domenica 22 novembre 2020

Michelino nel comò

 


Lei era una professoressa di italiano, lui il preside di una scuola media, due persone istruite, nel 1969 voleva dire appartenere a un certo ceto sociale perché la maggior parte della gente non arrivava al diploma nè tantomeno alla laurea.
Mia mamma diceva sempre che erano ricchi, che se fossi cresciuta in quella famiglia avrei avuto infinite possibilità visto che noi, invece, eravamo poveri.
Io ero scettica, avevo cinque anni ma conoscevo bene ciò che era davvero importante nella vita, ovviamente senza saperlo, ma lo sentivo bene in fondo al cuore.
 
I bambini sanno già tutto, poi crescendo imparano a combattere con i dubbi
 
La professoressa che noi chiamavamo la signora Laura (nome di fantasia) era la nostra vicina, la sua casa era disposta su due livelli, ed era piena di mobili e oggetti di pregio.
Anche la nostra casa, di fronte alla sua, era disposta su due livelli, ma era molto più piccola e senza riscaldamento, ci scaldavamo con il braciere, ma avevamo anche il caminetto che mio padre accendeva nelle sere d'inverno e quella fiamma era bellissima e scaldava corpo e cuore.
Invece la casa della signora Laura aveva i termosifoni in ogni camera, un lusso riservato a pochi a quei tempi. 
Ma quello che più di tutto decretava la loro ricchezza era la televisione, loro possedevano la televisione! Era l'unica famiglia ad averla in tutta la strada o forse in tutto il quartiere, qualcosa di assolutamente strabiliante.

 
La sera la signora spalancava la porta del piano terra che dava sul suo salotto e chiamava tutti i bambini della strada invitandoli a sedere sulla soglia per vedere la TV, questo credo avvenisse in estate, insomma ricordo che il tempo era bello e per noi era una vera meraviglia poter vedere le immagini proiettate da quella scatola magica, chissà se c'era già carosello, non ricordo. 
La signora Laura non aveva figli e per questo era molto infelice. E poi aveva una vera passione per me, mi chiamava Giulietta, mi riempiva di baci e mi dava sempre qualche dolcetto (biscotti al cioccolato o golose caramelle), nelle case dei comuni mortali più poveri quei dolcetti non c'erano, ricordo che mia nonna preparava una merenda con il pane cosparso di olio e zucchero, non fate quella faccia, era buonissimo.
Ma i biscotti al cioccolato erano un'altra cosa, era qualcosa di molto speciale.
La signora Laura era sempre elegante, profumata e truccata, ogni volta che mia madre si fermava da lei per chiacchierare lei non era mai in disordine. 
Un giorno la signora Laura confidò a mia madre che avrebbe tanto voluto dei bambini ma non erano arrivati ed era un dolore che proprio non riusciva a sopportare.
"Ma perché non avete adottato un bambino, voi siete benestanti" chiese mia madre.
"Lo so Maria, ci abbiamo provato, ma non è affatto facile" rispose.
 
E poi raccontò una storia, la storia di Michelino che dormiva nel cassetto del comò e voleva stare senza scarpe.
Avevano fatto un tentativo di adozione, ma siccome avevano già una certa età, non potevano adottare un neonato oppure un bimbo molto piccolo, così fu loro affidato un bambino più grande di circa  sette-otto anni, si chiamava Michelino, proveniva da una famiglia numerosa e poverissima napoletana ed era stato messo in orfanotrofio perchè i genitori non riuscivano a mantenerlo. 

Ma Michelino non era facile da plasmare a loro immagine e somiglianza, non così su due piedi e, a proposito di piedi, lui non voleva portare le scarpe, diceva che stringevano e lo soffocavano,  del resto era abituato a correre scalzo per i vicoli stretti del centro di Napoli.
E poi non voleva andare a scuola perché diceva che la scuola non serviva, visto che lui voleva fare il muratore come suo padre.
Infine c'era un brutto vizio che Michelino non riusciva proprio a togliersi, non voleva dormire nel letto, la notte si alzava, apriva il cassetto del comò e dormiva rannicchiato lì, la sera la signora lo metteva a dormire nel letto e  la mattina dopo lo trovava addormentato nel cassetto del comò.
Lui non capiva perché non andasse bene, era un comò enorme, pieno di asciugamani e lenzuola profumate di lavanda, nella sua vecchia casa dormiva in cassetti più piccoli e scomodi con i suoi fratelli, perché non c'erano i letti per tutti.
Io immaginavo la casa a piano terra di Michelino, stretta e angusta, piena di bambini scalzi e pensavo che la mia casa con il caminetto con ben tre camere, anche se piccole e senza termosifoni, era una reggia al confronto, anche se non era grande ed elegante come la casa della signora Laura.
Michelino fu rispedito a casa sua, credo ci fosse un periodo di prova per la conferma dell'adozione o qualcosa del genere, perchè non potevano accettare che il figlio di un preside e di una professoressa facesse il muratore e camminasse scalzo, né tantomeno dormisse nel comò.
Dopo non fecero altri tentativi di adozione e si rassegnarono a una vita senza figli. 
Mia madre mostrò comprensione e disse che capiva. 
Quella che non capiva ero io, pensai - nella mia mente di bambina - che avrebbero dovuto avere più pazienza con Michelino perché non puoi cambiare abitudini da un giorno all'altro e, anche se quella cosa del comò mi sembrava molto strana (come puoi voler dormire in un comò, quando hai a disposizione un bel letto!) in fondo non era così grave, prima o poi Michelino avrebbe imparato a dormire nel letto.
Rimasi in silenzio fingendo di giocare tutto il tempo con la mia bambola con i capelli di plastica (non avevo una bambola con i capelli pettinabili, era sempre un lusso).
 
State attenti quando parlate perché i bambini ascoltano tutto, anche quando sembrano intenti a giocare.
 
Pensai che la signora Laura si meritasse la sua infelicità perché mandare via Michelino era stato un atto di grande viltà (non so se lo pensai proprio in questo modo a cinque anni, ma il senso era quello).
 
Tornati a casa chiesi a mia madre che fine avesse fatto Michelino e lei mi disse che era tornato a casa sua o forse era stato adottato da un'altra famiglia. Mi disse di non preoccuparmi per lui perché,  sicuramente, stava bene.
Ma io per molti giorni pensai a Michelino con una fitta al cuore, a me quel bambino che voleva dormire nel comò era piaciuto subito, mi aveva ispirato una istintiva simpatia, anche se non lo avevo conosciuto.
Da quel giorno i biscotti della signora Laura mi sono sembrati meno buoni, in fondo era ottimo anche il pane con olio e zucchero di mia nonna, c'era dentro un ingrediente insostituibile che si chiamava amore, anche se non lo sapevo.
Un anno dopo comprammo anche noi la televisione e, dopo un altro anno, traslocammo andando a vivere in un appartamento nuovo in un condominio grande, uno dei primi costruiti in paese.
Mio padre aveva venduto la casa troppo piccola del centro, con il ricavato e un mutuo comprammo la casa nuova: con i pavimenti in marmo, le camere ampie, i termosifoni e un grande balcone. 
Era in periferia, pensate che oggi quella zona è considerata semicentrale, ma allora nella strada successiva al nostro condominio c'era la campagna che si estendeva ampia verso l'orizzonte, che a me sembrava infinito e dove andavo a giocare con gli altri bambini fingendo di correre nella giungla misteriosa. 
È strano ma, ogni tanto, quando vado in Puglia e passo da quella via laterale del centro, mentre osservo la pavimentazione di pietre lisce e l'aspetto quasi immutato, vengo assalita dalla nostalgia, guardo la casa della mia infanzia con il piccolo balcone pieno di gerani, di fronte la casa della signora Laura che ora non c'è più e non posso fare a meno di chiedermi dove sia finito Michelino.
E anche se questa è una domanda che non avrà risposta, resta la consapevolezza che molte storie e molte vite si comprendono meglio a distanza di anni. 
La patina del tempo ha uno strano potere: rende tutto più chiaro.

Siete d'accordo? 

Fonti immagini 
Pexel e Pixabay


18 commenti:

Elena ha detto...

Giulia è una storia bellissima, mi ha commosso. La patina del tempo a volte offusca i ricordi ma i cuori dei bambini non mentono mai. A volte li amplifica, aggiungendo significati che magari non c'erano. Penso alla mia infanzia e alle cose tristi che ho conservato nel cuore troppo a lungo, ingigantendole. Sono cresciuta a pane burro e zucchero e anche io avevo le mie amichette con le merendine. Forse non dormivo nei comò ma avevo altre abitudini, come quella di giocare intere giornate sotto il tavolo persino la sera e a volte durante i pasti. Ognuno di noi ha il suo cassetto in cui si sente al sicuro. Michelino mi fa tanta tenerezza ma spero davvero abbia trovato un posto dove si può camminare a piedi nudi ed essere felici

Giulia Lu Mancini ha detto...

Anche a me piaceva giocare sotto il tavolo, facevo finta di essere in una capanna. Tutto sommato ho avuto un'infanzia felice perché la mia famiglia era unita, anche se non priva di problemi, come tutti. Nella mia vecchia casa dormivo in una stanza piccola con le mie sorelle e stavamo stretti, ma io mi sentivo tranquilla a dormire con loro. I bambini della mia generazione non avevano grandi giocattoli, ma forse quei pochi che avevamo li apprezzavamo di più. Anch'io spero che Michelino abbia trovato un'altra famiglia, magari una famiglia più povera di soldi ma più ricca di amore.

Tenar ha detto...

Da mamma adottiva questa storia è terribile. Terribile l'idea che un figlio debba essere plasmato a propria immagine e somiglianza. Terribile che non si ascolti il suo vissuto e la sua personalità. Vorrei credere che oggi, con il tanto criticato iter valutativo questo non accada più, ma non ne sono così convinta e ciò mi mette addosso una tristezza infinita.
PS: tu questa storia terribile l'hai raccontata benissimo

Lisa Agosti ha detto...

Che bella storia Giulia, un ricordo dolce amaro.
Come si fa a scegliere tra i propri figli quello da mandare all'orfanotrofio?
Dev'essere stato doloroso per la sua mamma e papà, e anche per la signora Laura e suo marito. Anch'io spero tanto che Michelino abbia trovato una famiglia amorevole.
Non mi sento di giudicare la signora Laura, capisco il tuo punto di vista di bambina ma ora che sei adulta prova a pensare che questa signora era costretta a vedere tutte le altre signore con i loro bambini meravigliosi, ne avrebbe tanto voluto uno, infatti ti abbracciava, ti faceva i biscotti e apriva la porta perché voi tutti poteste andare a vedere la tv. Poi tornavate a casa e lei non aveva nessuno a cui rimboccare le coperte.
Ha incontrato una vicina di casa che le ha chiesto perché non hai adottato? Domanda di per sé dolorosa. C'era anche una bambina a portata d'orecchi (tu) e si sa che gli adulti filtrano le loro conversazioni in presenza dei piccoli. Può darsi che ci sia molto di più di quello che la signora Laura ha risposto a tua madre. Da quel che racconti io vedo una persona capace di amare, poi ognuno ha i suoi limiti e le sue ignoranze.

Io ho avuto la possibilità di leggere le cartelline di venticinque anni di adozioni nel comune di Carpi (per la mia laurea in Psicologia) e non ti dico che storie da accapponare la pelle!
Da quelli che volevano solo un neonato maschio, biondo, con gli occhi azzurri a quelli che dopo aver adottato una bimba bielorussa sono andati là a trovare la madre naturale e l'hanno pagata per fare un altro bambino che poi hanno portato in Italia di nascosto! (Tra l'altro alla fine gliel'han lasciato tenere perché cosa vuoi che facciano? Non possono rimandarlo indietro!)

Ti abbraccio e ti auguro buona domenica!

Giulia Lu Mancini ha detto...

Grazie Antonella, l'ho raccontata quasi di getto, così come la ricordavo.
La storia di Michelino è molto triste, spero anch'io che oggi le cose vadano meglio per le adozioni, ma credo che per i bambini più cresciuti sia sempre molto difficile.

Giulia Lu Mancini ha detto...

A distanza di anni non giudico neanche io la signora Laura, credo che certe storie siano sempre molto difficili da affrontare. Se penso ai genitori di Michelino, immagino che l'abbiano lasciato in orfanotrofio per disperazione, forse erano troppo poveri anche per dargli da mangiare tutti i giorni.
Deve essere stato devastante leggere quelle storie di adozioni, sempre più mi rendo conto di quanto i bambini vadano protetti nel loro percorso di crescita, è in quella fase che si forma la loro personalità e se non trovano l'amore non saranno mai degli adulti risolti.
Un grande abbraccio anche da parte mia cara Lisa!

Grazia Gironella ha detto...

Che bella storia vera, Giulia! Situazioni come quella che racconti sono dolorose per tutte le persone coinvolte. Quanto al tempo, credo che possa chiarire le idee ma anche no. Anche i vini a volte invecchiando diventano speciali, altre volte si rovinano.

Ariano Geta ha detto...

Certamente da bambini ci sono cose che viviamo e ricordiamo bene da grandi proprio perché bambini (a quell'età la memoria è ancora un bicchiere vuoto ed è pronto a riempirsi di ogni minimo evento che, restando sul fondo, non si cancellerà neppure quando decenni dopo il bicchiere sarà pieno). Averle vissute però non vuol dire averle "capite" sino in fondo.
Io rimasi turbato quando sentii un'amica di mia zia, rimasta da poco vedova, dire che non le importava se la gente faceva chiacchiere su di lei perché continuava ad andare tutti i giorni a giocare a carte con le sue amiche mostrano poco rispetto per il marito morto, perché se lei fosse rimasta chiusa in casa sua, da sola, si sarebbe ammazzata buttandosi dalla finestra...
Trent'anni dopo ho capito cosa intendeva davvero dire quella signora, l'esperienza mi ha spiegato ciò che la semplicità infantile non poteva.
Il tuo ricordo è molto significativo, raccontato peraltro coi tempi giusti e le parole adatte. Certamente meglio essere cresciuta in una casa povera ma piena di affetto per apprezzare poi meglio il benessere quando vi è arrivato, che aver vissuto in una casa elegante ma vuota e fredda.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Eh già Grazia, dipende dal vino. Ogni tanto mi capita di ripensare ad alcune storie, non so perché mi tornino in mente, il meccanismo dei ricordi è molto strano, ma ripercorrerle a distanza di tempo mi fa capire molte cose e, forse per le esperienze vissute o la saggezza acquisita con il passare degli anni, mi sembra tutto più chiaro.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Capisco bene l'amica di tua zia, ognuno reagisce come può al dolore di una perdita, pensa che quando ero ragazza in paese le vedove "dovevano" vestire di nero per almeno un anno (ma era meglio due) altrimenti non soffrivano. Credo che il dolore non possa essere misurato da un vestito nero o dal fatto di restare chiusi in casa. Comunque tornando ai ricordi dell'infanzia è vero che i bambini assorbono come spugne e certi ricordi rimangono impressi più di altri, ma certe storie si capiscono meglio osservandole con la comprensione di un adulto.

Ivano Landi ha detto...

Sono d'accordo e questa è davvero una bella storia, sembra quasi una fiaba.
In casa mia la televisione è entrata nel 1967, quando avevo sei anni, e prima di allora i miei famigliari andavano a vederla nei circoli ricreativi. Ricordo di non averla vissuta come una grande novità, credo perché ero già abituato ad andare al cinema.

Barbara Businaro ha detto...

Questa è una storia bellissima, e tristissima. Non sono certa che la signora Laura abbia però raccontato tutto, mi resta la sensazione che magari non erano solo i piedi scalzi e il comò, che la situazione fosse ben più difficile e dolorosa. Magari proprio per lo stesso Michelino.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Che bello, andavi già al cinema, allora la TV doveva impressionarti di meno. Io sono andata al cinema la prima volta quando ero già più grande, con la classe credo in quinta elementare a vedere una fiaba di Disney. In questo periodo mi tornano in mente dei ricordi lontani e mi è venuta voglia di raccontarli proprio perché contengono delle piccole storie importanti.

Giulia Lu Mancini ha detto...

È possibile, ma non lo sapremo mai. Credo sia molto difficile adottare dei bambini già grandi, una mia amica ha adottato due fratellini brasiliani, ha passato un periodo difficilissimo, erano dei bambini con un passato difficile, iperattivi e faticosi da gestire. Il primo anno gli hanno distrutto molti mobili della casa. Lei ha lasciato il lavoro per due anni. Dopo la situazione si è normalizzata, ora sono dei ragazzi felici, grazie alla determinazione, all'amore e alla forza dei genitori adottivi. Insomma serve davvero un grande impegno per non arrendersi.

Marina ha detto...

Anch’io capanna sotto il tavolo oppure sotto le sedie disposte a fila e coperte da un plaid... che ricordi!

Giulia Lu Mancini ha detto...

I bambini di una volta, pochi giocattoli ma tanta fantasia!

Marina ha detto...

Bellissima la tua storia, Giulia, l’ho letta con molto interesse e poi sei stata brava a narrarla in questo modo: mettile un titolo e puoi farla diventare un vero racconto.
Nel merito, la figura di Michelino è già un bel soggetto: un bambino che va a dormire dentro il cassetto di un comò meriterebbe uno spazio tutto suo.
Sai perché storie come queste sono belle? Perché conquistano con la loro autenticità.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Grazie Marina, questa è una di quelle storie che dovevo raccontare perchè era un ricordo che ritornava spesso nella mia mente, nonostante gli anni passati. In questo periodo strano molti ricordi sepolti ritornano a galla, forse perché più passa il tempo più si ripensa al passato. Michelino può essere davvero un bel personaggio.