mercoledì 30 dicembre 2020

Letture del 2020

 

(immagine da Pexel)

Quest'anno è stato faticoso per tutti, per non parlare di coloro che hanno perso un proprio caro a causa del virus. Tuttavia, mai come quest'anno, le letture sono state una grande consolazione, soprattutto per coloro che si sono ritrovati con uno inaspettato tempo libero, peraltro non desiderato, visto che andava a scapito del proprio lavoro. Non è stato il mio caso che ho continuato a lavorare più o meno con gli stessi ritmi in telelavoro e in presenza.

Tornando alle letture cercando di tener fede a un buon proposito ho letto un classico, Delitto e castigo di Dostoevskij, non è stata una lettura del tutto semplice per me, ho apprezzato il libro, ma mi sarebbe piaciuto che contenesse una maggiore introspezione psicologica del protagonista.

Altri libri difficili sono stati Spillover di David Quammen e Strage di Loriano Macchiavelli.

"Spillover" è stato un saggio molto interessante sull'evoluzione delle pandemie verificatesi fino al 2012, un monito su quello che sarebbe potuto accadere ed è effettivamente accaduto 8 anni dopo, nel 2020, non per niente questo saggio è stato pubblicato in versione eBook nel marzo 2020.

"Strage" invece è stato un testo difficile da leggere perché l'autore credo abbia messo dentro troppe storie e un'ipotesi in cui non mi ritrovo molto, ma mi è stato utile leggerlo in questo anno difficile in cui cadevano diversi anniversari, quarant'anni di tragedie italiane, tutte nello stesso anno, il 1980, l'inizio di un decennio che avrebbe segnato un periodo di leggerezza dopo gli anni bui del terrorismo e delle contestazioni.

Non riesco a fare una classifica dei libri letti, posso dire che ho apprezzato molto i libri scritti dai miei amici blogger e che, nel complesso, ha prevalso il genere thriller sul genere rosa, anche perché, lo ammetto, negli ultimi tempi le storie d'amore mi coinvolgono meno. Tra i thriller ho letto romanzi di autori inglesi e americani che non ho amato troppo, non perchè fossero scritti male, piuttosto perché erano storie che scadevano troppo nel macabro, insomma, non credo che un buon libro, per creare suspense, debba necessariamente indugiare sui particolari raccapriccianti. Ho riscoperto invece Donato Carrisi del quale avevo letto nel 2014 "Il suggeritore" che avevo trovato troppo cupo, invece i suoi romanzi ambientati in Italia mi piacciono molto di più. Vince su tutti il nuovo autore che ho scoperto di recente: Riccardo Bruni, praticamente quest'anno ho letto quattro suoi libri e ho appena iniziato il quinto romanzo. Mi ricorda un po' lo stile di Carofiglio, con le riflessioni sulla vita dei personaggi e la sua vena leggermente malinconica. 

LETTURE 2020
1. Le due facce della vita di Nadia Banaudi
2. Non è tutto oro di Valeria Corciolani 
3. La mano sinistra del diavolo di Paolo Roversi 
4. Amore di mamma di Sarah Flint 
5. Una ragazza malvagia di Alex Marwood 
6. Il giro della morte di Renato Mite 
7. La casa delle voci di Donato Carrisi 
8. Il giallo di villa nebbia di Roberto Carboni
9. Un ristretto in tazza grande di Federico Maria Rivalta 
10. La voce del mare di Emily Pigozzi 
11. Bologna destinazione notte di Roberto Carboni 
12. Colpevoli di innocenza di J.S. Monroe 
13. La primavera torna sempre di Lorenzo Marone 
14. Storie di scrittori di Ariano Geta 
15. Gli insospettabili delitti della casa in fondo alla strada di Alex Marwood 
16. Il segno mancante di Federico Maria Rivalta 
17. La stanza degli ospiti di Dedra San Mitchell
18. Sarà il nostro segreto di Maria Teresa Steri
19. La promessa del buio di Riccardo Bruni
20. L'amore ai tempi del covid-19 di Antonio Manzini
21. Non esiste saggezza di Gianrico Carofiglio 
22. Oscuri segreti di famiglia di Alex Marwood
23. Consegna a Greentown di Renato Mite 
24. La stagione del biancospino di Riccardo Bruni
25. La ragazza che ascoltava De André di Sandra Faé
26. Spillover di David Quammen
27. Aurora nel buio di Barbara Baraldi  
28. Tre cadaveri di Raffaele Malavasi 
29. Veronica c'è di Grazia Gironella 
30. Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij
31. Una sera di foglie rosse di Riccardo Bruni
32. Due omicidi diabolici di Raffaele Malavasi 
33. Di questo e altri mondi di Riccardo Bruni
34. Per un bacio e molto più di Monica Brizzi 
35. Strage di Loriano Macchiavelli 
36. Come tracce sulla sabbia di Federico Maria Rivalta 
37. L'uomo del labirinto di Donato Carrisi 
38. Tutti gli amori imperfetti di Grazia Gironella 

 

domenica 20 dicembre 2020

Il prezzo della democrazia

 
 (Pixabay )

Ho ritrovato questo post in bozza scritto sull'onda emozionale dell'attentato terroristico del 17 agosto 2017 a Barcellona.
Non so perchè alla fine non l'avevo pubblicato, forse mi sembrava un argomento troppo politico o, forse, semplicemente non ho avuto tempo ed è rimasto lì, nel limbo del blog.
 
Tuttavia rileggendolo mi sembra che le argomentazioni di allora siano ancora attuali, soprattutto in un anno in cui il nostro mondo è stato così scosso dalla pandemia a causa della quale molte libertà, che sembravano scontate, sono state messe in discussione per urgenti necessità di salute pubblica.

Ecco cosa avevo scritto: 

In questo ferragosto macchiato di sangue da nuovi attentati la mia mente è stata assalita da diverse considerazioni non troppo piacevoli.
Il mio primo pensiero riguarda l'abitudine con cui ho assimilato la notizia, è terribile ma non ho provato subito lo stesso grande orrore del Bataclan e dell'attentato in Costa Azzurra. Già questo mi ha fatto male, l'idea che forse ci stiamo abituando al terrore. 
Poi ho seguito le notizie e lo sgomento e la rabbia mi sono arrivati addosso con forza. Penso allo strazio di quelle vite spezzate e alle loro famiglie, e mi si spezza il cuore.
Ma non è di questo che voglio parlare, non solo di questo almeno. 
Vorrei cercare di capire come siamo arrivati a tutto questo odio. Così vado a ritroso a quello che è sembrato l'inizio di tutto, ossia quell'undici settembre a New York, l'odio c'era già allora, contro un'America che parlava di libertà e intanto vendeva le armi per le guerre mediorientali.
Segui il denaro, la celebre battuta di quel fantastico film intitolato Tutti gli uomini del presidente, il controllo sul petrolio, sulle energie e quindi sull'economia.
Forse è tutto lì, forse è solo questo, il controllo economico, infatti i musulmani di Dubai non mi sembra facciano attacchi terroristici. Ma questi sono solo miei pensieri, non ho fatto nessuna ricerca.
 
Il fatto è che la democrazia occidentale, che appare come l'accesso al paradiso in terra, ha un notevole costo, non è scontata come può sembrare a chi guarda dall'altra parte del mondo. 
Essa è prima di tutto una grande evoluzione culturale, capire che la libertà non può dissociarsi dal rispetto e dall'impegno
Questo è un concetto che troppo spesso sfugge proprio a chi in democrazia ci vive, prova ne sono gli attacchi sui social quando qualcuno esprime un parere non troppo popolare, perché ci stupiamo allora dell'intolleranza di chi vive una cultura completamente agli antipodi? 
 
La bozza terminava qui e oggi mi chiedo a che punto sia la nostra democrazia. Mi sembra che in questo difficile anno sia stata messa a dura prova e nonostante tutte le restrizioni forse ci sentiamo ancora abbastanza liberi. Oppure la nostra sensazione di libertà si è un po' appannata?
E tra i costi della democrazia c'è anche il fatto che la pandemia è ancora in corso? 
Le restrizioni hanno dovuto tener conto dei giusti interessi di molti e questo dover contemperare le esigenze economiche (e non solo) di tutti ha portato un rallentamento che non ha permesso un intervento incisivo e potente sul diffondersi del contagio.

Al di là di ogni considerazione, penso che la democrazia sia ancora un bene da difendere con tutte le forze, anche se qualche aggiustamento credo sia necessario; per esempio, uno stato democratico deve comunque salvaguare i piu deboli, anche quelli che non possiedono adeguate basi economiche per curarsi e per vivere in maniera dignitosa. 
La libertà di mercato non può sostituire la dignità della persona umana e questa, probabilmente, è una delle più importanti libertà che una democrazia dovrebbe sostenere, visto che è stato già ampiamente dimostrato che il capitalismo non costituisce affatto la panacea di tutti i mali, come qualcuno voleva sostenere. 

Oggi più che mai questo si rende necessario e, in prossimità di questo Natale in costrizione, questo mi sembra un buon messaggio da dare.
 
Buon Natale a tutti.

                                                                            (Pexel)



domenica 13 dicembre 2020

La nostra realtà è fantascienza

 

Qualche sera fa ho visto un film su Rai 4 intitolato Seven sisters, era già cominciato, ma siccome non c'era niente di meglio sugli altri canali e, stranamente, non ero ancora crollata dal sonno sul divano mi sono messa a vederlo e sono stata letteralmente catturata. Era ambientato in una società distopica nel 2073, insomma tra qualche anno, e quando ho finito ci ho ripensato a lungo. Quel film mi è rimasto così impresso che nel lungo week end dell'Immacolata me lo sono rivisto su Rai Play, stavolta dall'inizio.
Ecco uno stralcio della storia da Wikipedia:
 
Nel 2073 il pianeta si trova in una situazione di sovrappopolazione dovuto a un critico aumento dei parti gemellari e plurigemellari, a loro volta sopraggiunti a causa degli effetti collaterali dei nuovi ortaggi OGM introdotti per scongiurare la fame nel mondo. Per combattere la sovrappopolazione il governo della Federazione Europea, sotto la spinta dell'attivista ecologa conservativa Nicolette Cayman, instaura la legge del figlio unico, secondo la quale tutti i fratelli e sorelle vengono prelevati da un organo preposto, chiamato "Bureau per il controllo delle nascite" (Child Allocation Bureau, CAB), ibernati e messi in stato di sonno criogenico, nel quale resteranno in attesa di una soluzione al problema; inoltre a ogni persona viene consegnato un bracciale speciale contenente tutti i dati di quella persona e un localizzatore. 
In questo contesto, Karen Settman muore di parto dando alla luce, in una clinica abusiva, sette gemelle omozigote che vengono nascoste e allevate da suo padre Terence. Egli dà a ognuna il nome di un giorno della settimana e permette loro di uscire di casa nel giorno corrispondente al loro nome. Fuori dalle mura di casa esse condividono l'identità della madre Karen Settman. Un sabato Giovedì esce di nascosto dal nonno e dalle sorelle per andare a giocare con lo skateboard e ha un incidente che le provoca la perdita di una falange dell'indice sinistro: Terence è dunque costretto a recidere la stessa falange alle restanti sorelle.  
Le sette sorelle, identiche fisicamente in tutto e per tutto, hanno sviluppato fin da bambine caratteri (e look) differenti: Lunedì è sicura di sé e cinica; la debole Martedì trova conforto alla pazzesca situazione assumendo droghe, al contrario di Mercoledì che si rifugia nell'allenamento fisico esasperato; l'esuberante Giovedì ha un difficile carattere ribelle; la geniale Venerdì è la più timida delle sette (nonché esperta hacker); Sabato invece parrebbe la classica femme fatale; Domenica la più dolce e materna del gruppo.
 
Non vi riporto il resto perchè potreste avere voglia di vedere il fim, ma questo film diventa lo spunto per qualche considerazione. Le sette sorelle fingono di essere una sola persona per poter vivere ed evitare di essere ibernate per un tempo infinito...
Inutile dire che il finale riserverà diverse sorprese, ma non è di questo che voglio parlare.

Insomma qualche domanda è d'obbligo, siamo davvero così lontani dalla realtà? 
 
Quando Orwell scrisse 1984 era il 1948 (il titolo deriva dall'inversione delle ultime cifre), poi fu pubblicato nel 1949, eppure ha immaginato un mondo dove il grande fratello controllava tutto nella società e non è così distante dal mondo attuale in cui viviamo.
Oggi in fondo il mondo viene controllato da un grande fratello mascherato da tecnologia attraverso i vari social e le profilazioni di Google. 
Pensate che una volta ho scaricato un documento sul computer dell'ufficio, a cui accedo attraverso il mio account di lavoro, e mi sono ritrovata quello stesso documento tra i documenti word del mio iPad, insomma una specie di magia...nera. 
Deve essere perché quando ho installato la app per le video chiamate sull'iPad nel periodo dello smart working ho usato l'account aziendale e questo è il risultato, spero sia questo il motivo e non la magia nera.
Comunque tornando al nostro mondo distopico, mi sono chiesta quanto la nostra realtà sia distante effettivamente dal mondo di fantasia concepito in alcuni film o romanzi.
C'è stato quel film profetico intitolato Contagion che mostrava un mondo invaso dalla pandemia di un virus letale che si diffondeva con il contatto. Ma davvero la pandemia attuale era così imprevedibile? 
L'organizzazione mondiale della sanità aveva da tempo lanciato l'allarme sul rischio ma nessuno aveva ascoltato, anzi nessuno aveva voluto ascoltare. 
Oggi la manipolazione delle informazioni è sotto gli occhi di tutti, le notizie più incredibili sono tutte fake news oppure no? Abbiamo abbastanza elementi per identificarle? 
Chissà, nel film Seven sisters l'informazione dava comunicazioni rassicuranti sul destino dei gemelli, ma era davvero così? se volete scoprirlo potete vederlo su Rai Play o sui canali che volete.
La sovrappopolazione è una realtà concreta contro cui stiamo combattendo già da tempo.
So per esperienza che chi scrive trova molto spunti dalla realtà, poi è chiaro che la realtà viene ricamata con la propria creatività, ma spesso quello che parte come una fantasia diventa molto vicino al mondo concreto.
Spinta dalla curiosità sono andata a cercare su Google i film distopici più famosi, ve ne cito solo un paio, quelli che secondo me hanno trovato un certo inquietante riscontro nella nostra realtà.

Fahrenhait 451 di Bradbury scritto nel 1953.
Uno stralcio da wikipedia:
Ambientato in un imprecisato futuro posteriore al 1960, vi si descrive una società distopica in cui leggere o possedere libri è considerato un reato, per contrastare il quale è stato istituito un apposito corpo di vigili del fuoco impegnato a bruciare ogni tipo di volume.
 
Oggi i libri non vengono bruciati, ma la cultura sembra sempre più in pericolo, c'è sempre meno considerazione per essa e troppo spesso prevale la cialtroneria.
Sembra vietato pensare con la propria testa, c'è sempre qualcuno che ti vuol spiegare cosa pensare e cosa dire e ti bombarda con notizie e informazioni ridondanti, i media sovente costituiscono una distrazione dai problemi più importanti.
Insomma siamo abbastanza vicini a qualcosa di simile, i libri rappresentano la nostra libertà di pensiero e la nostra cultura.

Cecità di José Saramago pubblicato nel 1995

Stralcio breve della trama da wikipedia 
In una città mai nominata, all'improvviso molte persone cominciano a perdere la vista, sembra a causa di un virus.
L'epidemia si diffonde in tutta la città e il governo del paese decide, provvisoriamente, di rinchiudere i gruppi di ciechi in vari edifici, allo scopo di evitare il contagio. Ogni giorno le guardie avrebbero fornito il cibo agli internati, ma ben presto anche le guardie vengono colpite dalla malattia e la situazione del paese degenera e cade nel caos completo.

Il tema fondamentale del romanzo è quello dell'indifferenza, che esplode con il dilagare della cecità, ma che era già presente prima degli avvenimenti in questione.

Lo stesso scrittore, nel discorso fatto in seguito all'assegnazione del Premio Nobel, ha sottolineato come la società contemporanea sia cieca poiché si è perso il senso di solidarietà fra le persone.

Mi sembra che queste brevi note si commentino da sole, rispetto alla nostra moderna società, peraltro il tema di un virus misterioso che colpisce all'improvviso è terribilmente attuale.

Ci sono molti altri romanzi (e parecchi film) che, in qualche modo, hanno anticipato in modo inquietante la realtà.

Quali romanzi o film vi vengono in mente di questo genere?


Fonti testi
Wikipedia 

Fonti Immagini
Pixabay

lunedì 7 dicembre 2020

Tattabum

 
Lo sai che più si invecchia, più affiorano ricordi lontanissimi, come se fosse ieri 
(Franco Battiato) 

La nostra classe era una prima media anomala, era la prima F e mancava la seconda e la terza.
Era l'unica classe mista composta da maschi e femmine, tutte le altre sezioni erano solo maschili o femminili, era infatti una classe di transizione, in seconda media le ragazze sarebbero passare alla sezione femminile e i ragazze a una sezione maschile. All'epoca, nel 1975, era così, solo alle superiori avremmo avuto una classe mista senza che nessuno se ne stupisse. 
Ma torniamo alla prima F, i ragazzi o i forse dovrei dire i bambini, visto che avevano quasi tutti undici anni, salvo qualche ripetente, insomma i bambini erano la minoranza, le bambine un po' di più.
Quelle classe si era formata perché, al termine della quinta elementare, i promossi e gli iscritti alla prima media non raggiungevano un numero sufficiente per fare una classe solo maschile o femminile, oppure eravamo troppi per essere inseriti nelle altre sezioni.
Comunque sia, questa strana classe doveva andare avanti e noi avevamo dei buoni insegnanti.
Ricordo la professoressa di italiano che era severa ma di buon cuore, sembrava dura ma alla fine aveva sempre un atteggiamento dolce con tutti e poi ricordo la professoressa di inglese che era bellissima, una vera bomba sexy, con lunghi capelli neri, alta, magra e sorridente, una giovane donna appassionata all'insegnamento. Tutti studiavamo inglese volentieri perché lei era adorabile. 
 
Non ricordo gli altri insegnanti della prima media, non ho di loro neanche un ricordo nebuloso, pensare che ricordo bene le suore dell'asilo, ma gli altri professori della prima media proprio no, forse perchè erano gli stessi professori che ho trovato in seconda media e che, invece ricordo bene. 
Non so, è una teoria, ma la memoria fa strani scherzi.
Altro vuoto di memoria riguarda le bambine di quella classe, non le ricordo.
È probabile, anche in questo caso, che me le sia ritrovate in seconda media, ma ho il vuoto assoluto. 
 
Ricordo bene invece alcuni bambini.
 
Federico era il più bravo, sempre in ordine, con il grembiule perfettamente stirato e un fiocco azzurro perfetto, lui doveva avere una buona famiglia
C'era Edoardo, ero il bambino più bello, ripetente di un anno, anche lui abbastanza in ordine ma sempre con l'aria triste.
Poi c'era lui, il ragazzo ripetente più volte, avrà avuto tredici anni, a noi bambine sembrava troppo grande anche per entrare nel banco.
Il suo grembiule era sempre sgualcito e troppo corto, Non parlava con nessuno, aveva sempre gli occhi bassi e la faccia arrabbiata. E aveva perfino un po' di barba, una peluria leggera sulla faccia che rimarcava ancora di più la sua età. Non ricordo il suo nome, forse si chiamava Giovanni o Antonio, lui aveva per tutti noi un solo nome, Tattabum, così lo chiamavano gli altri ragazzi per farlo arrabbiare. 
Ero un nomignolo onomatopeico crudele perché quel ragazzo grande e grosso, con già la barba in faccia, non riusciva a parlare, ogni frase per lui era un supplizio, perchè era balbuziente. 
 
I bambini sono terribilmente spietati e lui ogni volta che veniva interrogato la sua difficoltà di linguaggio suscitava l'ilarità della classe, senza nessuna pietà.
 
Ogni volta che qualcuno dei bambini lo chiamava con quell'appellativo ignobile lui si alzava dal banco e lo andava a riempire di pugni, in questo il più forte era lui.
Il bello era che anche il bambino che veniva picchiato si sbellicava dalle risate.
Questa cosa faceva divertire tutta la classe finché non arrivava la professoressa di italiano che cominciava a urlare e li prendeva per le orecchie finché non riusciva a separarli.
 
"Tu sei grande e grosso, rischi di far del male sul serio" diceva la professoressa.
"E voi invece smettetela di farvi beffe di Giovanni" aggiungeva rivolta a quegli altri.
Forse si chiamava davvero Giovanni.
 
Della prima media ricordo queste scene tra commedia e tragedia.

Un giorno Edoardo fu interrogato e capimmo il motivo della sua tristezza.
La professoressa ci aveva dato un tema sulla famiglia, non ricordo bene, forse parlava del Natale o qualcosa del genere, ma Edoardo raccontò, nel tema, che aveva passato il giorno di festa con i suoi fratelli e una zia, perché suo padre non c'era più e sua madre lavorava perchè faceva l'infermiera e lavorava spesso anche nei festivi. 
La professoressa di italiano si commosse, nonostante il tema fosse scritto in un italiano non perfetto, sull'onda dell'emozione, diede un voto molto alto a Edoardo, gli fece una carezza e gli disse che suo padre lo guardava dal cielo ed era orgoglioso di lui. 
Da quel giorno tutti noi capimmo meglio gli occhi tristi di Edoardo, ma nessuno riusciva a capire Tattabum, lui restò chiuso nel suo mondo per tutto l'anno scolastico, aspettava che finisse per terminare la scuola dall'obbligo e andare a lavorare.
 
Ora, non so perchè mi stanno tornando alla mente queste vecchie storie di vita vissuta, forse perchè come dice Battiato, più si invecchia più affiorano i ricordi, oppure perchè in questo anno difficile, si fanno riflessioni sulla vita che traggono spunto anche da ricordi lontani.
 
Così ho ripensato a Giovanni (chiamiamolo così), alla sua difficoltà di linguaggio e a come deve essere stata difficile la sua vita soprattutto in quell'anno scolastico.
Ricordo però che, nonostante tutto, verso la fine dell'anno,  tra i ragazzi, compreso Giovanni, si fosse creata una certa unione, quindi mi piace pensare che quell'anno non sia passato invano.
 
 
Fonti immagini
Pixabay

domenica 29 novembre 2020

Chi dice donna dice danno?

 


L'idea di questo post nasce da un commento lasciato sul blog Volpi che camminano sul ghiaccio di Elena Ferro, intitolato Linguaggio di genere. Asterisco, chiocciolina o..

Questa settimana cadeva il 25 novembre, per me da sempre una data importantissima, ma solo perchè il 25 novembre è il mio compleanno.
 
Per una risoluzione dell'Assemblea generale delle nazioni unite, dal 1999 è anche la giornata internazionale per l'abolizione della violenza contro le donne.
Bene, avere una giornata a ciò dedicato è una buona iniziativa, ma purtroppo delle donne sono morte proprio mercoledì scorso per mano dei propri mariti o compagni, che tristezza.
Giovedì scorso ero iscritta a un corso on line organizzato dal comitato per le pari opportunità della mia azienda, l'argomento del corso riguardava "Le molestie sessuali sui luoghi di lavoro", io non avevo fatto caso al fatto che il corso fosse il 26 novembre, cioè proprio il giorno successivo a questa ricorrenza, ma visto che era il giorno successivo alla giornata contro la violenza delle donne ovviamente si è parlato non solo degli abusi ma anche delle violenze vere e proprie.
Ho seguito il corso con un orecchio solo, è questo il problema dei corsi on line, finisci per fare più cose contemporaneamente, magari leggi qualche mail oppure rispondi al telefono e ti perdi dei pezzi.
Però comunque con la mia cuffietta ascoltavo e sono rimasta piuttosto colpita da alcune affermazioni. 
Premetto che le statistiche parlano anche di uomini molestati, una percentuale molto bassa ma è doveroso citarlo, ma la storia insegna che le donne da sempre siano state discriminate sul lavoro, soprattutto in determinate situazioni di bisogno, è questo che è terribile, quando c'è il bisogno di lavorare e la donna viene ricattata sessualmente ma non solo perchè ha bisogno di lavorare.
 
Io pensavo che per fortuna non mi sono mai trovata in nessuna situazione spiacevole di questo tipo, nella mia azienda ci sono diverse donne in posizioni di comando (e putroppo sono delle vere iene, mi dispiace dirlo, però alcune sono illuminate, oltre che brave e competenti). Io stessa ho un ruolo di responsabile anche se non sono al massimo livello, nè ci arriverò...
Proprio mentre pensavo di essere fortunata l'insegnante del corso ha detto questa frase:

È violenza ogni volta che qualcuno ti chiede di vestirti in un certo modo per poter lavorare.
Ogni volta che qualcuno ti chiede se sei sposata o se hai intenzione di fare figli, ogni volta che in una situazione lavorativa ti fanno pesare il fatto di essere donna, con frasi o atteggiamenti discriminatori...

Insomma se fai un colloquio di lavoro a un uomo non gli chiedi se ha intenzione di sposarsi o di fare dei  figli, non gli chiedi di indossare la minigonna e il tacco dodici.
La frase mi ha colpito perché all'inizio della mia carriera lavorativa mi é successo qualcosa di simile.
Subito dopo la laurea in economia con 110/110 e lode (lo scrivo solo per sottolineare che la mia appariva come una formazione qualificata) una mia amica - che lavorava in una società di selezione del personale - mi fece compilare subito il curriculum e mi disse che avrebbero proposto il mio profilo ad alcune società che cercava del personale.
Bene, dopo alcuni giorni mi proposero un colloquio con una delle più grandi aziende multinazionali del territorio bolognese. Era un'azienda che operava nel campo della moda e cercavano una figura di Responsabile amministrativo o qualcosa del genere, anche senza esperienza lavorativa pregressa. 
Io andai allegramente a fare il colloquio, eravamo tre in lista, un uomo e due donne.
La mia amica mi confidò che il mio curriculum era il migliore in assoluto, la ragazza credo non fosse laureata, il ragazzo era laureato in economia con un voto basso, credo fosse sotto il 100, io invece avevo il profilo migliore. Tutti e tre senza nessuna esperienza lavorativa.
Ovviamente queste erano notizie riservate, ma la mia amica me ne parlò in gran segreto.

Il titolare (uno degli amministratori nonchè proprietario), abbastanza giovane, ma dall'aspetto serio e austero, mi fece il colloquio e molto tranquillamente mi chiese se fossi fidanzata e se avessi intenzione di sposarmi e avere dei figli.
Io risposi che avevo un ragazzo, ma non avevamo fatto nessun progetto per il futuro, ma ovviamente avendo 24 anni era possibile che in un futuro mi creassi una famiglia.
Lui mi fece i compimenti per il percorso di studi con il massimo dei voti e per altro che non ricordo, ma disse molto candidamente che avrebbe preferito assumere un uomo perché le donne "quando fanno dei figli si assentano e hanno problemi a fare straordinari".
Io rimasi interdetta, ma non obiettai granché, credo risposi: lei faccia pure come ritiene opportuno per la sua azienda o qualcosa del genere.
Fu assunto il ragazzo e quando riferii alla mia amica quello che mi era stato detto nel corso del colloquio anche lei rimase basita.
Certo preferiscono assumere un uomo cretino piuttosto che una donna in gamba, disse irritata dall'arroganza di quell'uomo.
Io non mi preoccupai più di tanto, sapevo che avrei fatto altri colloqui e avuto altre occasioni. 
La beffa del destino è che, anche se non per mia volontà, non ho avuto figli, ma a 24 anni non potevo saperlo.
 
Se avessi avuto un registratore avrei potuto fargli causa, chissà, anche se nel 1988 non era poi strano che degli uomini ai posti di potere facessero certe affermazioni, tra l'altro questi discorsi li ho sentiti fare spesso anche da donne al comando, cosa ben più avvilente. 
Quel corso mi ha fatto ripensare a quell'episodio lontano nel tempo.
Questa grande azienda oggi ha chiuso i battenti, era nata nel 1947 e ha chiuso per concordato fallimentare nel 2015, il marchio è stato poi acquistato da una società americana.
Quindi forse è stato un bene non essere assunta, anche se forse, se fossi stata assunta, me ne sarei andata prima, come ha fatto una mia amica che dopo un anno di lavoro senza che gli pagassero gli straordinari (gli avevano promesso un aumento in alternativa che però non arrivò) si licenziò a cinque giorni dall'inizio della stagione  della fiera campionaria autunnale, lasciandoli in braghe di tela. 
Piccole soddisfazioni per interposta persona.

Ora, nel mio piccolo, per fortuna non ci sono stati altri episodi spiacevoli connessi al mio genere, nel mio percorso lavorativo, anche se non sono mancati apprezzamenti o battute "simpatiche" di certi uomini.
Credo che la violenza e l'abuso nascano soprattutto da un fatto culturale ed è questo che bisogna cambiare, questa deve essere la vera sfida.
Del resto non è forse vero che nel corso dei secoli la donna era il demonio che ti portava alla perdizione, tentandoti con il suo corpo? Era la strega che interagiva con il diavolo, era la sirena che ammaliava col suo canto.

Scoprii che più amara della morte è la donna, che è come il laccio dei cacciatori, il suo cuore è come una rete, le sue mani funi.
da Il nome della rosa di Umberto Eco.



Fonti immagini
Pixabay



domenica 22 novembre 2020

Michelino nel comò

 


Lei era una professoressa di italiano, lui il preside di una scuola media, due persone istruite, nel 1969 voleva dire appartenere a un certo ceto sociale perché la maggior parte della gente non arrivava al diploma nè tantomeno alla laurea.
Mia mamma diceva sempre che erano ricchi, che se fossi cresciuta in quella famiglia avrei avuto infinite possibilità visto che noi, invece, eravamo poveri.
Io ero scettica, avevo cinque anni ma conoscevo bene ciò che era davvero importante nella vita, ovviamente senza saperlo, ma lo sentivo bene in fondo al cuore.
 
I bambini sanno già tutto, poi crescendo imparano a combattere con i dubbi
 
La professoressa che noi chiamavamo la signora Laura (nome di fantasia) era la nostra vicina, la sua casa era disposta su due livelli, ed era piena di mobili e oggetti di pregio.
Anche la nostra casa, di fronte alla sua, era disposta su due livelli, ma era molto più piccola e senza riscaldamento, ci scaldavamo con il braciere, ma avevamo anche il caminetto che mio padre accendeva nelle sere d'inverno e quella fiamma era bellissima e scaldava corpo e cuore.
Invece la casa della signora Laura aveva i termosifoni in ogni camera, un lusso riservato a pochi a quei tempi. 
Ma quello che più di tutto decretava la loro ricchezza era la televisione, loro possedevano la televisione! Era l'unica famiglia ad averla in tutta la strada o forse in tutto il quartiere, qualcosa di assolutamente strabiliante.

 
La sera la signora spalancava la porta del piano terra che dava sul suo salotto e chiamava tutti i bambini della strada invitandoli a sedere sulla soglia per vedere la TV, questo credo avvenisse in estate, insomma ricordo che il tempo era bello e per noi era una vera meraviglia poter vedere le immagini proiettate da quella scatola magica, chissà se c'era già carosello, non ricordo. 
La signora Laura non aveva figli e per questo era molto infelice. E poi aveva una vera passione per me, mi chiamava Giulietta, mi riempiva di baci e mi dava sempre qualche dolcetto (biscotti al cioccolato o golose caramelle), nelle case dei comuni mortali più poveri quei dolcetti non c'erano, ricordo che mia nonna preparava una merenda con il pane cosparso di olio e zucchero, non fate quella faccia, era buonissimo.
Ma i biscotti al cioccolato erano un'altra cosa, era qualcosa di molto speciale.
La signora Laura era sempre elegante, profumata e truccata, ogni volta che mia madre si fermava da lei per chiacchierare lei non era mai in disordine. 
Un giorno la signora Laura confidò a mia madre che avrebbe tanto voluto dei bambini ma non erano arrivati ed era un dolore che proprio non riusciva a sopportare.
"Ma perché non avete adottato un bambino, voi siete benestanti" chiese mia madre.
"Lo so Maria, ci abbiamo provato, ma non è affatto facile" rispose.
 
E poi raccontò una storia, la storia di Michelino che dormiva nel cassetto del comò e voleva stare senza scarpe.
Avevano fatto un tentativo di adozione, ma siccome avevano già una certa età, non potevano adottare un neonato oppure un bimbo molto piccolo, così fu loro affidato un bambino più grande di circa  sette-otto anni, si chiamava Michelino, proveniva da una famiglia numerosa e poverissima napoletana ed era stato messo in orfanotrofio perchè i genitori non riuscivano a mantenerlo. 

Ma Michelino non era facile da plasmare a loro immagine e somiglianza, non così su due piedi e, a proposito di piedi, lui non voleva portare le scarpe, diceva che stringevano e lo soffocavano,  del resto era abituato a correre scalzo per i vicoli stretti del centro di Napoli.
E poi non voleva andare a scuola perché diceva che la scuola non serviva, visto che lui voleva fare il muratore come suo padre.
Infine c'era un brutto vizio che Michelino non riusciva proprio a togliersi, non voleva dormire nel letto, la notte si alzava, apriva il cassetto del comò e dormiva rannicchiato lì, la sera la signora lo metteva a dormire nel letto e  la mattina dopo lo trovava addormentato nel cassetto del comò.
Lui non capiva perché non andasse bene, era un comò enorme, pieno di asciugamani e lenzuola profumate di lavanda, nella sua vecchia casa dormiva in cassetti più piccoli e scomodi con i suoi fratelli, perché non c'erano i letti per tutti.
Io immaginavo la casa a piano terra di Michelino, stretta e angusta, piena di bambini scalzi e pensavo che la mia casa con il caminetto con ben tre camere, anche se piccole e senza termosifoni, era una reggia al confronto, anche se non era grande ed elegante come la casa della signora Laura.
Michelino fu rispedito a casa sua, credo ci fosse un periodo di prova per la conferma dell'adozione o qualcosa del genere, perchè non potevano accettare che il figlio di un preside e di una professoressa facesse il muratore e camminasse scalzo, né tantomeno dormisse nel comò.
Dopo non fecero altri tentativi di adozione e si rassegnarono a una vita senza figli. 
Mia madre mostrò comprensione e disse che capiva. 
Quella che non capiva ero io, pensai - nella mia mente di bambina - che avrebbero dovuto avere più pazienza con Michelino perché non puoi cambiare abitudini da un giorno all'altro e, anche se quella cosa del comò mi sembrava molto strana (come puoi voler dormire in un comò, quando hai a disposizione un bel letto!) in fondo non era così grave, prima o poi Michelino avrebbe imparato a dormire nel letto.
Rimasi in silenzio fingendo di giocare tutto il tempo con la mia bambola con i capelli di plastica (non avevo una bambola con i capelli pettinabili, era sempre un lusso).
 
State attenti quando parlate perché i bambini ascoltano tutto, anche quando sembrano intenti a giocare.
 
Pensai che la signora Laura si meritasse la sua infelicità perché mandare via Michelino era stato un atto di grande viltà (non so se lo pensai proprio in questo modo a cinque anni, ma il senso era quello).
 
Tornati a casa chiesi a mia madre che fine avesse fatto Michelino e lei mi disse che era tornato a casa sua o forse era stato adottato da un'altra famiglia. Mi disse di non preoccuparmi per lui perché,  sicuramente, stava bene.
Ma io per molti giorni pensai a Michelino con una fitta al cuore, a me quel bambino che voleva dormire nel comò era piaciuto subito, mi aveva ispirato una istintiva simpatia, anche se non lo avevo conosciuto.
Da quel giorno i biscotti della signora Laura mi sono sembrati meno buoni, in fondo era ottimo anche il pane con olio e zucchero di mia nonna, c'era dentro un ingrediente insostituibile che si chiamava amore, anche se non lo sapevo.
Un anno dopo comprammo anche noi la televisione e, dopo un altro anno, traslocammo andando a vivere in un appartamento nuovo in un condominio grande, uno dei primi costruiti in paese.
Mio padre aveva venduto la casa troppo piccola del centro, con il ricavato e un mutuo comprammo la casa nuova: con i pavimenti in marmo, le camere ampie, i termosifoni e un grande balcone. 
Era in periferia, pensate che oggi quella zona è considerata semicentrale, ma allora nella strada successiva al nostro condominio c'era la campagna che si estendeva ampia verso l'orizzonte, che a me sembrava infinito e dove andavo a giocare con gli altri bambini fingendo di correre nella giungla misteriosa. 
È strano ma, ogni tanto, quando vado in Puglia e passo da quella via laterale del centro, mentre osservo la pavimentazione di pietre lisce e l'aspetto quasi immutato, vengo assalita dalla nostalgia, guardo la casa della mia infanzia con il piccolo balcone pieno di gerani, di fronte la casa della signora Laura che ora non c'è più e non posso fare a meno di chiedermi dove sia finito Michelino.
E anche se questa è una domanda che non avrà risposta, resta la consapevolezza che molte storie e molte vite si comprendono meglio a distanza di anni. 
La patina del tempo ha uno strano potere: rende tutto più chiaro.

Siete d'accordo? 

Fonti immagini 
Pexel e Pixabay


domenica 15 novembre 2020

Saldi e ribassi: promozioni Amazon o Facebook?


                                                                


L'idea di questo post è nata leggendo il post di Maria Teresa Steri del blog Anima di carta che parlava della sua esperienza con le inserzioni di Amazon advertising.
Questa estate, con l'uscita della quarta indagine del Commissario Sorace e la riedizione del romance L'amore che ci manca, ho avuto davvero poco tempo per dedicarmi alle promozioni, ma visto che Amazon offriva l'opportunità di attivare delle campagne pubblicitarie anche per gli autori italiani mi è sembrata un'ottima occasione e mi sono buttata a pesce, senza però studiare troppo.
Mi sono affidata quindi agli automatismi offerti da Amazon partendo dalla cifra minima: 1 euro al giorno. Poi me ne sono dimenticata.
Dopo qualche tempo Amazon mi ha inviato una mail in cui affermava che la mia campagna non rendeva al massimo e che era consigliabile aumentare il budget almeno a 3 euro al giorno. 
Ci sono stata a pensare un po' (io ho sempre fatto delle promozioni su facebook a 1 euro al giorno e per periodi limitati) poi ho deciso di aumentare a 3 euro, mettendo però la scadenza del 30 settembre.
Ancora una volta l'ho fatto e dopo ho smesso di pensarci, anche se periodicamente andavo a sbirciare le vendite. Ogni tanto vendevo uno o due eBook ed ero contenta. E tanto bastava.
In realtà, nel frattempo, mi ero dedicata anche ad altre promozioni grazie alla newsletter mensile di Streetlib che proponeva le promozioni di IBS ed Amazon.
Ora, siccome gli altri due gialli (Fragile come il silenzio e La sottile linea del Male) sono venduti - tramite la piattaforma di Streetlib - anche su altri store, ogni volta che arrivava la newsletter delle promo da candidare ne proponevo uno in alternanza, perché il regolamento impone di non mettere in promozione un libro che hai proposto il mese precedente e così via.
La mia scelta è sempre stata quella di offrire il massimo sconto (il minimo era il 25% del prezzo di listino, quindi per il prezzo di listino di € 2,99 l'offerta doveva essere almeno di € 2,24); 
potevo scegliere di impostare il prezzo a € 1,99 oppure a € 1,49 ma alla fine, per semplicità, ho sempre impostato la promozione più bassa ossia € 0,99 e per tutto il mese.
Pensate che sia un prezzo troppo basso? 
È possibile, ma ho ragionato come lettore, io quando vedo delle offerte di libri che mi interessano a € 0,99 compro subito. Ovviamente devono essere libri che mi interessa leggere, magari eBook che costavano tra € 2,99 e € 4,99 e che quindi compravo solo nel momento in cui decidevo di leggerli.
Gli autori editi da Amazon publishing costano tutti € 4,99 perciò quando trovo l'offerta a 1,99 o addirittura 0,99 li compro subito, anche due per volta.
Come si dice Compra il libro in offerta e mettilo da parte, ah no quella da metter da parte era l'arte, ma va bene lo stesso, ci siamo capiti.
Con le promozioni di Newton Compton a € 0,99 per esempio ho scoperto autori interessanti che poi ho continuato a leggere anche comprando a prezzi più alti. Insomma le promozioni servono a invogliare i lettori recalcitranti o a catturare nuovi lettori.

Bene, dopo l'articolo di Maria Teresa sono andata a controllare i report di Amazon e ho fatto un po' di conti. 
Premetto che parlo solo delle vendite fatte tramite la piattaforma di Amazon.
Il respiro dell'alba ha venduto nel periodo della promozione agosto-settembre n. 51 eBook a € 2,99 con pagine lette con Kindle Unlimited n. 5062 con royalties lorde € 101, spesa Amazon advertising € 50.
Sicuramente non posso vivere di scrittura ma non sono in perdita, anche se pagandoci le tasse vado più o meno in pareggio.
L'ombra della sera offerto a 0,99 (non per tutto il periodo) senza Amazon advertising - bensì con una promo Facebook alternata di circa venti giorni per una spesa complessiva di € 22,00 - ha venduto n.96 eBook con royalties lorde € 55,95.
Il guadagno è inferiore ovviamente, ma 96 eBook venduti sono un numero dignitoso, anche perché mi sono arrivate parecchie recensioni gratis, per gratis intendo recensioni spontanee di lettori che hanno apprezzato il romanzo e che non mi conoscono attraverso il blog o altri canali. 
Tra l'altro anche gli altri romanzi della serie hanno guadagnato nuove recensioni, alcune anche molto belle.
Nello stesso periodo ho promosso anche il romance L'amore che ci manca tramite Facebook con una spesa di € 14,00 vendendo 24 copie (non tutte a 0,99) con royalties lorde di € 16,90. 
Insomma sembra che il romance attragga meno.
 
Resta il dubbio amletico: Amazon advertising ha funzionato oppure è stato il piccolo successo estivo dei primi libri della serie di gialli (promossi solo tramite facebook) che ha trascinato anche l'ultimo episodio di Sorace? 
E se fosse il contrario? 
Amazon advertising ha fatto notare anche gli altri libri che, messi in offerta al prezzo di un caffè, hanno portato nuovi lettori?

Comunque sia, ho scoperto uno dei vantaggi del self publishing: poter rilanciare un romanzo uscito un anno o due o tre anni prima con adeguate promozioni, per esempio L'ombra della sera che, appena uscito, era passato quasi inosservato ha avuto un rilancio inaspettato.
Penso che con Amazon advertising riprenderò, ma vorrei approfondire meglio le sue potenzialità per non operare solo con gli automatismi, vi racconterò.
A proposito di libri al prezzo di un caffè, questo mese è in offerta Fragile come il silenzio e L'amore che ci manca, l'offerta era cominciata con IBS ma poi ha adeguato il prezzo anche Amazon e Apple (forse anche altri store, non ho controllato), insomma con gli eBook la teoria della concorrenza perfetta funziona realmente.

E voi avete mai fatto delle promozioni?


Fonti immagini
Pixabay

sabato 7 novembre 2020

Come eravamo...prima della globalizzazione



Parliamo degli anni novanta fino ai primi anni duemila, non ricordo bene, diciamo prima della globalizzazione spinta al massimo, i negozi la domenica erano chiusi e, quando approssimandosi il Natale, c'erano le aperture domenicali dei negozi, girare per fare shopping era una festa (tranne per i commessi immagino).
Con i negozi chiusi nei festivi c'erano tante belle cose da fare: una gita all'aria aperta, se c'era il sole, andare al cinema o a teatro, oppure c'erano i ritrovi a casa di amici in qualche particolare occasione.
Quando faceva molto freddo, per esempio, ci si ritrovava a casa di qualcuno del nostro gruppo di amici a giocare a Trivial, Taboo, Risiko (quest'ultimo non mi piaceva granché ma era il gioco preferito dei maschietti e ogni tanto bisognava accontentarli), poi si finiva per fare le caldarroste, si beveva del vino novello e per, finire la serata, si ordinava una pizza oppure si andava direttamente in pizzeria.
La domenica tutto sommato non c'erano grandi alternative, soprattutto se faceva freddo (i bei tempi in cui esistevano ancora le stagioni e quindi anche l'inverno). 
Ogni tanto andavamo a Ferrara (una città anticipatrice in cui alcuni negozi erano già aperti la domenica) oppure in centri commerciali fuori città (i primi outlet).
 
Poi sono arrivati i negozi aperti tutte le domeniche, sempre e dappertutto.
 
E la domenica ha perso significato, non c'era più nessuna novità: non hai fatto in tempo a fare la spesa in settimana? Nessun problema puoi farlo di domenica (secondo me non c'è niente di più deprimente che fare la spesa di domenica anche se confesso che mi è capitato); devi comprare un vestito nuovo? Puoi farlo di domenica! Tanto è sempre tutto aperto.
(Ovviamente non in questo periodo, vista l'emergenza sanitaria, ma questa mia riflessione nasce un po' anche da questa situazione).

Tornando ai negozi, credo che il declino sia cominciato da lì, in nome del consumismo tutto era sempre aperto, tutto a disposizione per poter comprare:
 
"Ah, ma così avremo più posti di lavoro, gira di più l'economia, finalmente come gli americani aperti giorno e notte".

Queste le argomentazioni a supporto. È stato così? Non mi pare, invece che avere più posti di lavoro abbiamo avuto lavoratori massacrati da turni domenicali e festivi, persone che non potevano restare con la propria famiglia. E poi io detesto la mania di voler copiare gli americani o fare quello che si fa all'estero, ma siamo sicuri che sia meglio?
Ma davvero abbiamo bisogno di fare la spesa di notte o nei week end? 
E poi, credo che con i negozi aperti anche nei festivi si sia legittimato sempre più il lavoro a oltranza senza interruzione, io ho notato questo nel mio luogo di lavoro, ma l'ho verificato anche in altri contesti.
Non esistevano più orari, ho cominciato a vedere fissate delle riunioni in orari sempre più assurdi, all'ora di pranzo o di venerdì tardo pomeriggio. In qualche occasione particolare poteva anche accadere, ma quando è diventata la regola ho capito che eravamo sull'orlo del baratro. 
Era l'effetto della globalizzazione, tutto legittimanto in nome del profitto.
Qualcuno ha chiamato tutto questo "progresso", invece sappiamo che non è proprio così tra inquinamento, delirio consumistico e delocalizzazione di aziende all'estero a scopo di lucro.

Insomma i negozi aperti di dimentica erano belli sotto Natale quando l'apertura starordinaria costituiva una novità, dopo sono diventati un'abitudine anche un po' fastidiosa. 
Una volta ero attratta dallo shopping poi ho cominciato ad annoiarmi profondamente, ho cominciato a sentirmi oppressa da questa frenesia dell'acquisto ossessivo.
Ho cominciato ad avere sempre più l'impressione che il tempo dello shopping sia tempo rubato alla mia vita perchè ogni volta che giriamo per megastore e centri commerciali togliamo tempo a noi stessi e a ciò che fa bene al nostro spirito. 
Negli ultimi anni, è stato un cambiamento quasi inconsapevole, ho imparato a fare a meno sempre più di determinati acquisti e ho cominciato a sentirmi meglio, compro ancora certo, ma solo quello che davvero desidero e a cui do valore, anche l'inutile se mi fa star bene, purchè ci sia un senso per me stessa. 

E in questo momento terribile in cui siamo costretti a chiudere tutto qualche domanda sorge spontanea, forse abbiamo investito troppo sul consumo, sulle cose da avere invece che su ciò che volevamo essere.
Vi lascio con una considerazione di Tiziano Terzani che mi sembra in linea con il mio pensiero. 
 
"Da qualche parte c'è qualcuno, per il quale nessuno ha votato, che spinge perchè il mondo giri sempre più alla svelta, perchè gli uomini diventino sempre più uguali in nome di una roba chiamata 'globalizzazione' di cui pochi conoscono il significato e ancor meno hanno detto di volere" 
Tiziano Terzani 

Voi cosa ne pensate?

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domenica 1 novembre 2020

Libri d'autunno



In questi giorni non sto scrivendo molto, ma sto leggendo, anche dei libri piuttosto difficili.
Uno si intitola Strage di Loriano Macchiavelli, un libro impegnativo e complesso, che parla della Strage di Bologna, con il quale sto andando parecchio a rilento, come attenuante c'è il fatto che ho appena finito di leggere il romanzo Delitto e castigo. 
Nel frattempo mi sono lasciata travolgere da una serie di offerte su romanzi di autori che ho imparato ad apprezzare.
 
Vi elenco gli eBook acquistati 

Due omicidi diabolici di Raffaele Malavasi (lettura in corso al 50%)
La principessa di ghiaccio di Camilla Läckberg 
Di questo e altri mondi di Riccardo Bruni (serie sull'avvocato Berni) 
La notte delle falene di Riccardo Bruni 
Come tracce sulla sabbia di Federico Maria Rivalta 
Passi di tango in riva al mare di Federico Maria Rivalta 
Per un bacio e molto più di Monica Brizzi 

Riccardo Bruni è un autore che, nel mio cuore, fa concorrenza a Gianrico Carofiglio, di lui ho letto La promessa del buio, La stagione del biancospino e Una sera di foglie rosse (il primo romanzo della serie sull'avvocato Berni), quindi non potevo lasciarmi scappare la seconda avventura dell'avvocato Berni e poi ho approfittato dell'offerta de La notte delle falene.
I romanzi di Federico Maria Rivalta sono tutti incentrati sul cronista de Il mattino di Padova, poi diventato Free lance, Riccardo Ranieri, si tratta di gialli ambientati a Padova e dintorni. Il protagonista è un personaggio simpaticissimo piuttosto imbranato ma che risolve tutti i casi, insomma si tratta di romanzi dove si indaga e si ride anche un po' (che di questi tempi non fa male).
Cosa ci fa in fondo un romanzo d'amore? 
Ho letto tutti i romance di Monica Brizzi, un'autrice-blogger che seguo fin dai suoi inizi, e ho approfittato dell'offerta del suo ultimo romanzo, che c'è bisogno anche di amore e leggerezza, non si vive di soli thriller...
Infine, ultimo acquisto, non era in offerta ma era nelle mie intenzioni di lettura l'ultimo romanzo di Grazia Gironella Tutti gli amori imperfetti, un'autrice-blogger che riesce sempre a catturarmi con le sue storie.
A questo punto ho una bella scorta di libri che spero di terminare entro la fine dell'anno, non so ancora in quale ordine.
E poi non posso far altro che leggere, in questo periodo di incubazione, è un momento in cui siamo tutti incerti sul nostro futuro, cerchiamo di barcamenarci, tra angoscia e paura, in un mondo dove la scrittura sembra inutile e inconsistente o, forse, la sola realtà ed evasione che ci possiamo permettere, oltre alla lettura.
L'altro giorno in uno stralcio di intervista Ken Follet ha detto che non potrebbe scrivere ora un romanzo ambientato nel 2020 perché non sappiamo ancora come andrà a finire. Ho sentito distrattamente questa sua affermazione in una rubrica del telegiornale, mentre facevo altro, ho pensato che avesse ragione, ma quindi non possiamo far altro che aspettare, siamo sospesi, in un limbo.
E in questo limbo un buon modo per alleggerire il tempo può essere quello di immergerci nelle nostre emozioni attraverso un libro.

Voi cosa state leggendo in questi giorni?

Fonti immagini:
Pixabay

mercoledì 28 ottobre 2020

Cinque parole per un romanzo sul blog Scrivere Vivere


Buona sera amici, 
Martedì, cioè ieri, sono stata ospite del blog Scrivere Vivere di Grazia Gironella che ringrazio di cuore, in "cinque parole per un romanzo" la sua nuova rubrica, nel corso dell'intervista ripercorro i momenti salienti e le sensazioni che il mio ultimo romanzo Il respiro dell'alba mi ha trasmesso.
Vi riporto il link



venerdì 23 ottobre 2020

Ambientazione 2020


 
In questi giorni mi si accavallano nella mente tante idee su una possibile indagine di Sorace, il problema è che il romanzo è ambientato nel 2020 e, ormai si sa, non è un anno come gli altri...
Ecco di seguito i pensieri senza capo nè coda che mi frullano in testa.
Se c'è un killer, questo può agevolmente nascondersi sotto una mascherina e se porta i guanti in lattice chi potrà mai pensare che lo faccia perché vuole uccidere qualcuno senza lasciare impronte? 
Questo può essere problema o un vantaggio? 
Magari è un vantaggio, perché diventa l'ennesima difficoltà da affrontare da parte di un commissario che deve seguire un'indagine di omicidio.
Dall'altra parte se non è possibile girare per le strade liberamente, uno che lo fa non passa inosservato, anche se magari va a fare la spesa oppure va al lavoro...(purché non lavori in un bar o ristorante o negozio di parrucchiere e abbigliamento).
Tutto diventa una variabile da considerare nell'ideare una storia da scrivere, così penso e ripenso e non scrivo. 
Ok, in fondo non scrivo perché non mi sono ancora applicata abbastanza, però un killer non potrà mimetizzarsi nella folla se c'è il lockdown e poi, essendoci già il coranabirus, il nemico invisibile che uccide già tanto di suo, che suspense può dare un killer in carne e ossa che uccida con un'arma ben visibile come una pistola o un coltello?
In realtà non ho ancora cominciato a scrivere anche per un altro motivo, il richiamo del mondo esterno è irrinunciabile, soprattutto con la prospettiva di nuovi Lockdown, sabato scorso per esempio era una bellissima giornata e abbiamo deciso di fare un giretto a Ferrara, città che amo da sempre e che è talmente vicina a Bologna da costituire una gita fuori porta facilmente gestibile. Insomma nel frattempo preferisco guardarmi intorno che guardare il computer.
Non resta che lasciar andare i pensieri e allungare il periodo di incubazione della storia aspettando "quel momento", ossia quella specie di folgorazione che ti prende, quasi sempre, mentre stai facendo altro oppure in un momento di ozio assoluto (cosa rara, ma accade) in cui si accende una lampadina sulla testa alla stregua di Archimede Pitagorico di Walt Disney. 
In "quel momento" se ho un foglio di carta a portata di mano butto giù una specie di sinossi oppure una scena fondamentale che servirà per sviluppare la trama portandola in una certa direzione, insomma non avviene sempre allo stesso modo, ma la modalità creativa si ripropone più o meno così.
Solo che questo 2020 è ancora troppo in evoluzione e chissà quando si stabilizzerà, le prospettive che abbiamo davanti a noi non sembrano incoraggianti. 
Il dramma in un romanzo è fondamentale per creare nel personaggio quella spinta emotiva che lo porti ad affrontarlo e a cambiare la propria vita, nel 2020 esiste un dramma collettivo che fa impallidire tutti gli altri drammi privati.
La scrittura però serve anche a questo, ad andare oltre la realtà verso una possibile speranza.
 
In questo post ho lasciato vagare i miei pensieri in libertà un po' come le foglie rosse in autunno che arrossiscono e cadono, volteggiando nell'aria.
 
Se volete dite pure la vostra, in libertà.

Fonti immagini: pixabay

domenica 11 ottobre 2020

Liberarsi del superfluo

Gli uomini, non bastando loro ciò che è necessario, si affannano per ciò che è inutile (Goethe)
 Eliminare l'inutile può far sentire più leggeri, ma anche liberarsi di ciò che sembra importante, cosa è veramente indispensabile? Ci sono oggetti che ci sembrano fondamentali, siamo sicuri che sia davvero così?  

Come afferma Battiato in una sua canzone, La polvere del branco: ci crediamo liberi ma siamo prigionieri, di case invadenti che ci abitano rendendoci impotenti, è proprio così, ci circondiamo di cose che non servono. Non per niente la giapponese Marie Combo ha avuto un successo incredibile con un libro intitolato "Il magico potere del riordino" in cui insegna a liberarsi di quello che non serve. All'epoca dell'uscita del libro ho pensato, dove è la novità? questo perchè da sempre sono fermamente convinta che sia importante liberare lo spazio intorno a noi perché così respiriamo meglio e ci sentiamo più leggeri, peccato che sia così difficile mettere in pratica questa cosa apparentemente semplice.

Comunque, negli ultimi tempi, ho cominciato a liberarmi di alcune cose, per esempio dei documenti ormai inutili che avevo accumulato negli anni. Un giorno mi sono messa ad esaminarli e ho deciso finalmente di buttarli, mandando quasi in tilt la distruggi documenti (ehm...dell'ufficio), però con enorme soddisfazione ho liberato un cassetto che ora contiene quello che prima era appoggiato in casa in un angolo perché non sapevo dove metterlo. Poi ho cercato di liberarmi di alcuni libri, vecchi manuali di diritto amministrativo, un libro sul controllo di gestione e argomenti del genere, edizioni abbastanza vecchie, così sono andata in biblioteca perchè per me non è pensabile buttare dei libri, potrebbero sempre servire a qualcuno, e invece no, anche in biblioteca non li hanno voluti, alla fine per non buttarli li ho portati in ufficio, inserendoli (quasi di nascosto) in una libreria a disposizione di tutti, chissà che a qualcuno dei colleghi non venga in mente di consultarli.

Per i romanzi so già dove portarli, ci sono alcuni locali a Bologna, che accettano libri per il bookcrossing, ma devo prima fare una scelta dei libri di cui alleggerirmi, scelta difficile, alcuni romanzi sono destinati a restare con me fino alla morte, altri possono essere lasciati liberi ma devo trovare il tempo di fare la cernita, quando ho messo ordine nei miei documenti ho impiegato una intera domenica pomeriggio e alla fine ero stremata.     

Per non parlare del cambio dell'armadio che si delinea all'orizzonte, aiuto! Anche in questo caso prima di ferragosto ho eliminato una serie di vestiti, ma avrei ancora molto da eliminare.

Avrei anche bisogno di liberarmi dei chili superflui, quelli accumulati in lockdown ma anche quelli derivati da periodi di immobilità davanti alla scrivania e dalla mancanza di movimento, questa però è un'altra storia, anche se si parla sempre di leggerezza e di potersi sentire meglio. 
Mai come adesso sento il desiderio di alleggerirmi, in senso lato, cose, chili, pensieri, persone ehm...pesanti, vorrei una vita sempre più minimalista.
L'idea c'è ma non so se riuscirò a continuare questo percorso, intanto qualcosa è cominciato poi chissà..

E voi siete bravi a liberarvi del superfluo? Quanto riuscite ad essere minimalisti?

Fonti immagini: pixabay 

martedì 6 ottobre 2020

La mia intervista su Anima di carta

 


Cari amici 

Oggi sono ospite su Anima di carta il blog di Maria Teresa Steri che mi ha dedicato una bella intervista dopo aver letto il secondo episodio di Saverio Sorace, La sottile linea del male.
Se siete curiosi e volete andare a leggere questo è il link Anima di carta 
 
Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti!

domenica 4 ottobre 2020

Realtà e fantasia, follia e saggezza


Il folle è uno come noi. Ha semplicemente buttato via la maschera. (lucyinthesky, twitter)

La scorsa settimana sono stata in vacanza in un posto di mare, ma il tempo non è stato granché, tuttavia qualche giorno di sole c'è stato e così, nonostante tutto, mi sono rilassata. Se poi ipotizzo che potrebbe essere stata forse l'unica vacanza prima di una nuova stretta delle regole, data la situazione, non posso lamentarmi.
Nel corso della vacanza una notizia di cronaca ha colpito la nostra fantasia: l'omicidio efferato di una giovane coppia.
Erano appena andati a vivere insieme e qualcuno si è introdotto nel loro appartamento e li ha uccisi con una serie di coltellate. 
Io ho pensato fosse un omicidio passionale, magari un innamorato respinto della ragazza, oppure una persona invidiosa, ossessionata dalla felicità della coppia, il pensiero immediato è stato questo perchè tratto qualcosa di analogo nel mio ultimo giallo.
Questa settimana la scoperta del killer, confessa che ha ucciso per invidia, erano troppo felici, questa la motivazione dell'assassino definito un "sociopatico narcisista".

Più o meno la personalità che descrivo ne "Il respiro dell'alba", di cui riporto un breve estratto

“Il killer è un sociopatico narcisista che ha bisogno di continue attenzioni, perché è lui a essere al centro dell’universo, quindi un rifiuto da parte di una donna lo prende come un affronto personale”

Sono rimasta molto colpita dalla notizia prima di tutto per le due giovani vite spezzate, ma anche perché mi sono resa conto di quanto la realtà superi la fantasia e di come con i miei romanzi riesca a visualizzare situazioni del tutto reali. Quando scrivo, mi documento e approfondisco certi argomenti, perché non voglio esagerare e dare un quadro poco realistico di alcuni crimini e delle motivazioni che sono alla base di efferati delitti. Poi arriva la realtà e, puntualmente, supporta le mie visioni creative. 

Quando accade che la saggezza lasci il posto alla follia? Cosa succede nella mente di chi decide di uccidere? Perché si sceglie il male?
 
Domande spesso senza risposta o, comunque, con risposte che non sembrano mai soddisfare davvero perchè il senso di vuoto che lascia una morte ingiusta è sempre enorme. Sono queste, però, le domande che fanno scattare in me il desiderio di approfondire e di scrivere una storia.

Esistono persone normali che, a un certo punto della loro vita, cambiano completamente e sono assalite da ossessioni che impediscono loro di vivere. DOC, disturbo ossessivo compulsivo, questo è il nome scientifico della malattia, la paura irrazionale dei virus e delle malattie. Ovviamente con la pandemia queste persone hanno peggiorato i loro sintomi. 
Poi ci sono coloro che soffrono di manie di persecuzione, sono così concentrati su loro stessi che non si rendono conto che le loro ossessioni sono irrealistiche. Una persona che conosco non permette più a nessuno di entrare in casa sua perché è estremamente convinto che tutti vogliono distruggere la sua casa e passa il tempo a controllare il perimetro dei suoi muri per vedere se ci sono dei segni del passaggio di qualche vandalo, ovviamente non esce più di casa. 
La sorella di una mia collega era convinta di essere spiata e quando vedeva passare un aereo di linea si nascondeva sotto il letto. 
Queste persone possono trovare sollievo nelle cure, ma è questa la vera difficoltà, sono convinti di essere nel giusto e di stare bene, quindi non vogliono curarsi, poi se, in qualche modo, accettano di andare da un dottore e prendono le medicine riescono quasi ad avere una vita normale, sempre che non ricadano nelle loro ossessioni perchè magari smettono di curarsi.
La maggior parte di queste persone tormentano loro stessi e i loro familiari, ma - di solito - non sono pericolosi per gli altri, ma solo per se stessi, tuttavia può accadere che questi  deliri sfocino nella rabbia e nella follia omicida.  Ed è più frequente di quanto si pensi.

Una volta un mio vecchio fidanzato mi disse che mi apprezzava perchè ero normale, ci rimasi male perchè non mi sembrava un complimento, di solito si dice sei una ragazza speciale, lui mi spiegò meglio cosa intendesse raccontandomi che era stato per alcuni mesi con una ragazza che soffriva di alcune paranoie e mi raccontò alcuni episodi. Insomma, oggi come ieri, la vera impresa è essere normali come diceva Lucio Dalla in una nota canzone.

Essere normali equivale ad essere saggi, insomma "siate affamati, siate folli", ma non perdete del tutto la saggezza. Cosa ne dite?


Fonti Immagini: Pixabay


domenica 13 settembre 2020

Settembre tra ripartenza e sollievo

 


Il mese di settembre mi è sempre piaciuto, dai tempi in cui Alberto Fortis cantava a squarciagola la canzone d'amore da questo mese intitolata (qualcuno se lo ricorda?).

Non so neanche perché mi piace, non ci sono dei motivi per rallegrarsi per il suo arrivo, è il mese in cui le giornate si accorciano, ricomincia la scuola  e l'università, segnando la fine dell'estate e l'inizio del malinconico autunno, insomma non ci sarebbero grandi motivi di entusiasmo. 
Eppure mi piace, forse perché si ricomincia a respirare senza afa, 
forse perché ha il sapore di un nuovo inizio, 
forse perché ci regala ancora della giornate magnifiche di sole dal piacevole sapore estivo, ma senza l'arroganza del caldo rovente, 
forse perché ci risvegliamo dal letargo indolente in cui eravamo immersi per l'afa (io con il caldo perdo la volontà e tendo ad azzerare tutte le attività non obbligatorie).
 
Quest'anno, anche a causa della pandemia, settembre ha un sapore diverso, segna una ripartenza più forte con la necessità della ripresa delle attività economiche, con la paura di sbagliare e di tornare alla paralisi vissuta in primavera.
Nei mesi scorsi ho invidiato chi è riuscito ad andare in vacanza, chi aveva il camper e poteva viaggiare in sicurezza, chi aveva una casa al mare o in montagna, chi aveva un convivente con cui partire con la mascherina, chi aveva un cane da portare fuori, chi aveva una casa grande e meglio attrezzata per il lavoro agile, chi aveva un giardino o un terrazzo dove stare all'aperto ecc ecc

Settembre sembra riconciliarmi con il mondo, tutto viene archiviato e resta alle spalle. 
E in questi giorni mi è venuta una gran voglia di sistemare alcune cose, in particolare, di liberarmi di tante zavorre, sono stata assalita dal "magico potere del riordino" e sono riuscita a eliminare una serie di cose inutili che invadevano la mia casa. In realtà ho solo cominciato, perchè avrei ancora molto di cui liberarmi, mi sono resa conto che ci circondiamo di cose di cui non abbiamo assolutamente bisogno, cose che assurdamente ci sembrano indispensabili ma poi non usiamo. Intanto ho cominciato e l'obiettivo è arrivare a svuotare la casa dell'inutile entro Natale...ce la farò? Non so, intanto già mi sento più leggera. 

Vi lascio con un estratto dalla "Canzone dei dodici mesi" di Guccini, la strofa dedicata a settembre e con il link di yuotube della canzone, citata all'inizio, Settembre di Alberto Fortis, il cui ascolto riesce ancora a emozionarmi.

Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull'età, dopo l'estate porti il dono usato della perplessità, ti siedi, pensi e ricominci il gioco della tua identità, come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità.
 

 

Voi che rapporto avete con il mese di settembre, provate la stessa sensazione di ripartenza e di sollievo?