Lei era una professoressa di italiano, lui il preside di una scuola media, due persone istruite, nel 1969 voleva dire appartenere a un certo ceto sociale perché la maggior parte della gente non arrivava al diploma nè tantomeno alla laurea.
Mia mamma diceva sempre che erano ricchi, che se fossi cresciuta in quella famiglia avrei avuto infinite possibilità visto che noi, invece, eravamo poveri.
Io ero scettica, avevo cinque anni ma conoscevo bene ciò che era davvero importante nella vita, ovviamente senza saperlo, ma lo sentivo bene in fondo al cuore.
I bambini sanno già tutto, poi crescendo imparano a combattere con i dubbi.
La professoressa che noi chiamavamo la signora Laura (nome di fantasia) era la nostra vicina, la sua casa era disposta su due livelli, ed era piena di mobili e oggetti di pregio.
Anche la nostra casa, di fronte alla sua, era disposta su due livelli, ma era molto più piccola e senza riscaldamento, ci scaldavamo con il braciere, ma avevamo anche il caminetto che mio padre accendeva nelle sere d'inverno e quella fiamma era bellissima e scaldava corpo e cuore.
Invece la casa della signora Laura aveva i termosifoni in ogni camera, un lusso riservato a pochi a quei tempi.
Ma quello che più di tutto decretava la loro ricchezza era la televisione, loro possedevano la televisione! Era l'unica famiglia ad averla in tutta la strada o forse in tutto il quartiere, qualcosa di assolutamente strabiliante.
La sera la signora spalancava la porta del piano terra che dava sul suo salotto e chiamava tutti i bambini della strada invitandoli a sedere sulla soglia per vedere la TV, questo credo avvenisse in estate, insomma ricordo che il tempo era bello e per noi era una vera meraviglia poter vedere le immagini proiettate da quella scatola magica, chissà se c'era già carosello, non ricordo.
La signora Laura non aveva figli e per questo era molto infelice. E poi aveva una vera passione per me, mi chiamava Giulietta, mi riempiva di baci e mi dava sempre qualche dolcetto (biscotti al cioccolato o golose caramelle), nelle case dei comuni mortali più poveri quei dolcetti non c'erano, ricordo che mia nonna preparava una merenda con il pane cosparso di olio e zucchero, non fate quella faccia, era buonissimo.
Ma i biscotti al cioccolato erano un'altra cosa, era qualcosa di molto speciale.
La signora Laura era sempre elegante, profumata e truccata, ogni volta che mia madre si fermava da lei per chiacchierare lei non era mai in disordine.
Un giorno la signora Laura confidò a mia madre che avrebbe tanto voluto dei bambini ma non erano arrivati ed era un dolore che proprio non riusciva a sopportare.
"Ma perché non avete adottato un bambino, voi siete benestanti" chiese mia madre.
"Lo so Maria, ci abbiamo provato, ma non è affatto facile" rispose.
E poi raccontò una storia, la storia di Michelino che dormiva nel cassetto del comò e voleva stare senza scarpe.
Avevano fatto un tentativo di adozione, ma siccome avevano già una certa età, non potevano adottare un neonato oppure un bimbo molto piccolo, così fu loro affidato un bambino più grande di circa sette-otto anni, si chiamava Michelino, proveniva da una famiglia numerosa e poverissima napoletana ed era stato messo in orfanotrofio perchè i genitori non riuscivano a mantenerlo.
Ma Michelino non era facile da plasmare a loro immagine e somiglianza, non così su due piedi e, a proposito di piedi, lui non voleva portare le scarpe, diceva che stringevano e lo soffocavano, del resto era abituato a correre scalzo per i vicoli stretti del centro di Napoli.
E poi non voleva andare a scuola perché diceva che la scuola non serviva, visto che lui voleva fare il muratore come suo padre.
Infine c'era un brutto vizio che Michelino non riusciva proprio a togliersi, non voleva dormire nel letto, la notte si alzava, apriva il cassetto del comò e dormiva rannicchiato lì, la sera la signora lo metteva a dormire nel letto e la mattina dopo lo trovava addormentato nel cassetto del comò.
Lui non capiva perché non andasse bene, era un comò enorme, pieno di asciugamani e lenzuola profumate di lavanda, nella sua vecchia casa dormiva in cassetti più piccoli e scomodi con i suoi fratelli, perché non c'erano i letti per tutti.
Io immaginavo la casa a piano terra di Michelino, stretta e angusta, piena di bambini scalzi e pensavo che la mia casa con il caminetto con ben tre camere, anche se piccole e senza termosifoni, era una reggia al confronto, anche se non era grande ed elegante come la casa della signora Laura.
Michelino fu rispedito a casa sua, credo ci fosse un periodo di prova per la conferma dell'adozione o qualcosa del genere, perchè non potevano accettare che il figlio di un preside e di una professoressa facesse il muratore e camminasse scalzo, né tantomeno dormisse nel comò.
Dopo non fecero altri tentativi di adozione e si rassegnarono a una vita senza figli.
Mia madre mostrò comprensione e disse che capiva.
Quella che non capiva ero io, pensai - nella mia mente di bambina - che avrebbero dovuto avere più pazienza con Michelino perché non puoi cambiare abitudini da un giorno all'altro e, anche se quella cosa del comò mi sembrava molto strana (come puoi voler dormire in un comò, quando hai a disposizione un bel letto!) in fondo non era così grave, prima o poi Michelino avrebbe imparato a dormire nel letto.
Rimasi in silenzio fingendo di giocare tutto il tempo con la mia bambola con i capelli di plastica (non avevo una bambola con i capelli pettinabili, era sempre un lusso).
State attenti quando parlate perché i bambini ascoltano tutto, anche quando sembrano intenti a giocare.
Pensai che la signora Laura si meritasse la sua infelicità perché mandare via Michelino era stato un atto di grande viltà (non so se lo pensai proprio in questo modo a cinque anni, ma il senso era quello).
Tornati a casa chiesi a mia madre che fine avesse fatto Michelino e lei mi disse che era tornato a casa sua o forse era stato adottato da un'altra famiglia. Mi disse di non preoccuparmi per lui perché, sicuramente, stava bene.
Ma io per molti giorni pensai a Michelino con una fitta al cuore, a me quel bambino che voleva dormire nel comò era piaciuto subito, mi aveva ispirato una istintiva simpatia, anche se non lo avevo conosciuto.
Da quel giorno i biscotti della signora Laura mi sono sembrati meno buoni, in fondo era ottimo anche il pane con olio e zucchero di mia nonna, c'era dentro un ingrediente insostituibile che si chiamava amore, anche se non lo sapevo.
Un anno dopo comprammo anche noi la televisione e, dopo un altro anno, traslocammo andando a vivere in un appartamento nuovo in un condominio grande, uno dei primi costruiti in paese.
Mio padre aveva venduto la casa troppo piccola del centro, con il ricavato e un mutuo comprammo la casa nuova: con i pavimenti in marmo, le camere ampie, i termosifoni e un grande balcone.
Era in periferia, pensate che oggi quella zona è considerata semicentrale, ma allora nella strada successiva al nostro condominio c'era la campagna che si estendeva ampia verso l'orizzonte, che a me sembrava infinito e dove andavo a giocare con gli altri bambini fingendo di correre nella giungla misteriosa.
È strano ma, ogni tanto, quando vado in Puglia e passo da quella via laterale del centro, mentre osservo la pavimentazione di pietre lisce e l'aspetto quasi immutato, vengo assalita dalla nostalgia, guardo la casa della mia infanzia con il piccolo balcone pieno di gerani, di fronte la casa della signora Laura che ora non c'è più e non posso fare a meno di chiedermi dove sia finito Michelino.
E anche se questa è una domanda che non avrà risposta, resta la consapevolezza che molte storie e molte vite si comprendono meglio a distanza di anni.
La patina del tempo ha uno strano potere: rende tutto più chiaro.
Siete d'accordo?
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