giovedì 30 dicembre 2021

Le mie letture 2021

“Un libro dev’essere un’ascia per rompere il mare ghiacciato che è dentro di noi”, Franz Kafka

Un altro anno è passato ed è stato un anno con molte più letture del solito, non so bene perché ma il numero dei libri letti è stato maggiore rispetto agli anni passati, ben 47 libri, alcuni anche piuttosto lunghi, forse ho letto di più perché sono state maggiori le notti insonni, o forse perché ho fatto qualche viaggio in treno, o forse perché con il Covid ho fatto meno vacanze e ho dedicato il mio tempo libero alle letture...Beh, non è poi così importante, é così e basta. Quest’anno ho introdotto una novità nella lista delle mie letture (nel post che aggiorno man mano che procedo con le letture) inserendo la suddivisione per mesi, così potevo rendermi conto meglio del periodo in cui li leggevo.

I libri che ho amato di più sono L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafón e Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrin, pensate che ne ho tardato la lettura perché tutti ne parlavano e avevo il pregiudizio dei libri troppo osannati, ma sono davvero dei gran romanzi. Poi sul finire dell’anno un altro romanzo che mi ha folgorato è stato L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio, davvero una storia intensa e dolorosa. Inoltre ultimo libro finito prima di Natale un bellissimo romanzo consigliato da Luz del blog Io, la letteratura e Chaplin”, intitolato La variante di Lüneburg di Paolo Maurensig. Infine quest’anno ho colmato un pezzetto delle mie lacune leggendo anche due classici che mi mancavano (ma la lista è ancora molto lunga): 1984 di Orwell e Il buio oltre la siepe di Harper Lee, difficili ma belli. Ho scoperto i romanzi inquietanti e divertenti di Gianluca Morozzi e ho continuato a leggere Donato Carrisi che riesce sempre a catturarmi con le sue storie.


LETTURE 2021
Gennaio
1. La notte delle falene di Riccardo Bruni 
2. Una giornata storta di Eleonora Ippolito
3. Sei sospetti per un delitto di Raffaele Malavasi 
Febbraio
4. La disciplina di Penelope di Gianrico Carofiglio 
5.L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafón
Marzo
6. Ancora un giro di blues di Riccardo Bruni 
7. La principessa di ghiaccio di Camilla Läckberg
Aprile 
8. Passi di tango in riva al mare di Federico Maria Rivalta 
9. La centesima finestra di Morena Fanti
10. Perché non eravamo pronti di David Quammen 
11. Non fidarti della notte di Maria Teresa Steri 
Maggio
12. Il tribunale delle anime di Donato Carrisi 
13. 1984 di George Orwell
14. Non ho paura del buio di Robert Dugoni 
Giugno
15. Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrin
16. La vita che volevo di Lorenzo Licalzi 
Luglio 
17. Non temerò alcun male di L. K. Brass 
18. La fiamma e La Rosa di Cristina M. Cavaliere
19. Questa estate succede che di Giovanni Venturi
20. Càscara di Elena Ferro 
21. Eleanor Oliphant sta benissimo di Gail Honeyman 
Agosto
22. Alla scoperta dei segreti perduti di Bologna di Barbara Baraldi 
23. Blues per i nati senza un cuore di Ferdinando Salamino 
24. Il leone e La Rosa di Riccardo Bruni 
25. Stella nera: le luci dell’Occidente di Marco Freccero 
26. I segni sulla pelle di Stefano Tassinari 
27. Reo confesso di Valerio Varesi 
Settembre
28. Il kamikaze di Cellophane di Ferdinando Salamino
29. Com’è giusto che sia di Marina Di Guardo
30. Il margine della notte di Ferdinando Salamino 
31. Il buio dell’alba di Stefania Romito 
Ottobre
32. Il cacciatore del buio di Donato Carrisi
33. Aria ed altri coccodrilli di Silvia Pillin 
34. Yumi & Nana - Il primo lungometraggio di Inagheshi 
35. Il maestro delle ombre di Donato Carrisi
36. Gli annientatori di Gianluca Morozzi 
Novembre 
37. Acqua passata di Valeria Corciolani
38. Il buio oltre la siepe di Harper Lee
39. Come il mare in un bicchiere di Chiara Gamberale
40. Prisma di Gianluca Morozzi 
41. Luce della notte di Ilaria Tuti
42. Delyrio di Stefania Romito 
43. La prima volta in cui sono morta di Marta Minotti
Dicembre
44. L'arminuta di Donatella Di Pietrantonio 
45. La paziente scomparsa di Liz Lawler
46. La variante di Lüneburg di Paolo Maurensig
47. Uno strano caso per il commissario Calligaris di Alessandra Carnevali


sabato 18 dicembre 2021

Fuga dal Natale


I ricordi, come le candele, bruciano di più nel periodo natalizio. (Charles Dickens)

Sembra che tutti adorino il Natale, che bello, le luci, il panettone, il pandoro, le vacanze natalizie e poi cos’altro? Ah i regali, il consumismo, le luminarie.

Io amavo molto il Natale quando andavo a scuola perché le vacanze natalizie erano piacevoli, libertà dal 22 o 23 dicembre fino all’epifania del 6 gennaio, ma non era una meraviglia? 

Il mio amore per il Natale credo si sia esaurito con la fine della scuola (o forse dell’università), tutto è finito il 1 gennaio 1989 quando fui costretta a prendere il treno per tornare a Bologna e iniziare a lavorare dal 2 gennaio. Eh già, mi avevano appena assunto, in un’azienda che avrei lasciato di corsa otto mesi dopo per un altro lavoro...vabbè. Da allora prendere le ferie a Natale è sempre stata  una lotta, sì potevo prenderle tra Natale e capodanno - dopo sofferti piani ferie e accordi con gli altri colleghi - ma poi non riuscivo mai a riposarmi davvero. Una corsa continua per tutto il mese di dicembre (mese che di fatto dura tre settimane e c’è pure il ponte dell’Immacolata in mezzo) e poi quando finalmente arriva la vigilia di Natale ecco che non faccio mai nulla di quello che vorrei fare. Forse è per questo che non sopporto il Natale perché tutto si riduce a corsa consumistica a tutti i costi, con regali spesso inutili che, in passato, ho relegato in cantina a fare la muffa o a riempire gli spazi in cassetti vari per dimenticarmene. Negli anni ho ricevuti i seguenti regali inutili: 

Un bricco con coperchio con uno stantuffo per fare la schiuma del cappuccino

Due enormi tazze con vassoio in ceramica 

Delle presine fatte all’uncinetto simpaticamente molto colorate 

Un maglioncino rosso di lana (troppo piccolo), tra l’altro io non sopporto la lana perché pizzica, mai messo

Mio marito: una serie di cravatte (e lui non portava mai la cravatta, forse una volta l’anno per occasioni speciali e sotto tortura)

Ho elencato solo i regali inutili che ricordo meglio. Ora, ammetto che ho tentato un paio di volte di fare il cappuccino in casa con il bricco e che quel vassoio di ceramica oggi lo sto usando quotidianamente (senza le tazze enormi), ma degli altri regali mi sono disfatta con sollievo al momento della separazione, semplicemente, lasciando quegli oggetti a casa del mio ex marito e portando con me solo le cose che volevo prendere davvero con me...

Il fatto è che il Natale oggi più che mai è una corsa al consumismo davvero irritante e che si risolve in acquisti prevalemente inutili, a volte ho evitato regali indesiderati chiedendo di comprarmi un libro che volevo leggere oppure chiedendo di fare una donazione a qualche associazione benefica a mio nome (questo lo puoi fare quando si tratta di amici o parenti stretti) ma non sempre è possibile.  E poi ci sono i pranzi e le cene interminabili ipercalorici che poi tocca smaltirli con mesi di sacrifici. Io, ogni anno, ho preso almeno due chili, perderli è stato poi difficilissimo...quando sono riuscita a perderli, altri si sono consolidati sui fianchi o sulla pancia.

Il significato del Natale è diverso, é ritrovarsi in famiglia con gli affetti veri. Già la famiglia appunto, qui la ferita sanguina ancora di più perché a Natale mi ritrovo a ripensare alla famiglia che non ho realizzato, penso ai bambini che avrei voluto, anche se ormai - dopo aver superato i cinquanta da un po’ - è qualcosa con cui ho fatto pace, anzi vedendo il mondo che ci ritroviamo nel 2021 con prospettive davvero poco felici, provo un egoistico sollievo all’idea di non aver avuto figli.

Quello che non sopporto del Natale è questa assurda idea della felicità a tutti i costi, ma davvero quel giorno siamo più felici? 

Forse non detesterei il Natale se la smettessero almeno con la pubblicità ossessiva di panettoni e pandori con musichetta mielosa e con i film sul Natale sparati in TV a tutte le ore, a partire da novembre. La parte meno grinch di me adora la città con le luci natalizie, ma proprio per questo un’altra cosa che mi rende idrofoba è che non riesco mai ad andare a fare un giro in centro a vedere Bologna addobbata a festa che, lo ammetto, con le luci natalizie diventa davvero meravigliosa. Finché lavoro esco troppo stanca dall’ufficio per poter andare in centro, (e prima di Natale si lavora sempre il triplo per uno strano meccanismo di ossessione da fine del mondo) anche nel week end non sempre capita e poi c’è troppa gente, quando finalmente sono in ferie parto per la Puglia dove mi aspettano parenti assatanati che fagocitano il mio tempo.

Tralascio le motivazioni più profonde che mi fanno detestare il Natale perché non voglio scrivere un post triste, ognuno ha i suoi motivi più o meno seri e quindi vi lascio con due domande:

Qual è il regalo più inutile o brutto che avete mai ricevuto per Natale? Avete anche voi un Grinch nascosto in fondo al cuore o siete felici già da novembre all’idea del natale?

Ovviamente anche se sono un po’ Grinch vi auguro di passare un sereno Natale!

Fonti immagini: Pixabay 

domenica 12 dicembre 2021

Il 2021 e il ballo delle incertezze

Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. Giuseppe Ungaretti 


Prendo spunto dal post di Elena Ferro del blog Volpi che camminano sul ghiaccio per fare un bilancio del mio 2021. A dire il vero, non amo troppo fare i bilanci perché i miei non quadrano mai e ancor più in questo 2021, anno in cui ho toccato sempre più con mano la grande incertezza che accompagna la nostra vita, la mia in particolare. Bella scoperta direte voi, con la pandemia siamo diventati tutti foglie in balia del vento, certo è così, ma credo che quest’anno sia stato quasi peggiore del 2020 sotto molti aspetti. Per esempio pensavamo che con il vaccino avremmo sconfitto il virus e raggiunto una maggiore stabilità, non è successo anzi ci ritroviamo divisi su sponde opposte a chiederci chi ha ragione. 

Nessuno possiede il tempo

Nel 2021 ho imparato che se hai il tempo per fare una telefonata e salutare un’amica non devi rimandare perché quell’amica potrebbe non esserci più. Mentre eravamo chiusi in casa in attesa di riveder le stelle (per citare Dante visto che in questo anno ricorre il settecentesimo anniversario della morte del sommo poeta) sono rimasta inerte ad aspettare l’estate per tornare in Puglia, non sapendo che non avrei avuto abbastanza tempo per rivedere la mia cara amica di cui ho parlato nel post Le meraviglie dell’altrove e anche ne Il vento leggero del ricordo Il tempo è beffardo e ci prende in giro, ci fa credere di possederlo, ma non è affatto così, nessuno possiede il tempo, è importante quindi anticiparlo sempre, godere l’attimo finché si può. Per questo non bisogna aspettare troppo e rimandare il momento per contattare qualcuno a cui vuoi bene, se si è lontani può bastare anche una telefonata.

Scrivere meno e vivere di più

La scrittura mi ha salvato molte volte, poter scrivere mi ha permesso di esplorare il mio inconscio e fare della mia passione una grande risorsa, mi ha permesso di crescere e di conoscermi meglio, mi ha riempito il tempo vuoto e ha dato un senso spesso alle mie giornate quando il senso non c’era. Tuttavia in questi anni ho dedicato troppo tempo libero alla scrittura sacrificando molte cose che amavo fare, banalmente andare al parco a correre o fare una passeggiata all’aria aperta. Così, in questo 2021, mi sono resa conto che la scrittura guadagnava il secondo posto nelle mie priorità, prima la vita vera poi la scrittura. La voglia di scrivere c’è ancora ma è molto più “tranquilla”, per esempio non passo più molto del mio tempo a postare degli estratti in gruppi Facebook, cercando di capire le regole per non “irritare” gli amministratori dei gruppi. Anzi non posto più nulla, mi sono staccata molto dai social in generale e da Facebook in particolare, magari sponsorizzo a pagamento, ma per il resto occupo il mio tempo diversamente. Sempre riguardo alla scrittura ho accantonato definitivamente l’idea di arrivare a una grande casa editrice, avevo inviato a marzo scorso ad alcune big il mio romanzo “Il male non perdona”, un thriller fuori dalla serie del commissario Sorace, ma non è andata, non che ci avessi sperato sul serio, ma come ho spiegato nel mio post Scrivere a una casa editrice dovevo fare un tentativo per una mia tranquillità interiore. Quindi il romanzo me lo pubblico da me, anzi adesso mi è venuta la frenesia di farlo uscire, ma mi prendo un po’ di tempo per far le cose per bene. 

Progetta pure ma poco dipende da te

Ne avevo accennato un po’ nel mio post Orizzonti futuri senza svelare troppo. Nel 2021 ho deciso di fare un investimento importante e cambiare la mia vita, comprare una nuova casa, dopo annose e angoscianti ricerche avevo trovato la casa ideale, nel senso che aveva tutto quello che cercavo e rientrava nel mio budget. Così ho fatto l’offerta che è stata accettata e ho fatto la richiesta del mutuo in banca. Nel giro di un mese ho ricevuto la risposta positiva e, addirittura, volevano concedermi un mutuo più alto di quello richiesto perché i tassi erano bassi ed era molto conveniente. Per me però andava bene quanto richiesto. Non era altrettanto facile per i venditori, una coppia giovane con un bambino che voleva allargare la famiglia e quindi cercava una casa più grande che, peraltro, avevano trovato. Ero felicemente protesa verso questo nuovo obiettivo della mia vita, tanto che scaramanticamente  non ne avevo parlato con nessuno, a parte il mio compagno che aspettava trepidante con me. Purtroppo i proprietari della casa lavoravano entrambi nel settore della ristorazione e, con la pandemia, si sono ritrovati in cassa integrazione così, nonostante adesso il settore sia ripartito, a loro il mutuo non é stato concesso. Non mi dilungo di più su questa triste storia perché sono arrabbiata con il mondo, quando poi sento parlare in Tv di studi ISTAT su “culle vuote” e invecchiamento della popolazione mi arrabbio ancora di più. Non so se più avanti avremo voglia di riprovarci, so solo che, dopo essere rimasta in sospeso per quasi un anno, aver perso il sonno nell’attesa di qualcosa che non arrivava mai, sono molto scoraggiata. Ho solo voglia di rimanere immobile e non progettare più nulla. Esistono interconnessioni tra esistenze diverse alle quali non avevo pensato, mi sembra ogni volta di combattere contro i mulini a vento come Don Chisciotte. 

Liberare gli spazi 

Quest’anno per la prima volta ho fatto un vero “decluttering”, ho eliminato cose che avevo con me da anni, in realtà sono appena a metà dell’opera perché resta ancora molto da eliminare, ma ho acquisito la consapevolezza di volerlo fare, mi serve solo un po’ di tempo per applicarmi, ho scoperto però che anche il tempo è un ostacolo che puoi aggirare decidendo di eliminare una piccola cosa ogni tanto, funziona perché, poco per volta, liberi spazio...provare per credere. Avere più spazio aiuta a sentirmi meno oppressa e apprezzare solo quello che è davvero utile. In fondo quello che è utile davvero è poco, anzi pochissimo, fateci caso. 

In questo anno di incertezze l’unica cosa positiva sono state le brevi vacanze che sono riuscita a strappare a giugno e a settembre, cosa niente affatto scontata perché anche in vacanza può succedere di tutto e molte cose possono andare male, invece nel mio caso, il tempo è stato bello, il viaggio non è stato funestato da imprevisti e tutto si è svolto magnificamente. 

Quest’anno, quindi, mi ha portato più incertezza del solito che mi porterò sicuramente anche nel 2022, ma tutto sommato è da sempre che faccio l’equilibrista nei meandri della mia esistenza, continuerò a muovermi con cautela evitando gli ostacoli e cercando di non inciampare nei trabocchetti del destino. 

E voi come avete vissuto quest’anno, avete realizzato qualcosa di bello, qualche piccolo desiderio che vi ha dato gioia?


Fonti immagini: Pixabay 



sabato 4 dicembre 2021

I migliori anni della nostra vita

La danza è la creazione di una scultura che è visibile solo per un momento.
(Erol Ozan)

Tutto cominciò per caso, una mia amica voleva frequentare un corso di danza orientale e cercava un’amica con cui andarci. Io le dissi che se trovava il corso a un orario comodo e, possibilmente, nella nostra zona, poteva contare su di me. In un battibaleno lei trovò il corso ideale che iniziava dopo pochi giorni (circa metà settembre di parecchi anni fa) e così decisi di assecondarla; non sapevo cosa mi avrebbe portato quell’esperienza, era un modo per fare un po’ di moto divertendosi, e poi non c’era bisogno di avere un partner, si ballava da sole. La mia amica abbandonò il corso l’anno successivo, presa da un altro progetto, io invece continuai per altri quattro anni, è anche questo il vantaggio di ballare da sola.

In quegli anni conobbi donne di tutte le età, c’era la ragazza che frequentava l’ultimo anno di liceo e quella che frequentava l’università o era prossima alla laurea, la bancaria vicina alla pensione, la specializzanda in medicina che iniziava a lavorare e chi (come me) lavorava già da parecchi anni. Diverse vite e diverse età, ma tutte unite dalla passione per la danza orientale. È strano come nascano certe  amicizie, quelle sere passate insieme, a impegnarci per imparare i passi di danza nella collaborazione di tutte, ci unirono moltissimo, anche perché, lezione dopo lezione, lentamente ci si conosceva e si scopriva qualcosa in comune nella nostra esistenza di donne, ma quello che ci univa di più era la preparazione del saggio finale che ci faceva ritrovare molto più spesso per esercitarci. Tutto l’anno la frequenza del corso era una volta a settimana, poi quasi a ridosso dell’estate, in particolare nel mese di maggio, facevamo le prove per due o tre sere a settimana. 

Ricordo ancora, con nostalgia, il profumo di quelle sere di primavera con il tepore e il sapore dell'estate in arrivo.

Diventammo un gruppo sempre più unito e solidale, anno dopo anno. Poi le vicende della vita ci hanno separato anche se ogni tanto ci sentiamo, con alcune siamo riuscite a rivederci spesso con una certa periodicità, almeno prima della pandemia. Le ragazze con cui avevo legato di più e con cui sono rimasta in sporadico contatto, ma soprattutto hanno lasciato un posto nel mio cuore sono Marta, Gabriella, Stefania, Alessandra, Elisa.

Marta appariva come una ragazzina, magra e sottile come un giunco, capelli biondi e occhi azzurri su una pelle di porcellana, quando ho cominciato il corso aveva 22 o 23 anni. Conoscendola ho capito che era un giunco sottile dall’anima di acciaio. Qualche sera fa mi è arrivato un suo messaggio, era a Bologna e voleva farmi un saluto. Fa il magistrato adesso e vive a Torino, ma ogni tanto fa una capatina a Bologna la città dove ha studiato e che le è rimasta nel cuore. Marta è stata bravissima, laureata con il massimo dei voti, ha seguito un periodo di tirocinio presso uno studio di avvocati di Bologna, poi non solo ha superato brillantemente l'esame da avvocato, ma poi ha superato il concorso in magistratura diventando magistrato a soli 29 anni. Ed era bravissima anche nella danza, in cui si applicava con la stessa determinazione con cui studiava. Pur avendo età diverse in questi anni ci siamo ritrovate regolarmente per un aperitivo o una pizza assieme alla mia amica con cui ho cominciato il corso, ora che vive a Torino è diventato più difficile rivedersi.

Alessandra portava i suoi capelli neri in una specie di caschetto spettinato, su un viso dolce e sbarazzino, caratterizzato da una simpatica fossetta sulle guance. Ai tempi del corso aveva poco più di trent'anni, laureata in medicina, si era specializzata  in micro chirurgia della mano,  aveva studiato per un anno a Parigi, sempre per la specializzazione. Ha frequentato il corso di danza nei due anni in cui lavorava in un ospedale vicino Bologna con un contratto a termine, sperando che la confermassero, ma così non fu. Oggi lavora in un grande ospedale di Rimini, quanto mi è mancata quando ha lasciato Bologna, del resto - dopo gli anni di precariato - le è arrivata un offerta stabile di lavoro in Romagna e così si è trasferita. La sera arrivavo a danza e la sua assenza mi spaccava il cuore, mancava la sua leggerezza e le nostre chiacchierate al pub dopo la lezione di danza. Ci siamo riviste un paio di volte, in estate, quando sono andata a trovarla al mare, ma poi sono passati gli anni e ormai ci messaggiamo soltanto su Facebook, ma so che sta bene ed è felicemente sposata.

Poi c'era Elisa, la più brava, per questo motivo l'insegnante la chiamava "la capoclasse" e infatti ballava benissimo, era naturalmente portata per il ballo, ma oltre a essere brava nel ballo e molto bella, era una specie di genio della fisica, si era laureata in Fisica con il massimo dei voti, purtroppo il completamento del dottorato negli Stati Uniti la portò lontana da noi, ma dopo un anno rientrò in Italia e ci ritrovammo per un po'. Inevitabilmente dopo una ricerca vana di un lavoro decente in Italia le offrirono un contratto molto ben retributio a Zurigo per una ditta costola del CERN di Ginevra (i cervelli in fuga non vogliono affatto scappare, ma spesso sono costretti) e così, a malincuore, ha accettato. All'epoca aveva meno di trent'anni, oggi si è sposata, ha avuto un bambino e continua a lavorare in Svizzera.

Gabriella e Stefania, più o meno mie coetanee, anno più anno meno, anche dopo l'abbandono del corso, sono state una presenza periodica e costante per diversi anni, con Stefania mi trovavo anche per andare a correre al parco, poi gli impegni di lavoro di entrambe ci hanno reso la corsa insieme sempre più difficile.

Alcune di queste amiche sono finite anche nei miei romanzi, in Insostenibili barriere del cuore Alessandra è l’amica di Laura che le offre preziosi consigli, Elisa mi ha ispirato per il romanzo breve Il sole sulla pelle dove la protagonista Beatrice detta Bea é un'ingegnera innamorata che va a lavorare un anno negli Stati Uniti per poi tornare in Italia (lo sapete vero che chi scrive ruba sempre un po' della vita degli altri).

Smisi di frequentare il corso per vari motivi. L'insegnante, per problemi personali, fu costretta a lasciare Bologna, ma il nostro gruppo, sia pur ridotto, avrebbe potuto continuare con una nuova insegnante, però l'associazione culturale, presso la cui sede si svolgeva il corso, non ebbe il rinnovo del contratto di affitto da parte del comune di Bologna. Era un affitto calmierato e trovare dei nuovi locali diventava un problema.

Ci sono stagioni della vita che, inevitabilmente, finiscono ed io, dopo un periodo di inattività, mi iscrissi in palestra alternando corsi vari di aerobica e pilates, ma non ho più legato come con le ragazze della danza orientale.

Forse prima di natale riesco a combinare un aperitivo con le ragazze che vivono a Bologna, ci siamo sentite su whatsApp, è anche per questo che ho ripensato a tutte loro e a quegli anni che sembrano i migliori della nostra vita, oppure lo sono soltanto perchè li possiamo guardare attraverso il velo evanescente del ricordo.

Fonti immagini: Pixabay 

venerdì 26 novembre 2021

Recensione di Una inutile primavera sul blog di Eleonora Ippolito



 
 

Cari amici, 
la scorsa settimana è stata proficua di recensioni, la prima è stata quella di Renato Mite, poi è arrivata anche la recensione di Eleonora Ippolito del blog Semiserio di una lettrice compulsiva che scrive sempre delle recensioni con uno stile ironico e divertente, ma non per questo meno profonde.
Eleonora ha definito il mio commissario “un duro dal cuore di panna” e questa definizione da cornetto algida mi diverte moltissimo, in effetti Saverio Sorace é proprio un duro dal cuore tenero, anche con qualche fragilità, tuttavia disposto a tutto quando si tratta di difendere i più deboli.

Ecco il link del blog di Eleonora Blog semiserio di una lettrice compulsiva

Se siete curiosi e volete andare a leggere la simpatica recensione di Eleonora, fatemi sapere cosa ne pensate. Ogni commento é gradito.

domenica 21 novembre 2021

La scrittura smarginata di Elena Ferrante


Questa settimana sono stata al Teatro l’Arena del Sole a vedere uno spettacolo intitolato "La scrittura smarginata", evento organizzato nell'ambito de Le Umberto Eco Lectures. 

All'università di Bologna esiste, infatti, un centro intitolato a Umberto Eco "Centro Internazionale di Studi Umanistici “Umberto Eco”, che finanzia e organizza vari eventi e questo costituiva appunto una rappresentazione, la più importante del 2021 per il Centro Eco, in collaborazione con la casa editrice E/O di Elena Ferrante e l'Emilia Romagna Teatri. Di seguito riporto il link

La scrittura smarginata 

l'autrice è stata interpretata dall'attrice Manuela Mandracchia che ha portato in scena tre lezioni, scritte da Elena Ferrante e realizzate proprio a questo scopo, nei giorni da mercoledì 17 a venerdì 19 novembre. Ogni sera c'era un testo differente: (La pena e la penna, Acquamarina, Storie, io) presentati al pubblico per la prima volta.

Erano tre appuntamenti a ingresso gratuito (ma con prenotazione obbligatoria) anche in diretta streaming sui profili social dell'Università (Facebook e Youtube); ERT/Teatro Fondazione (Facebook e Youtube); Teatro Arena del Sole (Facebook); Edizioni E/O (Facebook).

Ero a conoscenza di questa iniziativa, quindi appena l’evento è stato messo on line mi sono registrata e ho prenotato i biglietti prima che sparissero. 
La serata per cui ho preso il biglietto è stata quella di giovedì 18 novembre con il testo Acquamarina.
L’attrice è stata davvero molto brava e, per un istante, mi è sembrato proprio di stare di fronte a Elena Ferrante tanto che avrei quasi voluto chiederle delucidazioni sul romanzo “La figlia oscura” che stava citando nel testo Acquamarina. 
Venivano citati i tre romanzi più famosi dell’autrice prima de L’amica geniale: L’amore molesto, I giorni dell’abbandono e La figlia oscura (io ho letto solo l’ultimo di questi, è stato proprio il romanzo che mi ha fatto scoprire Elena Ferrante e che mi ha portato a leggere tutta la quadrilogia de L’amica geniale, prima che scoppiasse il boom su questa autrice).

Del monologo la parte che mi ha colpito di più è stata la confessione dell’autrice di aver temuto di non riuscire mai ad arrivare al livello degli autori che lei leggeva e amava, tanto che aveva scritto diverse storie negli anni, ma non le trovava mai abbastanza “belle” o “adeguate” per essere pubblicate, finché un giorno, dopo aver scritto L’amore molesto, dopo tante titubanze, si era decisa a inviarlo a un editore scrivendo una lunga lettera in cui cercava di spiegare come era nata la storia, evidenziando anche i suoi timori sulla scrittura. Proprio rileggendo quella lettera, a distanza di anni, ha compreso meglio il suo rapporto con la scrittura e la sua felicità nello scrivere storie. 

È stata una bella serata letteraria che mi ha riportata in un teatro molto importante nel cuore di Bologna, con la cauta e speranzosa sensazione di una ripresa in un settore - quello dello spettacolo - molto danneggiato dalla pandemia. Vi lascio alcune foto fatte con il mio cellulare



Nella prima foto, come si può vedere, c’è il palco prima dell’inizio dello spettacolo, che ho fatto prima di prendere posto, anche perché ero in seconda fila e ho evitato di fotografare l’attrice perché, data la vicinanza e il fatto che fossero state abbassate le luci, non volevo disturbare con la luce del flash. È stato un bellissimo monologo durato circa un’ora.



La foto sopra invece è il chiostro del teatro dove è possibile sedersi per gustare un aperitivo con dell’ottimo vino o altre bevande, il posto è molto suggestivo e il clima di quella sera era particolarmente mite, tanto che all’aperto si stava proprio bene. 

Una curiosità su questo teatro, si chiama Arena del sole perché era nato, nel luglio 1810, come luogo di spettacoli diurni all’aperto sull’area dell’ex convento delle monache domenicane di Santa Maria Maddalena. Gli spettacoli venivano svolti proprio nel chiostro interno della foto, nel periodo estivo, tra Pasqua e fine settembre. Nel 1916 l’arena venne dotata di coperture smontabili per utilizzarla anche in inverno. Con il passare degli anni fu utilizzata sempre più come cinematografo e nel 1984 l’edificio fu comprato dal comune di Bologna che lo ristrutturò con dei lavori che durarono fino al 1995. Ricordo infatti le impalcature perenni che circondavano l’arena del sole, dai tempi dei miei anni universitari, e mi chiedevo sempre quando quei lavori sarebbero finiti. Comunque, dal febbraio del 1995 l’Arena del sole ritornò ad essere un teatro a tutti gli effetti.

Ho pensato di condividere con voi questa esperienza anche perché, in passato, mi è capitato di assistere a delle rappresentazioni letterarie legate a romanzi, racconti o scritti di autori vari e devo ammettere che le parole di un libro, interpretate da un attore o attrice, hanno un impatto molto forte e particolarmente incisivo. Un libro così interpretato diventa molto più bello, del resto ne abbiamo un buon esempio anche con gli audiolibri. 

Amate il teatro? Ci siete stati di recente? Avete mai seguito una rappresentazione simile a quella che ho descritto?


Fonti immagini: la prima foto è tratta da Pixabay 

Fonti testi: Wikipedia per la parte storica dell’Arena del sole.

giovedì 18 novembre 2021

Recensione di Una inutile primavera sul blog Inchiostro Mite

 


Cari amici 

voglio condividere con voi la recensione di Una inutile primavera, l'ultima indagine del commissario Saverio Sorace, da parte del blog Inchiostro mite di Renato Mite (Il blog per i lettori a passo lento)

Vi riporto il link Inchiostro Mite

è sempre molto bello scoprire le impressioni di un lettore, nonchè blogger che legge e recensisce molti romanzi, come Renato e, approfitto di questo post, per ringraziarlo ancora per aver letto i romanzi di questa serie. Quello che mi ha colpito di questa sua ultima recensione è che ha saputo cogliere aspetti di cui io stessa non mi ero quasi resa conto e mi è piaciuto ripercorrere, attraverso i suoi occhi, le tappe della scrittura di quella storia.

Se vorrete leggere e lasciare un commento, sul blog di Renato oppure qui, come sempre, vi risponderò con gran piacere.

domenica 14 novembre 2021

La profondità delle canzonette

 

Ciò che non si può dire e ciò che non si può tacere, la musica lo esprime.
(Victor Hugo)

Due volte a settimana vado al lavoro a piedi, me lo sto imponendo per fare più moto, da casa mia fino alla sede del mio ufficio sono due chilometri e mezzo ed è un percorso che faccio in circa trenta minuti a passo regolare. Quando esco di casa imposto l’ascolto su Amazon music di un cantante che mi piace e così faccio la strada con il sottofondo musicale. Per semplicità mi limito a dire: Alexa fammi sentire Tizio; Caio o Sempronio e così parte la lista delle canzoni in modulazione libera, nelle ultime settimane ho ascoltato per esempio Fiorella Mannoia, Rino Gaetano, Marco Masini, Antonello Venditti, Franco Battiato, Tiro Mancino e altri ancora. Sono andata a ripescare anche cantanti che non ascoltavo da tempo abbastanza remoto.

Mentre ascolto i testi delle canzoni mi trovo a riflettere, ci sono canzoni con dei testi piuttosto impegnati, anche quelle canzoni che sembrano tanto allegre e leggere, così la mia mente spazia sulla potenza di alcune modalità artistiche, quella delle canzoni è davvero prorompente perché raggiungono una vastissima platea di persone e il messaggio, infarcito dalla musica, si insinua nella testa e arriva, non sempre forte e chiaro, ma arriva. Perché arrivi davvero bisogna soffermarsi sul testo, ma questo prima o poi accade come è successo a me.

Ricordo che da ragazzina adoravo Edoardo Bennato e conoscevo a memoria il suo album Burattino senza fili, era il 1977 e avevo tredici anni, quanta profondità in quei testi, solo che ci sono arrivata bene solo dopo. Allora mi piaceva molto il fatto che Bennato fosse un contestatore di una società ingessata e ipocrita, non che il mondo attuale sia migliore, ma sorvoliamo.

Tempo fa ho riascoltato quei testi e sono rimasta folgorata dalla loro grande attualità.

per esempio c'è la strofa di È stata tua la colpa

Adesso non fai un passo se dall’alto non c’è
qualcuno che comanda e muove i fili per te
adesso la gente di te più non riderà
non sei più un saltimbanco
ma vedi quanti fili che hai!..
.

o Mangiafuoco

Non si scherza, non è un gioco
sta arrivando Mangiafuoco
lui comanda e muove i fili
fa ballare i burattini

Ma se scopre che tu i fili non ce l’hai
se si accorge che tu il ballo non lo fai
allora sono guai - e te ne accorgerai
attento a quel che fai - attento ragazzo
che chiama i suoi gendarmi
e ti dichiara pazzo!...

o La fata  (in un chiaro messaggio dalla parte delle donne)

Farà per te qualunque cosa
e tu sorella e madre e sposa
e tu regina o fata, tu
non puoi pretendere di più

E forse è per vendetta
e forse è per paura
o solo per pazzia
ma da sempre
tu sei quella che paga di più
se vuoi volare ti tirano giù
e se comincia la caccia alle streghe
la strega sei tu.

Vi invito ad ascoltare il resto dei testi, tanto adesso con spotify è possibile spaziare, sono davvero molto attuali, forse oggi più di ieri.

E ancora, tralasciando la più famosa "Ma il cielo è sempre più blu", qualche testo del compianto Rino Gaetano,

Mio fratello è figlio unico

Mio fratello è figlio unico
perché è convinto che Chinaglia
non può passare al Frosinone
perché è convinto che nell'amaro benedettino
non sta il segreto della felicità
perché è convinto che anche chi non legge Freud
può vivere cent'anni
perché è convinto che esistono ancora gli sfruttati
malpagati e frustrati

Mio fratello è figlio unico
sfruttato represso calpestato odiato

Mio fratello è figlio unico
deriso frustrato picchiato derubato

E io ci sto

Mi dicono alla radio statti calmo e statti buono
non esser scalmanato stai tranquillo e fatti uomo
ma io con la mia guerra voglio andare ancora avanti,
e costi quel che costi la vincerò non ci son santi
Anche se invece però, mi guardo intorno ancora un po'
e mi accorgo che son solo,
ma in fondo è bella però la mia guerra e io ci sto

Ma se vogliamo qualcosa di più recente eccovi uno stralcio del testo di Pamplona di FabriFibra

Oggi le modelle fanno le DJ
La bella gente, la pista, le luci
E le ventenni vanno a letto con i vecchi
Per pagarsi una borsa di Gucci
A Milano piove spumante
Perché lo Champagne è francese
Un matto gira in centro in mutande
E uccide i passanti con un machete
La politica ci vuole divisi
In TV sento parlare di Isis
Su nel cielo, guarda, volano missili
Fuori fighe da sfilate Intimissimi
Droga gira in questi party, unisciti
Ogni tanto vedi c'è chi collassa
Gli adulti che si fanno selfie in crisi
Non trovano parole neanche per gli hashtag

Dove sei?
L'estate comincia adesso
Ma tu vuoi correre
C'è l'Apocalisse in centro
Segui le luci della città
Pace agli uffici e alle università
Beviamoci su che qualcosa qui non funziona
Siamo come i tori a Pamplona

Fuggiamo insieme
E sorvoliamo l'oceano
È da una vita che vuoi sapere
Il nostro posto qual è, Il nostro posto qual è. Il nostro posto qual è?

Riflessioni che lasciano il tempo che trovano, ma che sono interessanti da esaminare, se vogliamo dire qualcosa di scomodo o di provocatorio o, semplicemente, quello che pensiamo ma non abbiamo il coraggio di affermare allora possiamo dirlo attraverso una canzone. Vale per chi le scrive, ma anche per chi le ascolta e in quei testi si riconosce, non è un caso che certe canzoni abbiano più successo di altre. Più i testi escono dai binari più piacciono (sarà per questo che la canzone più amata di Guccini sia “L’avvelenata” oppure per Marco Masini la più eloquente “Vaffanculo”).

Facendo un piccolo parallelismo con la scrittura ho notato nei libri che ho letto, ma anche in quelli che scrivo io, che esiste la tendenza ad affermare quello che nella vita non possiamo o non riusciamo a dire in modo esplicito. Per esempio ho fatto morire nei miei gialli dei personaggi che assomigliano molto a persone (stupide, false o quasi criminali) che ho incontrato nella mia vita reale o che conosco attraverso i media, che soddisfazione, è qualcosa di catartico e liberatorio. Poi ci sono quelle situazioni che vuoi denunciare in qualche modo e così ne parli in un romanzo. Insomma ogni forma artistica risponde a un’esigenza insopprimibile che è quella di esprimere la propria libertà di espressione. 

E voi cosa ne pensate? Avete qualche canzone (o libro) particolare da segnalare, dove ritrovate un messaggio in cui vi riconoscete?


Fonti immagini: Pixabay 

Fonti testi canzoni: Google 

domenica 7 novembre 2021

Sette anni di scrittura

 

La parola scritta ha la forza di accendere la fantasia e illuminare l’interiorità. Aharon Appelfed 

Sono passati sette anni dalla pubblicazione del mio primo romanzo, ci ho pensato leggendo il post di Maria Teresa Steri del blog Anima di carta in cui dava consigli sul self publishing in base alla sua esperienza. A proposito, sono consigli utilissimi, un vademecum a cui attingere per poter pubblicare, io ho stampato la pagina per utilizzarla al momento opportuno. 

La mia prima pubblicaizone self risale all’anno 2014, me lo ricordo molto bene perché era l’anno in cui compivo 50 anni. Quando arrivi a un traguardo così importante ti ritrovi a  fare sempre dei piccoli bilanci e, a fine 2013, mi ero ritrovata a esaminare la mia vita valutando quello che avevo sul piatto della bilancia, tra soddisfazioni, sogni e sconfitte. Tra i sogni, su quel piatto, c’era anche quello di scrivere, inseguito con impegno, ma navigando molto a vista nei quattro  anni precedenti; infatti in quegli anni avevo frequentato dei corsi di scrittura, scritto un romanzo e partecipato a diversi concorsi letterari. 

Avevo vinto, o mi ero piazzata bene in alcuni concorsi letterari locali, partecipando con dei racconti, finché avevo capito che il mio vero obiettivo da raggiungere era quello di pubblicare un romanzo. L'occasione arrivò con un concorso della Mondadori, pubblicizzato dal settimanale Donna Moderna, che costituì anche l'occasione per scriverlo. Nel momento in cui venni a conoscenza del concorso avevo ancora alcuni mesi davanti a me. Scrissi il romanzo, usando come incipit un mio racconto, partecipai e, ovviamente, non vinsi, ma subito dopo partecipai al concorso di Io scrittore, superando la prima selezione e qualificandomi tra i primi duecento. In quella fase la casa editrice Gems mi aveva perfino inviato i moduli con le liberatorie da firmare, in cui dichiaravo che il romanzo era scritto da me, che detenevo i diritti e che mi impegnavo, qualora fossi arrivata tra i primi cinque, a pubblicare con loro. Insomma ci avevo sperato sul serio. Poi non mi sono piazzata tra i primi cinque classificati che poi erano i soli che sarebbero stati pubblicati. Fine. 

Dopo il concorso Io Scrittore rilessi le varie critiche ricevute (positive e negative) e mi dedicai alle revisione del romanzo. Pensai che ero alla soglia dei cinquant’anni e che gli anni stavano passando troppo in fretta, non volevo più passare il tempo tra un concorso e l’altro o in attesa di una risposta da una casa editrice che mi avrebbe snobbato: mi sarei pubblicata da sola. È stata la scelta più giusta che potessi fare in quel momento. I motivi sono vari:

1) sono uscita dal limbo delle attese 

c'è una grande differenza tra scrivere e pubblicare, finchè scrivi operi nel mondo della fantasia in un rapporto tra te stessa e i tuoi personaggi. Quando pubblichi ti metti in discussione e la tua scrittura acquista concretezza. Vedere materialmente il tuo libro, anche solo in ebook, con una copertina e un contenuto, ha un effetto tutto diverso dal semplice scrivere. In quel momento prendi delle decisioni concrete.

 2) ho imparato dai miei errori

dopo aver studiato le diverse piattaforme con cui pubblicare ho scelto Narcissus (ora Streetlib) perchè era la piattaforma che mi aveva convinto di più. Da profana del self publishing affidai loro la conversione dell’eBook e l'impostazione della copertina, e questa fu una buona scelta. 

Tuttavia, essendo del tutto inesperta, feci anche molti errori, per esempio quando finalmente arrivai alla pubblicazione non feci nessuna promozione, del resto non sapevo come fare. Così mi sono messa a studiare frequentando i vari blog che parlavano di scrittura e seguendo gli autori self che avevano successo. Il mio romanzo intitolato "La libertà ha un prezzo altissimo" uscì a fine agosto 2014 e fino a dicembre non vendette neanche una copia (tranne quella che comprai io), ma tra settembre e dicembre approfondii molte questioni e capii come impostare una pagina facebook e una promozione. Nel 2015 il romanzo ebbe un breve ma rincuorante decollo, riuscii a vendere - in un paio di mesi -  oltre un centinaio di ebook e ricevetti anche delle recensioni positive. Nel frattempo mi ero accorta che l'ebook conteneva degli errori di punteggiatura e qualche refuso. Così, armandomi di santa pazienza, ho revisionato tutto il testo e ho imparato, da autodidatta, seguendo i tutorial di Narcissus, a fare la conversione del testo in ebook, per poter inserire le correzioni. Un lavoraccio durato diversi mesi che, però, mi è servito tantissimo e mi è tornato utile per gli ebook successivi. 

Con il tempo ho imparato che, anche dopo tante revisioni e, spesso, proprio dopo la pubblicazione, c'è sempre qualche piccolo errore in agguato, una virgola di troppo o mancante, un refuso, una lettera maiuscola o minuscola al posto sbagliato. In quel caso puoi sempre correggere e, per un autore self, poter correggere è importantissimo, perchè si è costantemente sotto la lente di ingrandimento dei lettori snob che guardano al self publishing con sufficienza o, peggio, con disprezzo. 

Ebbene sappiatelo, ho trovato degli errori, talvolta macroscopici, anche in libri di case editrici big.

 3) ho scritto altri romanzi 

Dopo il primo romanzo, mi sono accorta che avevo tante storie dentro di me che spingevano per venire alla luce. Sapere di poter decidere da sola quando e come pubblicare mi ha dato l'imput giusto per scrivere. Così, anno dopo anno, ho scritto ben altri nove romanzi. Uno di questi è stato anche notato da una piccola casa editrice con cui poi ho stipulato un contratto, esperienza abbastanza interessante. Inoltre ho pubblicato anche con la piattaforma self di Amazon, una storia d’amore che ha avuto un notevole successo e venduto tantissimo, con mia grande sorpresa. E tutto questo ha aggiunto una nuova esperienza al mio bagaglio. 

Ora mi destreggio, più o meno con disinvoltura, tra Streetlib e Amazon, tra ebook e cartaceo; anche quest'ultimo richiede di imparare bene le impostazioni delle piattaforme, per me è sempre una fatica, perchè nel frattempo ho un lavoro principale che mi impegna parecchio, ma del resto non vivo di scrittura.

4) mi sono perfezionata nelle mie pubblicazioni 

Sono stati sette anni intensi in cui mi sono buttata in diverse sfide, passando da romanzi a tema femminile a romanzi di formazione e a romanzi d’amore, anche se non so se definirli romance veri e propri, perché nelle mie storie non manca mai l’impegno o la situazione difficile. Poi mi sono buttata nel giallo, inizialmente per una scommessa con me stessa, poi per l’esigenza di andare oltre le storie d’amore e poter trattare anche altri temi più complessi e di forte attualità. È quindi nata la serie del commissario Saverio Sorace con all’attivo cinque episodi. Con il giallo mi trovo molto a mio agio e non nego di sentirmi anche più libera nell’esprimermi. 

Le indagini di Saverio Sorace

Mi sono perfezionata dando anche maggiore importanza alla copertina dei miei lavori, infatti, a partire dal 2016, mi sono rivolta quasi sempre a una grafica professionista che mi ha creato delle cover davvero belle. Questo non significa che sia obbligatorio, molti autori fanno per conto loro delle ottime cover, dipende molto anche dalle competente possedute da ciascuno, tuttavia per i miei gialli ho impostato uno stile delle cover che è importante mantenere. 

Insomma, dopo le ingenuità del mio primo romanzo, ora sento di aver acquisito delle discrete competenze in materia di scrittura, di revisione e di “confezionamento” di un libro (eBook e cartaceo), qualcosa ho imparato anche in materia di promozione, anche se questa è una materia vastissima e richiede un dispendio di tempo ben superiore a quello che io vi dedico. Resta sempre qualcosa di nuovo da imparare, ma io sono sempre disposta a mettermi alla prova, nei limiti del buon senso...

Un curiosità per chi ancora non lo sa, Giulia Mancini è uno pseudonimo a metà, nel senso che Mancini è il cognome di mia madre, ho sempre pensato, in caso di pubblicazione, di voler usare il suo cognome, per po' per affetto e un po' per la necessità di separare il mondo del lavoro da quello della scrittura.

E dopo sette anni cosa penso di fare? 

Me lo sono chiesta perché la voglia di scrivere è scemata negli ultimi tempi, forse per una serie di situazioni che si sono verificate, probabilmente anche perché ho meno storie da raccontare, tuttavia ho ancora un paio di romanzi da pubblicare poi si vedrà. Al momento la scrittura resta l’unico territorio della mia vita veramente libero.

Se volete dire la vostra ogni commento è gradito



sabato 30 ottobre 2021

Strani giorni

 


«Matrix è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L'avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.» (Morpheus a Neo, dal film Matrix)

In questo periodo mi sto facendo molte domande e non sono capace di darmi una risposta efficace. Andiamo per ordine:

Nel 2020 una pandemia globale ci costringe a relegarci in casa e a restare isolati per sfuggire al virus, tralascio quello che è successo negli ospedali e nelle famiglie colpite che hanno perso i loro cari. Abbiamo un anno in cui siamo stati privati di molte semplici libertà perché c’era il rischio della diffusione del virus. Siamo passati, a fasi alterne, da zone gialle, arancioni e rosse, con l’angoscia continua dell’ impennata dei contagi, aspettando la salvezza del vaccino.

Il vaccino arriva, anzi arrivano, ce ne sono diversi, e fanno a gara tra loro per imporsi come il migliore. In Italia, tralasciando quello cinese e quello russo, si impongono tre vaccini, il pfizer, il moderna e l’astrazeneca. Dopo una serie di morti sospette per trombi in uomini e donne di giovane età il vaccino astrazeneca é stato bandito, almeno in Italia. Io stessa sono stata contenta di averlo scansato e di  aver fatto il pfizer, anche perché dopo la morte della mia amica di 52 anni (che aveva completato il vaccino astrazeneca due settimane prima, sarà un caso, non lo so) ero abbastanza timorosa. Restavo comunque una grande sostenitrice del vaccino, l’ho fatto con convinzione, in tempi non sospetti pre-green pass. 

Poi arriva il sei agosto, quando tutti pensano alle ferie e alle vacanze (a me questa abitudine del governo di far passare delle leggi a ferragosto mi fa venire il sangue alla testa) comunque in tv e sui giornali se ne parla, ma non tutti ci fanno caso davvero, con un decreto legge si impone il green pass per fare tutta una serie di attività: andare al ristorante al chiuso, al cinema e a teatro, e al lavoro, dal 13 settembre nelle scuole e università e dal 15 ottobre in ogni luogo di lavoro.

A inizio settembre anche i più distratti si accorgono di questa legge di ferragosto. Per quanto io sia una sostenitrice del vaccino, questa imposizione mi disturba profondamente, anche perché dicono che il vaccino non metta del tutto al riparo dal contagio, se sei vaccinato non finisci in terapia intensiva ma puoi prendere il covid e contagiare tutti, quindi mettiamoci sempre la mascherina, manteniamo la distanza di sicurezza e tutte le cautele, anche se sei vaccinato. Quindi perché l’imposizione del green pass a tutti i costi?

Imporre l’obbligo vaccinale potrebbe comportare il rischio di un risarcimento danni oppure si vuole lasciare la libertà di scegliere? 

Se lavori e devi farlo per mangiare e pagare le bollette (come me) non puoi esimerti dal vaccino, cosa fai tre tamponi alla settimana? mi sembra una schiavitù più del vaccino. Io sto andando al lavoro e ogni mattina mi controllano il green pass, mentre alcuni colleghi che non vogliono vaccinarsi (pochi in realtà nel mio settore, ma parecchi in tutta l’azienda) per ora stanno alternando smart working, ferie e tamponi, ma non possono andare avanti molto a lungo.

L’Italia sembra la nazione europea con le restrizioni maggiori in tema di green pass, forse l’unico paese, dopo la Francia, che lo impone per tutti i luoghi di lavoro. Mi sono chiesta il perché e, tralasciando le teorie complottiste (vogliono estinguere buona parte della popolazione perché siamo in troppi sulla terra e non c’è cibo per tutti, vogliono uccidere i pensionati così l’INPS ringrazia, vogliono metterci un microchip per il controllo della mente ecc) penso che uno dei principali motivi sia di tipo economico, imponiamo il green pass e riapriamo tutte le attività, senza concrete rivoluzioni strutturali che necessitano di grandi investimenti pubblici, come aule più grandi nelle scuole, un maggior numero di insegnanti, mezzi di trasporto più capienti (che non si capisce perché poi, il green pass serva solo sui treni interregionali e non sui locali e sugli autobus). 

Troppe contraddizioni e troppe domande senza risposta. Con il paese in rivolta e con disordini che sfociano anche nella violenza.

È molto angosciante vedere il popolo italiano diviso tra buoni e cattivi con una politica che muove ad arte queste divisioni. 

Mi chiedo: viviamo ancora in una democrazia? 

A questo aggiungo alcune mie considerazioni: 

la pandemia doveva insegnarci qualcosa e portarci verso un mondo migliore, doveva farci capire che era possibile vivere il lavoro diversamente con lo smart working, il minor traffico, minore inquinamento, vivere slow per vivere meglio, tutti. 

Neanche per idea! In questi giorni ho assistito al ritorno a tutte le vecchie cattive abitudini, un traffico pazzesco che appare addirittura aumentato rispetto a prima della pandemia (molti evitano i mezzi pubblici per paura di infettarsi); ho dovuto anticipare la sveglia di venti minuti rispetto a prima per poter arrivare in ufficio e trovare parcheggio nell’area dedicata, in azienda abbiamo un certo numero di posti auto per i dipendenti, ma parcheggia chi arriva prima, prima alle otto trovavo ancora parcheggio, ora se arrivo alle sette e quaranta ho già dei problemi, del resto non mi va di prendere l’autobus superaffollato.

E sempre per tornare alle vecchie cattive abitudini, ecco che é stato imposto di tornare tutti in presenza, finora lo svolgimento del lavoro è andato avanti lo stesso e, tolti i primi necessari assestamenti, con piena efficienza; sto parlando ovviamente di quello che conosco nel mio ambito, ci sono colleghi che hanno reso molto di più da remoto rispetto a quando erano in presenza. Per esempio una mia giovane collega, bravissima, con due bambini piccoli, era spesso a casa per malattie varie dei bambini (succede quando i bambini sono piccoli), lavorando da remoto il problema dei bambini non si è mai più posto, ovvio che si ammalassero ancora ma da casa riusciva a gestirli. È solo un esempio, ma serve per dare un’idea. 

Credo che l’organizzazione, con il temperamento delle esigenze dei dipendenti, tra lavoro in presenza e lavoro da remoto, possa essere un ottimo metodo per arrivare a un sistema efficiente, invece no torniamo tutti in presenza in uffici open space (che sono rimasti tali) costretti a lavorare con le mascherine tutto il tempo e con il rischio del contagio (anche se con il green pass). Ringrazio il cielo di avere l’ufficio per conto mio, penso che se dovessi lavorare otto ore con la mascherinafarei una fatica immane.

Finisco le considerazioni e torno ai miei dubbi di inizio post, chi lo sa che cosa è vero in un mondo di bugiardi, cantava Marco Masini in una sua nota canzone. 

E davvero oggi non so più a cosa credere, ogni tanto mi sento come nel film Matrix ve lo ricordate? Quel mondo virtuale, dove l'intera umanità vive in una "simulazione onirica" creata ad arte dalle macchine che hanno preso il controllo, forse perchè anche certi personaggi che ci governano, ogni tanto, mi sembrano degli automi senza anima nè cervello. 

Oppure, secondo la teoria de Il Gattopardo "Bisogna cambiare tutto per non cambiare niente", come scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e quindi è tutto programmato?

Sono stata molto indecisa se pubblicare questo post oppure no, tuttavia alle soglie di Halloween questo strano mondo reale che si delinea mi sembra del tutto in tema. 

Voi cosa ne pensate?

 

Fonti immagini: Pixabay 

Fonti testi: Wikipedia (per il film Matrix) 






sabato 23 ottobre 2021

Racconti intorno al fuoco


 

Le storie che ascoltiamo da bambini sono quelle che ricordiamo per tutta la vita.
(Stephen King)

Se c’è un rimpianto che mi assale spesso è quello di non aver parlato abbastanza con mia madre, non ne ho avuto il tempo, ma penso che mi sarebbe piaciuto farmi raccontare da lei la sua vita con i miei occhi di scrittrice, che grande ricchezza sarebbe stata per me. 

Invece mi sono dovuta accontentare dei frammenti di memoria radicati in me, ripescando i suoi racconti lontani nel tempo.

Viviamo distrattamente e, purtroppo, ce ne accorgiamo solo quando è troppo tardi. 


Ripensando un po’ al mio post precedente del black out, mi sono ricordata dei racconti intorno al fuoco della mia infanzia, beh, più che intorno al fuoco erano intorno a un braciere.

Sembra preistoria, ma non tutte le case una volta avevano il riscaldamento. Fino ai miei sei anni abitavo in una casa senza termosifoni, in cucina avevamo però un bel caminetto in un angolo che scaldava abbastanza la stanza, poi c’era la cucina con i fornelli e poi al centro della cucina mia madre metteva un braciere di rame, lo riempiva di carbonella (prendendo la brace dal camino) poi ci appoggiava sopra una specie di tavolino di ferro con le grate, chiamato asciugapanni, su di esso veniva apposto un panno di lana o materiale analogo (non credo fosse ignifugo ma non siamo mai andati a fuoco), poi ci sedevamo intorno ad esso al calduccio e parlavamo del più e del meno. 

Ogni tanto con una una palettina di ferro, mia madre smoveva la carbonella per ravvivare il fuoco che riemergeva luminoso dalla cenere, inoltre aggiungeva una scorza di arancia o di mandarino per profumare l'aria della sala. Ancora oggi quell'odore riesce a riportarmi indietro nel tempo. 


Si finiva sempre per raccontare una storia, quel braciere, di fatto, era la nostra televisione.

La brace era anche un modo per cucinare, ricordo che mia madre metteva della patate o delle castagne sotto la brace e dopo un po’ erano cotte. 

Metteva le patate arrostite in un grande piatto, poi ce le sbucciavamo piano piano e le mangiavamo condite con un po’ di sale, erano buonissime. Era il 1970, un tempo remoto, semplice, dove imperava la povertà, eppure un’epoca di grande fiducia nel futuro in cui tutto sembrava possibile da realizzare.


Ho letto tempo fa in un articolo un concetto che mi ha colpito: la scomodità serve ai ricordi, quello che, nella vita, scorre senza intoppi non lo ricorderai, l’agio è nemico della memoria perché ricordiamo davvero solo ciò per cui abbiamo faticato. 

Questa considerazione mi è tornata in mente ricordando la mancanza di agi della mia infanzia, di tempi in cui certe comodità di oggi erano quasi fantascienza. In realtà non ce ne rendevamo conto, certi oggetti non erano di uso comune ai più (come per esempio la televisione, oppure l’automobile, ma chi ce l’aveva? Erano davvero in pochi a possederle) quindi non era una sofferenza.

A ripensarci oggi non rinuncerei alle mie serate passate intorno al braciere con mia madre, mio padre e le mie sorelle. Nei pomeriggi d’inverno intorno a quel braciere si univa anche mia nonna e qualche zia. Quei racconti hanno permeato la mia infanzia e la mia formazione, alcuni erano racconti dei tempi prima della guerra, la vita dei miei genitori quando erano ragazzi, poi c’erano i racconti del periodo della guerra, quelli a lieto fine, quelli della guerra finita e della rinascita, poi c’erano le storie di paese, d’amore e di amicizia, ogni racconto era ispirato dal momento e dalle nostre richieste di figlie. 

Quelli che preferivo erano i racconti di paura, quasi un preludio di hallowen, ma erano tutte storie vere, per esempio amavo farmi raccontare, da mio padre, la storia di un tale che era andato di notte nel cimitero del paese con degli amici tanto per fare una goliardata e, a un certo punto, mentre tutti gli altri erano usciti lui era rimasto indietro. Mentre correva veloce per raggiungere gli altri, il suo maglione rimase impigliato in un ramo d'albero, lui cominciò a urlare per divincolarsi, convinto che fosse l'anima di un morto che lo tratteneva.

La mattina dopo lo trovarono morto di infarto, con tutti i capelli diventati bianchi, ancora con il maglione impigliato nel ramo. La spiegazione logica era che fosse morto di infarto per la paura, qualcuno però azzardava l'ipotesi che avesse visto un fantasma sul serio...Mia madre, infine, per allentare la tensione concludeva sempre con la voce della sua saggezza: i morti non fanno del male, piuttosto bisogna aver paura dei vivi




Fonti immagini: la foto era in questo articolo Molfetta magazine

 

reperire l'immagine di un braciere dei tempi passati, così come lo ricordavo io, è stato piuttosto difficile, nessun sito free common l'aveva, spero di non violare nessun copyright, nel qual caso la rimuoverò

 

sabato 16 ottobre 2021

Il buio all’improvviso

Amo la luce perché mi mostra la via. Ma amo anche il buio perché mi mostra le stelle.
(Og Mandino)

 

Lo scorso lunedì 4 ottobre, poco prima delle 18.00, all’improvviso ci siamo ritrovati senza Facebook WhatsApp e Instagram perché i server di Facebook sono collassati. Io me ne sono accorta verso le 19,30 quando ho tentato di collegarmi a Facebook e ho visto che non ci riuscivo. Ho pensato a un problema con il mio gestore telefonico, anche se andava google, non mi sono preoccupata troppo. Poi dovevo mandare un messaggio whatsapp a una mia amica, perché dovevamo vederci per una pizza in settimana e lì mi sono accorta che non andava neanche whatsapp, a quel punto ho digitato una domanda su google e ho scoperto che c’era il collasso dei server di Zuckemberg!

Poco male, però ho pensato che non potevo controllare la mia pagina Facebook, proprio quella mattina avevo attivato una promozione per uno dei miei eBook in offerta e non avevo modo di vedere come stava andando... Per me una piccola cosa, ma moltissime aziende non hanno avuto accesso, perdendone completamente il controllo, ai loro account aziendali e relative campagne pubblicitarie.

Questo evento, quindi, mi ha fatto riflettere su come siamo legati a un sistema del tutto esterno che non possiamo controllare in alcun modo.

Il blackout dell’intero ecosistema Facebook ci porta necessariamente a qualche riflessione. Ma in fondo dei social si può fare a meno, almeno per un po’, vero?

Per mandare il messaggio alla mia amica ho usato il vecchio sistema degli SMS che, udite udite, funziona ancora, evviva! E, cosa fantastica, non permette i messaggi vocali, di cui la mia amica fa un vero abuso con grande irritazione della sottoscritta.


Possiamo vivere senza i social, ma non possiamo vivere senza energia elettrica: sicuramente non possiamo lavorare, ormai lavoriamo tutti con un computer e con la rete internet, senza energia elettrica sono davvero poche le cose che si possono fare, mangiare (se non devi cucinare con la piastra elettrica), dormire, rilassarsi e aspettare...

 

È di sabato 9 ottobre la notizia che in Libano c’è stato un blackout totale perché le centrali elettriche del paese sono rimaste senza carburante. Questo evento sembra il preludio di quello che potrebbe accadere anche in altre parti del mondo, restare al buio per mancanza di energia.

Stranamente, proprio quella settimana, stavo leggendo un libro, Il maestro delle ombre di Donato Carrisi, ambientato a Roma, che racconta di un blackout che getta la città nel caos, la storia è abbastanza angosciante, proprio perché non si tratta di eventi improbabili, pensate che sono andata a controllare se avevo in casa una torcia elettrica alternativa a quella del telefonino e anche qualche candela...

Per me che scrivo gialli (o ci provo) c'è tanta materia in questa ipotesi di disastri imminenti, ma al di là di questo, la paura del buio è una paura ancestrale remota e sempre attuale. Restare al buio, senza energia elettrica e senza rete internet è un’idea che fa paura perché dobbiamo rinunciare alle nostre abitudini e alle nostre certezze. 

Certo potrebbe essere anche un’occasione di pace, restiamo sconnessi per un po’ e ci godiamo il tempo sconnesso e il meraviglioso silenzio che ne deriva. E il buio? Beh, accendiamo qualche candela e proviamo a rilassarci. 

Ricordo una canzone di Guccini intitolata proprio “blackout” che inneggiava a questo evento come un fatto liberatorio, un vero momento di libertà dall’oppressione della nostra civiltà.

Insomma, forse è meglio pensare al blackout come Francesco Guccini, pensare che è una canzone scritta quando ancora non c’erano i social, chissà cosa avrebbe cantato oggi! 

Vi lascio con il link di YouTube, per ascoltarla, è una canzone molto allegra, con un pizzico di saggezza gucciniana.






E voi cosa ne pensate? Che tipo di blackout temete di più?



Fonti immagini: Pexel

 

venerdì 8 ottobre 2021

I due volti di Ottobre

Ottobre, il mese dei ricordi, il mese del caldo abbraccio della natura tra il verde dell’erba e il bruno degli alberi. (Stephen Littleword)

Ottobre è un mese piacevole in cui possiamo godere ancora di qualche giorno di sole e le giornate sono belle da vivere, e questo mi piace; purtroppo per me è anche un mese in cui si concentrano delle scadenze pesanti che mi causano ansia: prima di tutto la predisposizione del bilancio di esercizio per l’anno successivo, ciò comporta una serie di operazioni contabili con le relative quadrature che mi fanno scoppiare la testa. Non voglio tediarvi con i miei problemi lavorativi, ma questa incombenza avvolge la mia vita quotidiana in modo abbastanza soffocante. Peraltro ottobre é solo il primo mese di lavoro fitto, segue poi novembre in cui dobbiamo completare il lavoro di rifinitura e poi dicembre in cui sono da chiudere tutti le attività contrattuali. Alcuni anni fa ero riuscita ad avere un incarico diverso in azienda che non mi portava ad occuparmi di bilancio, purtroppo c’erano altre scadenze altrettanto pressanti con altre problematiche, ma nel complesso lo preferivo, poi nel 2017, per problematiche varie ed esigenze nuove sorte nel frattempo, sono tornata a occuparmi di bilanci. Si vede che é il mio destino, del resto avendo una laurea in economia non posso neanche dire che non sia un lavoro in linea con la mia formazione. 

Solo questa settimana ho partecipato (per fortuna on line) a due riunioni al giorno per organizzare le attività del bilancio, incastrando tutte le scadenze, che sono poi sequenziali e per questo ancora più ansiogene. Un giorno c’è stata una riunione fiume di cinque ore senza pausa, le cattive abitudini non sono cambiate neanche con la pandemia...

Nello stesso tempo mi è tornata la voglia di scrivere, forse perchè - per reazione - vorrei sgombrare la mente almeno per parte del week end e buttare giù qualche pagina. Ho voglia di scrivere ma ho la mente vuota, tanto che il 4 ottobre, per Bologna giorno festivo per la festa del Patrono San Petronio, mi ero messa lì a metà mattina e davanti alla pagina bianca mi sono chiesta “è arrivato il blocco dello scrittore anche per me?”

A dire il vero, alla fine, qualcosa ho scritto (poco) e si è perfino affacciata un’idea nella mente, quindi vedremo, conto su Saverio Sorace che scalpita per vivere ancora tra le mie pagine. Sono anche indecisa sul periodo in cui ambientare la storia, visto che siamo ancora immersi nei problemi della pandemia, vorrei staccarmene ma non so come fare, poi la newsletter di uno scrittore che seguo, Riccardo Bruni, mi ha illuminato, lui scrive che comunque un romanzo è “sempre testimonianza di un tempo” e quindi perché non dovrei testimoniare il mio tempo, visto che ho sempre tratto dalla realtà molti dei miei spunti letterari?  

Interrompere la scrittura per diversi mesi mi ha un po’ arrugginita e, in questi giorni, davanti al pc, ho avuto la riprova che l’ispirazione non sia qualcosa che cada dal cielo, ma che vada costruita e stimolata. Per me è così, quindi non mi resta che riprendere e rimettermi lì con pazienza e costanza per riannodare il filo delle mie trame. 

E poi c’era un progetto che era rimasto sospeso per tutta l’estate che, proprio a inizio ottobre, si è sbloccato, però non voglio parlarne per scaramanzia, vi dico solo che è un progetto molto impegnativo e non riguarda la scrittura e che, se tutto va bene, concretizzerò nel 2022. Che ansia.

E voi come vi sentite in questo mese che porta inevitabilmente l’entrata ufficiale nell’autunno?


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