dell’assegnazione di una casa popolare, quindi per ora stanno lì. Forse anche le leggi italiane non aiutano granché, una seconda casa ha dei costi in termini di tasse e manutenzione piuttosto alte, c’è poco da fare, la politica non aiuta e con le prossime direttive europee sulle riqualificazioni energetiche i costi delle case sono destinati ad aumentare e a ricadere sempre più sulle spalle del privato cittadino.

Una ragazza che lavorava dal mio parrucchiere originaria di Avellino, era la mia preferita e chiedevo sempre di essere servita da lei, ha vissuto a Bologna per tre anni, abitava in un monolocale abbastanza centrale e pagava 750 euro al mese. Mi raccontava che era un appartamento accogliente anche se erano solo 40 metri, ciononostante ha deciso di lasciare Bologna e di tornare nella sua città natale. “Adoro Bologna, ma lavoro tutto il giorno e alla fine del mese non sono riuscita a risparmiare neanche un euro, due terzi del mio stipendio se ne vanno tra affitto e bollette, con il resto mi pago il cibo e qualche uscita serale”. Come darle torto? Io stessa, con il senno di poi potendo tornare indietro, forse sceglierei di vivere in una città meno cara e, magari, più piccola e vivibile, ma come dice il proverbio “del senno di poi sono piene le fosse”.

E voi cosa ne pensate? Conoscete gli affitti delle case nella vostra città?



Fonti immagini: Pexels, una pagina de Il resto del Carlino 

domenica 5 febbraio 2023

Che cos’é la felicità

Ho deciso di essere felice perché fa bene alla mia salute. Voltaire 


Raccogliendo l’invito di Elena Ferro del suo post Che cos’è la felicità ho pensato alle cose che mi rendono felici. Beh per dirla con la canzone di Albano e Romina 

Felicità è un bicchiere di vino con un panino (nonostante le dichiarazioni dell’Irlanda) io non rinuncio al mio aperitivo giornaliero con il mio compagno, dopo una giornata pesante al lavoro tornare a casa e concedersi un bicchiere di vino insieme, con uno spuntino, mi allieta la giornata e mi rende tutto più leggero, è anche il motivo per cui finora sono sopravvissuta alla pesantezza del lavoro. Spengo il computer e non ci penso fino al giorno dopo. C’è un solo problema, il peso sulla bilancia mi chiede di rinunciare a questi spuntini, sto cercando quindi di limitarli nella quantità e controbilancio con una cena molto frugale.


La gattina del mio vicino 

Felicità é accarezzare un gatto: lo so, vale solo per chi ama i gatti, ma come si fa a non amare un gatto? Nella foto sopra c’è la gatta del mio vicino che ogni tanto incontro nelle mie passeggiate intorno a casa, ogni tanto mi fa le fusa e quando è in buona si lascia perfino fotografare. Lei è solo un esempio dei gatti che ogni tanto allietano la mia esistenza, non ne ho uno mio perché passo troppo tempo fuori, ma ho sempre “sfruttato” i gatti degli altri. Avendo però un certo feeling con loro mi capita spesso di incrociarne e di interagire con questi magnifici esseri felini, quando si fanno accarezzare il mio umore migliora tantissimo. 

Una spiaggia di Capoliveri


Felicità è leggere un bel libro sdraiata al sole: quando vado al mare non aspiro a fare delle grandi nuotate in acque limpide, mi piace soprattutto stendermi sul lettino e prendere il sole leggendo un libro che mi appassiona, certo se ci sono acque cristalline come quelle dell’isola d’Elba mi piace anche sguazzare nell’acqua (uso questo termine apposta perché non so nuotare, quindi faccio la papera in acqua) dopo diversi corsi di nuoto sono arrivata a nuotare un pochino in piscina anche dove non tocco, perché in piscina mi sembra comunque di avere la situazione sotto controllo, invece in mare ho paura dell’acqua fonda e c’è poco da fare, a 58 anni non ho voglia di forzare la mia natura. Insomma sono una vacanziera da riviera romagnola, dove puoi essere al mare, ma sentirti a casa con le tue comodità, il lettino, il bar, la piadina e il relax, la passeggiata sul bagnasciuga con i piedi nell’acqua marina. Poi mi piace anche scoprire altre spiagge caraibiche con acque cristalline (in Italia abbiamo la Sardegna con quell’azzurro che ti spacca il cuore, il Salento con le Maldive nostrane, l’isola d’Elba dove ce n’è per tutti i gusti sabbia roccia ghiaia ecc ecc. se poi vuoi allontanarti un pochino, c’è la Corsica, che una volta era italiana, con un mare bellissimo, Rovigno in Croazia, la Grecia con tutte le sue isole meravigliose...) vi ho elencato alcuni luoghi che ho visitato nei miei viaggi, ma l’elenco sarebbe più lungo...Comunque quando mi stendo sul lettino sotto il sole al mare (ma anche in piscina se non posso andare al mare) per leggere in santa pace mi sento felice. E poi guardare un tramonto al mare su una bella spiaggia, anche quella è felicità.

E non c’è niente di più bello dell’istante che precede il viaggio,  l’istante  in cui l’orizzonte del domani viene a renderci visita e a raccontarci le sue promesse. Milan Kundera 


Felicità è partire per una vacanza: prima di una vacanza, vivo in uno stato di fortissimo stress, cerco di sistemare sempre tutte le scadenze, ma al lavoro ogni giorno si scatena il finimondo con l’imprevisto pronto a scattare, sembra che debba assentarmi per un mese invece si tratta solo di una settimana o al massimo 10 giorni. Comunque quando finalmente la mattina (di solito all’alba) si parte per la vacanza, dopo una notte insonne di ansia, c’è un momento, quello in cui imbocchiamo l’autostrada e il sole comincia a sorgere all’orizzonte e a scaldarci con i suoi raggi, che mi sento felice, invasa da un senso di liberazione e di leggerezza. Incrocio le dita e spero che quella sensazione duri per tutta la vacanza, ma quel momento di felicità è unico. La stessa sensazione la provo anche quando, con il mio compagno, ci concediamo una piccola gita fuori porta, una giornata al mare, un giro in collina con un pranzo al ristorante, un giro in moto nei primi giorni di sole primaverile. 

Un concerto di Ligabue a cui sono andata 

Felicità è andare al concerto di un cantante che ami: è passato molto tempo dall’ultimo concerto di Ligabue, ricordo però alcuni concerti a cui sono andata che mi hanno dato un brivido di felicità, il primo Campovolo, il concerto di Barcellona, a Rimini, a San Siro e a Roma per il mio compleanno. Con il mio compagno il concerto diventava l’occasione per fare anche una piccola vacanza ed era felicità.

Non voglio dilungarmi oltre, diciamo che la felicità in fondo è davvero nelle piccole cose. Elena chiedeva anche una nostra personale definizione della felicità, ci ho pensato su e, a parte le frasi già dette, posso affermare che “la felicità è il senso di pace che invade il cuore, la sensazione di essere nel tempo e nello spazio desiderato”. Ho provato spesso questa sensazione, certo di breve durata, qualche ora o al massimo qualche giorno. Però non conta la durata, conta provare ogni tanto un senso di felicità che ha un potere davvero molto forte nella vita di una persona, sentirsi felici ci riconcilia con il mondo e ci da la forza per affrontare i problemi che ci distolgono dalla felicità.

Vorrei concludere però con la definizione di Isabel Allende

La felicità non è esuberante né chiassosa, come il piacere o l’allegria. É silenziosa, tranquilla, dolce, è uno stato intimo di soddisfazione che inizia dal voler bene a se stessi. 


E voi che definizione date della felicità?


Fonti immagini: Pixabay e Pexels + foto mie