Parliamo degli anni novanta fino ai primi anni duemila, non ricordo bene, diciamo prima della globalizzazione spinta al massimo, i negozi la domenica erano chiusi e, quando approssimandosi il Natale, c'erano le aperture domenicali dei negozi, girare per fare shopping era una festa (tranne per i commessi immagino).
Con i negozi chiusi nei festivi c'erano tante belle cose da fare: una gita all'aria aperta, se c'era il sole, andare al cinema o a teatro, oppure c'erano i ritrovi a casa di amici in qualche particolare occasione.
Quando faceva molto freddo, per esempio, ci si ritrovava a casa di qualcuno del nostro gruppo di amici a giocare a Trivial, Taboo, Risiko (quest'ultimo non mi piaceva granché ma era il gioco preferito dei maschietti e ogni tanto bisognava accontentarli), poi si finiva per fare le caldarroste, si beveva del vino novello e per, finire la serata, si ordinava una pizza oppure si andava direttamente in pizzeria.
La domenica tutto sommato non c'erano grandi alternative, soprattutto se faceva freddo (i bei tempi in cui esistevano ancora le stagioni e quindi anche l'inverno).
Ogni tanto andavamo a Ferrara (una città anticipatrice in cui alcuni negozi erano già aperti la domenica) oppure in centri commerciali fuori città (i primi outlet).
Poi sono arrivati i negozi aperti tutte le domeniche, sempre e dappertutto.
E la domenica ha perso significato, non c'era più nessuna novità: non hai fatto in tempo a fare la spesa in settimana? Nessun problema puoi farlo di domenica (secondo me non c'è niente di più deprimente che fare la spesa di domenica anche se confesso che mi è capitato); devi comprare un vestito nuovo? Puoi farlo di domenica! Tanto è sempre tutto aperto.
(Ovviamente non in questo periodo, vista l'emergenza sanitaria, ma questa mia riflessione nasce un po' anche da questa situazione).
Tornando ai negozi, credo che il declino sia cominciato da lì, in nome del consumismo tutto era sempre aperto, tutto a disposizione per poter comprare:
"Ah, ma così avremo più posti di lavoro, gira di più l'economia, finalmente come gli americani aperti giorno e notte".
Queste le argomentazioni a supporto. È stato così? Non mi pare, invece che avere più posti di lavoro abbiamo avuto lavoratori massacrati da turni domenicali e festivi, persone che non potevano restare con la propria famiglia. E poi io detesto la mania di voler copiare gli americani o fare quello che si fa all'estero, ma siamo sicuri che sia meglio?
Ma davvero abbiamo bisogno di fare la spesa di notte o nei week end?
E poi, credo che con i negozi aperti anche nei festivi si sia legittimato sempre più il lavoro a oltranza senza interruzione, io ho notato questo nel mio luogo di lavoro, ma l'ho verificato anche in altri contesti.
Non esistevano più orari, ho cominciato a vedere fissate delle riunioni in orari sempre più assurdi, all'ora di pranzo o di venerdì tardo pomeriggio. In qualche occasione particolare poteva anche accadere, ma quando è diventata la regola ho capito che eravamo sull'orlo del baratro.
Era l'effetto della globalizzazione, tutto legittimanto in nome del profitto.
Qualcuno ha chiamato tutto questo "progresso", invece sappiamo che non è proprio così tra inquinamento, delirio consumistico e delocalizzazione di aziende all'estero a scopo di lucro.
Insomma i negozi aperti di dimentica erano belli sotto Natale quando l'apertura starordinaria costituiva una novità, dopo sono diventati un'abitudine anche un po' fastidiosa.
Una volta ero attratta dallo shopping poi ho cominciato ad annoiarmi profondamente, ho cominciato a sentirmi oppressa da questa frenesia dell'acquisto ossessivo.
Ho cominciato ad avere sempre più l'impressione che il tempo dello shopping sia tempo rubato alla mia vita perchè ogni volta che giriamo per megastore e centri commerciali togliamo tempo a noi stessi e a ciò che fa bene al nostro spirito.
Negli ultimi anni, è stato un cambiamento quasi inconsapevole, ho imparato a fare a meno sempre più di determinati acquisti e ho cominciato a sentirmi meglio, compro ancora certo, ma solo quello che davvero desidero e a cui do valore, anche l'inutile se mi fa star bene, purchè ci sia un senso per me stessa.
E in questo momento terribile in cui siamo costretti a chiudere tutto qualche domanda sorge spontanea, forse abbiamo investito troppo sul consumo, sulle cose da avere invece che su ciò che volevamo essere.
Vi lascio con una considerazione di Tiziano Terzani che mi sembra in linea con il mio pensiero.
"Da qualche parte c'è qualcuno, per il quale nessuno ha votato, che spinge perchè il mondo giri sempre più alla svelta, perchè gli uomini diventino sempre più uguali in nome di una roba chiamata 'globalizzazione' di cui pochi conoscono il significato e ancor meno hanno detto di volere"
Tiziano Terzani
Voi cosa ne pensate?
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17 commenti:
Ricordo quando qui a Savona aprirono il primo centro commerciale "Il gabbiano" della Coop. Fu un evento che portò alla chiusura della Coop di via Boselli (e fu una botta per tanti commercianti. Il flusso della gente a passeggio si spostò dalle vie del centro, al Gabbiano). Io ci andai a dare un'occhiata, ma non ci ho mai comprato molto. Adesso resta aperto perché contiene la Coop (che vende prodotti di prima necessità), e lo stesso vale per le edicole o gli altri negozi che vendono prodotti essenziali. Quindi la libreria dovrebbe essere aperta. :)
Stamattina ho fatto un giro in centro, sono andata anche in libreria, approfittando della giornata di sole. Poi sono andata a far la spesa al centro commerciale dove i negozi erano chiusi, mi ha fatto un po' tristezza. Ricordo che a Bologna aprirono un enorme centro commerciale nel quartiere di Borgo Panigale con la Coop, chiamato Centro Borgo, fu il primo, ma io preferivo andare al negozio alimentare sotto casa perché mi trovavo meglio, per me il Centro Borgo era troppo grande e mi perdevo. Dopo ne hanno aperti altri molto più grandi e i piccoli negozi sono spariti (compreso quello sotto casa mia).
Non penso che le aperture domenicali abbiano fatto perdere di significato la domenica, mi capita di andare a fare shopping ma solo se ho una reale necessità, oppure se pranzo fuori per te 1 dei nostri ristoranti preferiti si trova in una celebre via di negozi. Comunque sui centri commerciali ne avrei da dire visto che ne ho 1 sotto casa, però in definitiva ho sempre saputo scegliere la giusta dimensione per me senza eccessi consumistici.
Certo Sandra, chi non ci lavora può scegliere di non andare a fare acquisti di domenica e può fare altro (almeno così era prima della pandemia). Una mia amica però che lavora in un supermercato si lamenta del tempo che non può passare con i suoi figli perché spesso la domenica ha il turno. Magari ha un giorno libero durante la settimana ma non lo apprezza quanto una domenica libera che può passare con il marito e i figli. E comunque io apprezzavo molto il silenzio e il poco traffico della domenica mattina quando i negozi erano chiusi.
I miei genitori hanno lavorato una vita in un negozio e ricordo quanto fossero allo stremo verso la fine di dicembre, dopo trenta giorni in cui stavano aperti ogni singolo giorno (e posso garantire che i miei genitori sono degli stacanovisti, eppure ne risentivano persino loro).
In effetti ciò che non mi piace affatto della globalizzazione, come pure dell'Unione Europa, è la loro matrice iperliberista. Ce li hanno presentati con nomi più accattivanti, con immagini quasi pittoresche (ricordo che Alan Friedman definì la globalizzazione come un mondo in cui una ragazzo francese veste abiti italiani, mangia cibo cinese, ascolta musica messicana, ha una fidanzata senegalese... Se lo incontrassi mi verrebbe da dirgli "A te, a mammeta e a soreta!").
Insomma, hai detto bene ci hanno americanizzato. Stavolta nel peggior senso del termine, ci mancano solo l'abolizione della sanità pubblica e l'acquisto libero di armi da fuoco...
Sull'abolizione della sanità pubblica eravamo su quella strada, forse il covid ha invertito la tendenza, magari un domani dovremo ringraziare il virus chissà. Ho viaggiato un po' e mi sono resa conto che l'Italia è ancora un paese da preferire ad altri paesi, ma soprattutto all'America. Secondo me libertà non significa libertà di vendere, ma ha un significato molto più ampio da conciliare con la dignità della persona.
Oggi è abbastanza comune professarsi anti-globalizzazione, davanti agli effetti devastanti del suo processo, che sono sotto gli occhi di tutti e che purtroppo sono ancora lontani da finire di compiersi (salvo imprevisti). Io posso dire di essere antiglobalista da sempre e lo devo soprattutto a Pier Paolo Pasolini, che è stato uno dei miei maestri di pensiero. Lui gli effetti devastanti a lungo termine della globalizzazione li ha previsti e denunciati fin dagli anni '60.
Ciao Ivano, ben ritrovato nel blog. Tempo fa in una mostra sulle opere di Pasolini ho letto del suo pensiero in proposito, ricordo che rimasi piuttosto colpita.
Credo sia necessario rallentare e vivere più lentamente.
Certo la globalizzazione ha dei lati negativi, non saprei dire se superiori a quelli positivi, ma può ben essere che sia così. Quando lavoravo, da turnista sarei stata felice di poter fare la spesa a orari a me comodi, e mi piace anche ora; capisco però che questo peggiora la vita di molte persone. Bisognerebbe usare criteri diversi dal mero profitto; serve un cambiamento di mentalità alla base, che metta l'uomo al centro. Sono sempre più convinta che Oscar di Montigny, e tanti con lui, abbiano ragione in questo.
Confesso che anch'io ho usufruito della spesa qualche volta di domenica, però spesso preferivo farlo verso sera, visto che i supermercati dei centri commerciali sono aperti fino alle nove di sera, lasciandomi liberi il sabato e la domenica.
Credo anch'io che bisogna cambiare il punto di vista, mettere al centro l'uomo con più attenzione allo spirito e a quello che fa bene non solo in senso prettamente materiale.
Gli effetti collaterali della globalizzazione! Come non riuscire a trovare più frutta nostrana nei supermercati ed essere costretti (io no, piuttosto non ne mangio) a fare spremute con arance del Sudafrica. Ma certo, questo è ancora un altro discorso.
Io ancora non riesco a capire cosa si tenga a fare un supermercato aperto anche la notte: cos’è un rimedio contro l’insonnia? Purtroppo agli acquisti domenicali mi sono piegata, perché sabato e domenica sono gli unici giorni in cui posso uscire con mio marito, altrimenti impegnato con il lavoro fino alle otto di sera.
Si guarda alla globalizzazione come al responsabile di tutti i mali, dimenticandosi che la globalizzazione non è arrivata da sola, ma con un altri infidi problemi: la perdita dei diritti del lavoratore e la perdita di potere d'acquisto (l'Euro?!). Nella generazione di mia madre erano poche le donne che lavoravano a tempo pieno (mia madre solo le mattine), di conseguenza aveva tutti i pomeriggi per andare a fare le spese. Allora anche i supermercati chiudevano alle 12.30 e riaprivano alle 15.30, me lo ricordo bene. Poi le buste paga si sono assottigliate, i lavoratori erano chiamati a lavorare di più allo stesso compenso, perché se te ne vai, un altro lo trovano di sicuro. Peggio ancora: delocalizziamo tutto in Oriente, dove la manodopera non vale nemmeno la vita. E invece di fare fronte comune, i lavoratori hanno ceduto ai ricatti (l'ultimo è quello di togliere più di 200 ore di permessi nei primi 4 anni dei nuovi contratti di assunzione, uno scempio passato sotto silenzio). In famiglia, uno stipendio non bastava più e, cosa giusta ma gestita malissimo dallo Stato, anche le donne hanno diritto ad una carriera lavorativa soddisfacente. Il risultato è che dei supermercati aperti dalle 8.30 alle 19.30 dal lunedì al venerdì non sappiamo cosa farcene. Chi lavora fuori casa tutto il giorno e ha pure il traffico di mezzo non ha possibilità di farci la spesa. Ci si ritrova, gioco forza, negli ipermercati aperti fino alle 21 oppure nel weekend, domeniche comprese, perché magari il capo ti chiede pure di lavorare tutto il sabato (e io sono una di quelle che ha sempre avuto il coraggio di dire no) oppure l'ipermercato di sabato è talmente affollato che aspetti la domenica subito dopo pranzo per riuscire a parcheggiare. Personalmente sarei per la chiusura dei negozi alla domenica, pur lasciando un supermercato aperto in turno, come per le farmacie.
Adesso che sono in smart working causa pandemia ricevo la spesa a casa, 3,90 euro di consegna se lasci la zona oraria aperta dalle 8 alle 22, e ci guadagno un'ora e mezza di vita ogni settimana. Quando tornerò in ufficio, mi toccherà tornare a fare la spesa di domenica.
Mi piacerebbe pensare che l'uomo è stato obbligato al consumismo dalla globalizzazione, ma quando ho visto persone andare fuori di matto per le domeniche costretti in casa, non sapendo come intrattenere i figli o come passare il loro tempo libero guadagnato... no, credo che l'uomo stesso sia causa del suo male.
Infatti trovare frutta e verdura che viene dall'altra parte del globo è assurdo, quando faccio la spesa e verifico la provenienza resto sconvolta, ma quanto inquina questo viaggio? Cerco di comprare ciò che viene dall'Italia, almeno ci provo. Per la spesa il sabato c'è sempre stato, ma capisco anche chi finisce per fare la spesa la domenica, se durante la settimana si finisce per lavorare fino a tardi...è il trend del lavoro
Si è verificata una deriva generalizzata nel mondo del lavoro, nel modo di vedere le cose, sempre la prospettiva del profitto e della legge di mercato. Una mentalità malata che si è sempre più infiltrata nel tessuto della società. Tutto questo ha portato a erodere il tempo, unico bene dal valore inestimabile, perché il tempo che perdi non lo avrai mai più indietro, sarà perduto per sempre. Il tempo rubato alla famiglia e alla propria vita. Con la legge del mercato i contratti di lavoro hanno eroso sempre più alcuni diritti che sembravano acquisiti e sempre sulla pelle dei lavoratori (200 ore di permessi persi nei primi 4 anni di assunzione, un furto tremendo, è tempo rubato alla vita. E i 10 minuti in meno di pausa imposti dalla Fiat, un accordo di alcuni anni fa quando ancora la Fiat era in Italia e prendeva gli incentivi dello stato. E l'abolizione dell'articolo 18?)
Forse però con lo smart working non si tornerà indietro anche perché conviene anche alle aziende.
Sono completamente d'accordo. È strano come i ricordi che descrivi, e che condivido, siano nitidi anche in me se guardo indietro. In particolare ricordo i primi anni Novanta. Sono ricordi cari perché con la famiglia ci trasferimmo nella casa in collina che mio padre aveva fatto costruire, la condividevamo con parenti prossimi, quindi eravamo una nidiata di cugini che hanno riempito di ricordi quel luogo. E il Natale era una delle cose più belle, oltre alle domeniche che trascorrevamo insieme (i cugini abitavano a una quarantina di km e venivano nelle festività nelle loro case), magari sul lungomare, a giocare dopo i pranzi lunghissimi, al cinema, a fare passeggiate serali. Era tutto così semplice, speciale. Teneri ricordi spazzati via non solo dai percorsi differenti delle vite, ma da questo mondo che descrivi. Una società orientata totalmente sul consumo, che ha prodotto un falso benessere, e ci ha reso perennemente famelici, mai soddisfatti. E allora lottiamo. Io dal mio piccolo tengo vivo anche il teatro come strumento di educazione dei ragazzi. Ma poi a scuola, immergendoci nella natura quando possiamo. Cercando quelle forme di vivere che non possiamo permetterci di dimenticare del tutto.
Sì nei ricordi tutto sembrava più semplice in quel mondo, forse perché non riuscivamo neanche a immaginare come il mondo poi sarebbe cambiato, ricordo che nel 1997 feci un viaggio a New York e visitai le torri gemelle, mai avrei immaginato che 4 anni dopo quelle torri immense che occupavamo quattro strade sarebbero crollate. Dopo il 2000 ci sono state molte rivoluzioni, da quella tecnologica, che per certi versi può essere considereta anche positiva, a quella del mercato sempre più globalizzato. Forse non tutto va visto in modo negativo, ma è certo che bisogna cambiare il passo. Belli i tuoi ricordi della casa in collina e del Natale.
Anch'io visitai le Torri Gemelle proprio nel '97. New York per me era una Eldorado. Quando accadde lo scempio anni dopo stetti malissimo. Ricordo che non mangiai per tutto quel giorno e il giorno dopo. Fu un forte shock.
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