domenica 31 dicembre 2023

Le mie letture 2023

 

Siamo ancora qui, tra parole e mondi, a tessere il filo sottile di ciò che chiamiamo vita. 


Un altro anno è scivolato via ed eccoci qui a fare bilanci sui libri che lo hanno accompagnato. Riflettere sulle letture di quest’anno è, per me, anche un modo di scrutare il tempo trascorso. Cominciamo però dalle letture, ho inserito una piccola variante nella mia lista inserendo a fianco il prezzo pagato oppure l'indicazione della provenienza gratuita da Amazon prime o dalla biblioteca digitale. 

Dopo il mio post Leggere è un lusso in cui facevo delle considerazioni sul prezzo dei libri ho pensato di inserire anche questa informazione accanto al libro, peraltro proprio dopo il post mi sono finalmente decisa a iscrivermi alla biblioteca digitale MLOL, si tratta della libreria digitale dell'Emilia Romagna, questo è il LINK. Da molti anni avevo la tessera della Biblioteca Sala Borsa del Comune di Bologna (che io trovo bellissima, vi lascio il Link), la usavo pochissimo per il prestito di libri cartacei visto che leggo solo eBook, così un sabato mattina che ero in centro sono passata dall'ufficio informazioni e in dieci minuti mi hanno abilitato, una volta a casa ho perfezionato l'iscrizione e poi ho cominciato a cercare degli ebook da leggere. 

Devo dire che è un servizio molto comodo, perché se l'ebook non è disponibile subito puoi prenotarlo e, quando è disponibile, ti arriva una mail e puoi scaricarlo sull’apposita App che devi installare per leggere l'ebook. Diventa anche uno stimolo alla lettura perché hai due settimane di tempo per leggere il libro e questo per me è stata una spinta a leggere più in fretta, nel senso che mi lasciavo distrarre meno dalle serie tv.  A dicembre ho messo il turbo leggendo moltissimo.

Il romanzo che ho amato di più quest’anno é stato L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, questo è stato anche l’anno della morte dell’autore. Un romanzo che mi ha sorpreso per la sua attualità. Sono andata a ripescare la mia recensione su Goodreads:

“Desideravo leggere questo romanzo da tanto tempo e ora ammetto che è un libro che vale la pena di leggere. É un capolavoro che esprime con spietatezza la condanna di ogni dittatura con una scrittura struggente e “leggera” tanto che nonostante la lunghezza le pagine scorrono velocemente. É un romanzo incredibilmente attuale e senza tempo, una riflessione sul senso della vita e sull’umanità intera, sui suoi dolori e sulle sue contraddizioni. Bellissimo.”

Ho scoperto degli autori nuovi, la prima che voglio citare è Grazia Verasani di cui ho letto tutta la serie sull’investigatrice privata Giorgia Cantini, è un’autrice bolognese che scrive molto bene, in realtà la conoscevo già ma quest’anno ho deciso di leggere tutta la serie. Altri autori che ho conosciuto grazie alle blogger Barbara di Webnauta e Sandra de I libri di Sandra sono Paolo Regina che scrive dei gialli ambientati a Ferrara con protagonista il capitano della finanza De Nittis di origini pugliesi e Filippo Venturi, un ristoratore vero bolognese, che scrive dei romanzi tra giallo e commedia ambientati a Bologna con un fantastico oste detective.

Quest’anno ho consapevolmente diradato i post sul blog limitandoli a un paio al mese perché mi ero resa conto che era diventato un impegno un po’ pesante, mi ritrovavo al giovedì sera che non avevo scritto nulla e mi veniva l’ansia. Ho deciso, quindi, che avrei pubblicato meno, un post ogni due settimane sarebbe bastato, del resto per me il blog è ancora un piacere, forse anche per questa gestione più libera, non seguo le statistiche delle visualizzazioni e delle visite, per me il blog è un modo per affacciarmi sul mondo virtuale senza troppe velleità, una specie di diario. Se ogni settimana dovevo “stressarmi” per riuscire a pubblicare entro il fine settimana il blog non era più libero, ma l’ennesimo dovere da rispettare nella mia vita, quindi - anche quando avevo un post quasi pronto - lo posticipavo per avere modo di prepararne un altro con calma. Pensavo di aver rallentato anche con le letture, invece sono arrivata a leggere un numero maggiore di libri rispetto allo scorso anno, anche se non mi pongo degli obiettivi numerici di lettura, ritengo più importante leggere con piacere. Prima di lasciarvi al mio elenco approfitto per farvi gli auguri per il nuovo anno.


LETTURE 2023
Gennaio
1. Cacciatori nelle tenebre di Francesco e Gianrico Carofiglio (Grafic novel) (Apple 5,99)
2. Piadina e squaquerone di Federico Maria Rivalta (Prime gratuito)
3. Quo vadis baby? di Grazia Verasani (Apple 7,99)
Febbraio
4. Stella nera, Il grande domani di Marco Freccero (Apple 3,99)
5. Cambiare le ossa di Barbara Baraldi (Prime gratuito)
Marzo
6. L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera (Apple 6,99)
7. Il pasto dell’ iguana di Federico Maria Rivalta (Amazon 4,99)
Aprile
8. Quelli che uccidono di Angela Marsons (Prime gratuito)
9. Inferno e paradiso chiavi in mano di Federico Maria Rivalta (Amazon 4,99) 
10. Velocemente da nessuna parte di Grazia Verasani (Apple 6,99) 
Maggio
11. Baraka di Riccardo Bruni (Amazon 4,99)
12. Di tutti e di nessuno di Grazia Verasani (Apple 7,99)
13. Il canto degli innocenti di Piergiorgio Pulixi (Apple 7,99)
Giugno
14. Il labirinto dei vizi capitali di Federico Maria Rivalta (Amazon 4,99)
15. Libri che mi hanno rovinato la vita di Daria Bignardi (Apple 8,99)
Luglio
16. Il segreto della casa sul mare di Graziella Scortecci (Amazon 0,99) 
17. Haiku boy: La gita del Club di poesia di Inagheshi (fumetto) (Amazon 2,99)
18. Oggi faccio azzurro di Daria Bignardi (Apple 7,99)
19. Il tortellino muore nel brodo di Filippo Venturi (Apple 9,99)
Agosto
20. Cosa sai della notte di Grazia Verasani (Apple 5,99)
21. Conosci l’estate? di Simona Tanzini (Prime gratuito)
22. Tutto sarà perfetto di Lorenzo Marone (Apple 7,99)
23. Come pioggia sul cellofan di Grazia Verasani (Apple 7,99)
Settembre 
24. Prima di dire addio di Giulia Beyman (Prime gratuito)
25. Il delitto della vedova Ruzzolo di Alessandra Carnevali (Apple 2,99) 
26. Lo strano caso del quadro scomparso di Alessandra Carnevali (Apple 2,99)
Ottobre
27. La sottile arte di fare quello che c**o ti pare di Mark Manson (Apple 5,99)
28. Morte di un antiquario di Paolo Regina (Apple 7,99)
29. Luce dei miei occhi di Giulia Beyman (Amazon 3,99)
Novembre 
30. Un giorno questo dolore ti sarà utile di Peter Cameron (Apple 2,99)
31. L’amore molesto di Elena Ferrante (Emilia digital Library) 
32. L’equazione del cuore di Maurizio De Giovanni (Emilia digital Library) 
33. Undici morti non bastano di Raffaele Malavasi (Apple 2,99)
Dicembre
34. Gli spaghetti alla bolognese non esistono di Filippo Venturi (Emilia digital Library)
35. I segreti non riposano in pace di Luigi Guicciardi (Prime gratuito)
36. Da quanto tempo non piangi Capitano De Nittis di Paolo Regina (Emilia digital Library)
37. Il rosmarino non capisce l’inverno di Matteo Bussola (Emilia digital Library) 
38. Promemoria per il diavolo di Paolo Regina (Emilia digital Library)
39. Bolle di sapone di Marco Malvaldi (Emilia digital Library)
40. Madre d’ossa di Ilaria Tuti (Emilia digital Library)
41. Storie vere di Barbara Businaro (regalo del blog Webnauta)


Fonti immagini: Pixabay 

sabato 16 dicembre 2023

Come si cambia

 

Sii il cambiamento che vorresti vedere avvenire nel mondo. Mahatma Gandhi



Come si cambia per non morire, come si cambia per amore 

Così cantava Fiorella Mannoia nel 1984, l'anno in cui ho gettato le radici a Bologna, tra le vie della mia giovinezza universitaria iniziate nel novembre del 1983. È una canzone che ho sempre amato e in un certo senso la sento molto mia. Sono cambiata anch’io spesso per amore, ma soprattutto sono mutata per non soccombere quando l'amore vacillava o non era abbastanza per salvarmi. Il 2023 è stato il palcoscenico di un certo cambiamento nella mia esistenza o forse dovrei dire nel mio modo di essere, anche se all'esterno impercettibile a molti. 

In realtà non sono stati cambiamenti epocali ma tante piccole cose, partiamo, per esempio, dagli occhiali. Uso le lenti a contatto dal 1982, avevo dovuto mettere gli occhiali da vista un anno prima perché ero diventata miope, nella mia famiglia avevano tutti dieci decimi invece io, che passavo molto tempo sui libri, mi ero accorta di non leggere più bene la lavagna, così ero andata dall’oculista, avevo messo gli occhiali e non mi piacevo. Un anno dopo convinsi mia madre a farmi provare le lenti a contatto e fu così che cominciai a usarle ogni giorno, portavo gli occhiali soltanto in casa al riparo da sguardi indiscreti. 

Quarant’anni di lenti a contatto quindi. Negli ultimi anni ero passata a quelle usa e getta mensili, molto più comode sotto l’aspetto manutentivo. In realtà portavo le lenti senza nessun problema, usavo delle lenti morbide a elevata idrofilia e non mi davano alcun fastidio, tranne la schiavitù di doverle indossare ogni giorno. Poi arrivò l’età in cui cominci a vedere male da vicino, come miope da vicino vedevo benissimo, invece con le lenti a contatto ero costretta a indossare degli occhiali da lettura, soprattutto al lavoro. Dovevo portare sempre con me la soluzione salina per eventuali problemi con le lenti, gli occhiali da lettura per leggere da vicino e gli occhiali da vista nel caso fosse stato necessario togliere le lenti e, in estate, gli occhiali da sole, perché mi dava fastidio la luce. Così, ho pensato che fosse meglio convertirmi del tutto agli occhiali, ma mentre stavo maturando questa decisione è arrivata la pandemia e ho rimandato: la mascherina è davvero scomoda con gli occhiali che si appannano. Dopo la fine della pandemia ho rimandato per mancanza di tempo, dovevo andare dall’ oculista per controllare la vista prima di cambiare occhiali (avevo comunque degli occhiali da vista da portare in casa, non puoi portare le lenti a contatto e rinunciare del tutto agli occhiali, se sei miope devi avere un set di occhiali e di lenti a contatto a disposizione). Quello che mi pesava di più era portare diverse paia di occhiali in vacanza, mi servivano le lenti a contatto e gli occhiali da sole normali, poi gli occhiali da sole graduati per quando andavo in spiaggia dove, ovviamente, non potevo portare le lenti, poi gli occhiali da vista semplici. All’inizio dell’anno cominciai a sentire un po’ di fastidio agli occhi, avvertivo un forte dolore ai bulbi oculari, pensai fosse un problema di stanchezza e anche che fosse giunto il momento di andare dall’ oculista visto che i controlli della medicina del lavoro erano in ritardo, visto per la pandemia era stato rimandato un po’ tutto. Prenotai una visita dal mio oculista che mi prescrisse degli occhiali nuovi, dato che la mia miopia era variata, con l’aumentare dell’età vedevo meglio perché la presbiopia compensava la miopia quindi avevo bisogno di occhiali meno graduati. Scelsi una bella montatura e delle lenti fotocromatiche per non avere problemi con la luce del sole. Nello stesso tempo avevo ancora delle scatole di lenti a contatto usa e getta che contavo di usare, ma ciò non è avvenuto, ad oggi. In realtà una volta provata la comodità degli occhiali ho del tutto lasciato perdere le lenti a contatto, inoltre guardandomi allo specchio mi trovavo più bella con gli occhiali, pensare che a vent’anni non li sopportavo ed ora invece eccomi qui. Nel frattempo i miei dolori oculari non sparivano, e dopo sono essere andata dal più bravo e più caro oculista di Bologna che mi ha rassicurato sulla situazione dei miei occhi, ho risolto il problema con un impacchi e collirio specifico, visto che il mio problema era causato dalla secchezza oculare, sembra sia un problema che sorga con l’uso del computer e con l’età.  

Sempre per il problema agli occhi ho cominciato a non truccarmi più, non che prima facessi chissà quali sedute di make up, mettevo solo la matita e il mascara e l’ho fatto per quasi trent’anni, ma nell’ultimo periodo il trucco mi causava un gran prurito agli occhi (magari era la secchezza oculare oppure era una reazione al collirio) alla fine non potendo truccare gli occhi ho cominciato a mettere solo il rossetto che prima non usavo quasi mai. Ho aumentato invece le sedute dal parrucchiere, una volta ci andavo per fare il colore o il taglio, ma ho cercato di regalarmi la coccola di fare anche solo una piega soprattutto nelle occasioni di qualche uscita serale. Spesso mi sono sentita dire che stavo molto bene, nonostante la mancanza di trucco e gli occhiali, ma la piega dal parrucchiere fa miracoli.

Un altro cambiamento ha riguardato il mio rapporto con la moda, forse dovrei dire il mio rapporto con i vestiti visto che per me seguire la moda è una parola grossa. Ormai sono arrivata alla consapevolezza di voler stare comoda in tutto quello che indosso e ne ho parlato in questo post La nuova moda: l’eleganza dell’ essenziale ormai per me fare shopping é diventato un fastidio a cui ogni tanto vengo trascinata da amiche folli che spendono dei gran soldi per un vestito in più, ma non per questo ho smesso di comprare, diciamo che compro solo quello che davvero mi serve o che desidero.

Nel corso di quest’anno, ho drasticamente ridotto la mia presenza sui social, considerando addirittura l’idea di cancellarmi da Facebook. Ho constatato, sempre di più, che questo mondo virtuale assorbe notevoli energie ed emana influssi negativi. Non che prima scrivessi venti post al giorno, ero sempre abbastanza refrattaria, non avendo neanche il tempo, ma ora mi è venuto proprio il rigetto, avevo parlato della tossicità dei social anche in un post dello scorso marzo Le parole fanno male.

Inoltre è successo spesso che mi arrivassero dei messaggi spam via Messenger sulla mia pagina autrice, una pagina che uso il minimo indispensabile, giusto per qualche promozione dei miei eBook. Nelle promozioni metto sempre il link di Amazon o degli altri store, basta cliccarci sopra. Ciononostante mi ritrovavo dei messaggi di gente che chiedeva informazioni sui miei libri del tipo: ma i libri li spedite a casa? È un eBook lo scarichi come tutti gli eBook, invece se vuoi il cartaceo ti arriva a casa sempre tramite Amazon, ma il cartaceo costa di più e non è in promo. A questi messaggi, comunque, sia pure con qualche perplessità, ho sempre cercato di rispondere con gentilezza, magari era qualcuno che si approcciava agli store per la prima volta…

Poi c’erano i tentativi di phishing: ho un problema con il tuo libro clicca qui. Una volta mi è capitato anche uno stalker che voleva chattare e mi ha scritto, in un giorno, una ventina di messaggi completi di insulti perché non rispondevo finché non l’ho bloccato. Alla fine ho deciso di disabilitare Messenger sulla mia pagina, chi vuole contattarmi può usare la mail che è indicata nella pagina, stop. 

Andando a rileggere la lista dei miei post di quest’anno ho ritrovato il post Tre parole per il 2023 in cui avevo indicato tre parole da usare come faro nel corso dell’anno: ordine, cura e movimento. Riflettendoci mi pare di averle osservate abbastanza, ho fatto parecchio ordine nella mia vita, ho dedicato più tempo ed energie alla cura di me stessa e anche il movimento è stato una presenza costante nel corso dell’anno anche se posso sicuramente fare di più.

È passato l’anno e mi sento bene nella nuova dimensione di me stessa, un cambiamento che posso riassumere nel seguente concetto: voglio stare bene.

Come dice Caparezza: sono tutti in gara e rallento, fino a stare fuori dal tempo. Superare il concetto stesso di superamento mi fa stare bene. 


Cercate anche voi di stare bene e passate un buon natale e delle feste serene.

Fonti immagini: Pixabay 

sabato 2 dicembre 2023

I miei viaggi in treno

 

L’immagine di un vecchio treno dal sito delle Ferrovie dello Stato

C’è stato un tempo in cui viaggiavo spesso in treno, soprattutto ai tempi dell’università quando era anche l’unico mezzo che avevo per tornare in Puglia dai miei. Confesso che ogni volta ero assalita dalla paura di un attentato terroristico perché l’assonanza “stazione di Bologna” e “bomba” era terribilmente inquietante, del resto l’attentato era avvenuto nel 2 agosto 1980 ed io ho iniziato a frequentare l’università a Bologna nel novembre 1983, insomma era passato pochissimo tempo e l’Italia era ancora immersa nell’atmosfera degli anni di piombo. Tanto per ricordarli sono quegli anni compresi tra gli anni 60 e l'inizio degli anni 80 caratterizzati da una serie di eventi di violenza politica e sociale come gli attentati di gruppi armati di estrema sinistra o di estrema destra. Il culmine di questi eventi fu il rapimento e la morte dell'onorevole Aldo Moro nel 1978.

Comunque superato il primo timoroso momento della partenza il mio spirito si sollevava e mi ritrovavo a chiacchierare con i miei compagni di scompartimento. I treni di oggi sono molto diversi da quelli di allora,  prendevo sempre un treno che si chiamava L’Espresso (era il Milano-Lecce oppure il Trieste-Lecce) e che, per il percorso Bologna-Foggia, impiegava ben otto ore (oggi per lo stesso percorso ne servono cinque). La mia fermata era una stazione prossima a quella di Termoli ultimo centro del Molise, ed ero fortunata perché molti pugliesi impiegavano molto più tempo per arrivare a destinazione, la Puglia è una strana regione lunga e stretta di oltre 400 km quindi arrivare a Bari o Brindisi o Lecce era ben diverso che arrivare a Foggia. Le otto ore di viaggio diventano un momento di condivisione con gli altri passeggeri dello scompartimento. Era composto da sei poltroncine strette e si poteva anche chiudere la porta di vetro che dava sul corridoio, luogo in cui stazionavano gli sfortunati che non avevano trovato posto a sedere e che stavano appoggiati alla parete del corridoio oppure seduti sullo “strapuntino” una sedia incassata nella parete che, all'occorrenza, si abbassava per sedersi in corridoio in una situazione di provvisorietà e grande scomodità. Durante il lungo viaggio se si liberava un posto all’interno dello scompartimento perché uno dei passeggeri arrivava a destinazione qualcuno del corridoio guadagnava il passaggio di classe ossia alla poltroncina dello scompartimento. Dopo un inizio di viaggio un po' goffo, durante il quale ognuno fissava davanti a sé in ostinato silenzio, la conversazione cominciava finalmente a scorrere liberamente su argomenti vari e leggeri, insomma si parlava del più e del meno:

Lei dove scende? Davvero? ma sa che anch’io abito ad Ancona, sono andato a trovare mio figlio che vive a Bologna.

Sei una studentessa universitaria? E cosa studi? Scendi a Foggia, ah beata te, io devo arrivare fino a Lecce arriverò stasera alle dieci.

Io ho preso il treno a Milano, eh è un viaggio lungo davvero. 

Era l'era pre-cellulare e quindi comunicavo ai miei genitori che avrei preso il treno da Bologna centrale alle otto del mattino e che sarebbe arrivato alle quattro del pomeriggio circa…l'uso del termine "circa"  era fondamentale perché quel treno accumulava spesso un gran ritardo e poteva arrivare invece che alle 16 anche alle 17. Un'eventualità che, specialmente durante l'inverno, implicava arrivare con il buio della sera invece che con la luce del giorno.

Credo di aver raccontato la mia vita, spesso anche con parecchi dettagli, a molti illustri sconosciuti incontrati in treno. Ho sempre pensato che la comunicazione con persone sconosciute diventi più aperta e spontanea traducendosi in una conversazione più rilassata e senza filtri. L'ho sperimentato di persona nei miei viaggi in treno e ho fatto la stessa esperienza in altri contesti, soprattutto negli incontri con altre persone in vacanza, dove c'è sempre quel senso di libertà. Il fatto è che restare stretti in quello scompartimento era come far parte di una piccola famiglia provvisoria, per la durata del viaggio. La pareti ristrette diventavano una piccola enclave in cui condividere quel tempo forzato, dove non potevamo far altro che respirare quell'atmosfera di attesa, così imparavamo a superare le differenze trovando un equilibrio e un'armonia quasi familiare. 

Forse questa sensazione era dovuta alla vacanza che mi aspettava, in quanto partivo a Natale oppure in estate dopo la sessione estiva, ma nei miei ricordi quei viaggi erano belli.

E poi c’erano i viaggi di ritorno verso Bologna, quasi sempre pervasi da un senso di malinconia, per la vacanza finita, da parte di studenti che come me rientravano per studiare, oppure per coloro che rientravano al lavoro. Quanti incontri in quei viaggi, alcuni sono ricordi vaghi, altri sono piuttosto nitidi. Una volta conobbi una giovane signora di Ancona che si svegliava tutte le mattine alle quattro perché lavorava in un ufficio postale di Bologna, ogni giorno si faceva andata e ritorno in treno perché, mi disse, non voleva lasciare la sua città, ma soprattutto perché aveva un figlio piccolo che andava a scuola e non voleva fargli perdere i suoi punti fermi, visto che si era separata da suo padre da poco. Ovviamente c’era la nonna che si occupava di lui mentre lei lavorava. E poi c’è un ricordo indelebile della fermata del treno alla stazione di Cesena, una piccola città della Romagna, l’unica che non conosco dopo tanti anni che vivo in questa regione. Accanto alla stazione c’era un campo di bocce e, tutte le volte che il treno stazionava in stazione, mi incantavo a osservare il gruppo che giocava a bocce, erano per lo più persone anziane e guardarli mi dava serenità. Ora il mio treno non ferma più a Cesena, tante fermate sono state eliminate per i treni a lungo percorso riservandole solo ai treni regionali, forse un giorno prenderò un regionale e andrò a visitare finalmente Cesena, mi hanno detto tutti che è molto bella. 

Infine qualcosa che solleticava spesso la mia fantasia, credo anche la mia più recente vena scrittoria, erano le scene di vita che mi capitava di osservare dal finestrino del treno, case e strade che intravedevo, le persone sui balconi, le luci nelle case di sera. Mi facevo domande su chi abitasse quelle case, se erano felici oppure tristi, se fosse bello vivere in quei luoghi attraversati velocemente dal treno in corsa.

A pensarci ora sembra una vita fa, oggi i trasporti si sono velocizzati tantissimo, percorsi che un tempo richiedevano quattro o cinque ore si sono ridotti a tre ore o due e mezza, è tutto più efficiente però non sono sicura che sia stato un miglioramento in tutto, per esempio ora i treni li trovo claustrofobici, con quei finestrini sigillati che vanno bene finché non si rompe l'aria condizionata. E poi non ci sono più gli scompartimenti, ora la carrozza del treno è del tutto aperta, come l’interno di un aereo. C’è solo un problema, come l’interno di un aereo non c’è spazio per le valige, sopra il sedile c’è un piccolo scomparto angusto dove puoi infilare un borsone oppure un trolley non troppo grande, quindi occorre viaggiare leggeri. Che dire, non si può avere tutto nella vita, viaggi più velocemente ma con minore ingombro.

Treni moderni dal sito FS Italia 

Mi capita di viaggiare ancora in treno, ogni tanto. Può capitare per lavoro, se proprio non posso esimermi, ma anche per raggiungere la Puglia, quando è più opportuno non usare l’auto. È un’esperienza diversa, si parla molto poco, un po’ perché siamo tutti immersi nei nostri telefonini o nei nostri tablet, un po’ perché manca lo “scompartimento” quel piccolo spazio che favoriva la condivisione e la confidenza. 

Non è nostalgia, ma a volte sento la mancanza di alcuni dettagli suggestivi del passato. O forse è solo il senso inesorabile del tempo che vorrei arrestare, almeno nell’immagine di un ricordo. 




sabato 18 novembre 2023

Volere è potere?

 

Sii selettivo nelle tue battaglie. A volte è meglio avere pace che avere ragione.

Quante volte abbiamo sentito questa frase? Volere è potere. Con la volontà arrivi dappertutto. Pensa positivo. Insegui il tuo sogno con perseveranza. È vero, senza forza di volontà riesci a fare poco, ma non basta solo la forza di volontà. Io sono arrivata a questa conclusione da parecchio tempo, ma era un pensiero che esternavo poco. L’ho toccato con mano nel mio lavoro e nella mia vita personale. Nel lavoro ho lavorato tantissimo per realizzare un’organizzazione efficiente di alcuni servizi, magari me lo chiedevano i grandi capi per rifilarmi un incarico ciofeca che nessuno voleva, non mi sono mai tirata indietro, ma quando raggiungevo l’obiettivo per cui forse potevo raccogliere i frutti del mio lavoro (per esempio una promozione o semplicemente lavorare con più tranquillità) cambiava qualcosa, una legge nuova, nuove esigenze oppure la nuova governarce che riorganizzava gli uffici. É successo diverse volte che quello che avevo realizzato con sudore e sangue venisse smantellato in nome della ennesima riorganizzazione. Negli ultimi 15 anni la mia carriera è rimasta ferma, ma non voglio lamentarmi perché ho una buona posizione, ma mi si chiede sempre di più, ma non solo a me, a tutti i colleghi in generale, solo che io per il mio ruolo di responsabile sono quella su cui grava tutta l’organizzazione e la fatica. Per stare dietro a tutto ormai non faccio più la pausa pranzo, mangio un panino davanti al pc e, sotto scadenze particolari, lavoro nel week end. Insomma la volontà di “fare” non basta, ci sono altri scogli: gli altri, le decisioni che non dipendono da noi, la sfortuna, tipo trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, o semplicemente, la nostra stanchezza che, a un certo punto, ci fa mollare il colpo e dire “chi se ne frega, vada come vada”. Il lavoro è solo un esempio, anche nella vita privata, non é bastata la mia volontà per raggiungere certi obiettivi, certe volte ne ho raggiunti altri che non cercavo, ma quelli a cui tenevo di più sono rimasti incompiuti. Ma è la vita no? A volte bisogna accontentarsi e godere del buono che si ha, perché a ben guardare del buono c’è.

E quindi “Volere non sempre è potere”, soprattutto quando questa frase ci viene detta per costringerci a dare sempre il massimo, in questa società che ci vuole sempre connessi e al top. Ebbene, anche no. C’è stata una pandemia, c’è la guerra in Ucraina, c’è una nuova guerra in medio oriente e chissà tutto questo dove ci porterà, c’è la crisi climatica e la crisi economica, quindi forse è ora di accogliere la nostra fragilità accettandola in modo da vivere meglio.

Così mentre nella mia mente, da tempo, si faceva strada questa consapevolezza ho letto un articolo intitolato “Elogio del passo indietro” di Isabella Fava (DM n. 19 del 4/5/23). In questo articolo si invita a riscoprire la mitezza per affrontare meglio le tempeste della vita, quello che prima era considerato un atteggiamento negativo, non da vincente, diventa un punto di forza che ci consente di sfuggire alla fretta, alle decisioni improvvisate e alla smania di potere e di voler essere sempre i primi. Ci invita alla meditazione, alla ricerca di quello che avviene nella vita interiore nostra e degli altri, ad accogliere le nostre fragilità come espressione di sensibilità e di delicatezza. Un invito a cambiare il passo per essere quello che siamo. “Essere positivi a tutti i costi” non ci aiuta a vivere bene, anzi questa positività diventa una positività tossica. “Volere é potere” è una grande bugia, è la negazione della realtà, perché abbiamo dei limiti e accettarlo può consentire un’esistenza migliore, perché gli slogan che ci vogliono sempre al massimo, a dimostrare di essere i più bravi, in forma, belli pimpanti ed efficienti ci portano al manicomio, ci fanno vivere con una sensazione di inadeguatezza e di malessere. Alleluia, era ora che qualcuno se ne accorgesse, ci voleva la pandemia seguita da un paio di guerre per capirlo. 

Nell’articolo sono citati alcuni libri sull’argomento: Mitezza dello psichiatra Eugenio Borgna, la disciplina dell’imperfezione dello psicologo Giulio costa, Positività tossica - sottotitolo “come liberarsi dalla dittatura del pensiero positivo riconoscere le proprie emozioni e stare meglio” - di Whitney Goodman.

Quindi smettiamola di correre, di vivere senza fermarci mai e senza ascoltare la voce del cuore. La mitezza la gentilezza la tenerezza la timidezza e la delicatezza ci consentono di vivere una vita più serena non divorata dalla conflittualità e dall’aggressività ecco il senso del fare un passo indietro. (Eugenio Borgna). 

Comunque questo non è un invito a buttare la forza di volontà nel cestino della spazzatura, ma semplicemente ad accettare i propri limiti, a non incaponirsi nel raggiungimento di obiettivi irraggiungibili quando tutto questo ci fa soffrire e ci porta alla disperazione. Parlo per la mia esperienza, a volte mi sono imposta grandi sofferenze per obiettivi per cui non valeva la pena incaponirsi, ma io continuavo imperterrita a combattere contro i mulini a vento, quando ho acquisito la consapevolezza di questo e mi sono arresa, sono stata meglio e ho ricominciato a vivere. 

La volontà può fare molto, ma non è tutto e non tutto dipende da noi, a volte è meglio avere pace che avere ragione

Quest’ultima frase sulla pace e sulla ragione mi piace moltissimo, vale per ogni situazione, anche per questi tempi terribili funestati dalle guerre. Soprattutto, però, cerchiamo di capire quali sono i nostri sogni, sono davvero nostri o imposti dall’idea che gli altri hanno di noi? È bene farci anche questa domanda ogni tanto. Succede più spesso di quanto non si creda di voler corrispondere all’idea che qualcun altro ha di noi, può essere un familiare, il padre, la madre, un gruppo di amici o la società in cui viviamo, finché si raggiunge la consapevolezza di voler semplicemente essere se stessi e si capisce che quello che stiamo perseguendo è solo il sogno di qualcun altro. Invece, se il sogno è davvero nostro, combattiamo con tenacia per raggiungerlo ma se, nonostante tutti i nostri sforzi, non dovessimo realizzarlo, beh, forse è il caso di arrendersi e cominciare a vivere anche al di fuori di quel sogno. Che c’è tanta vita ancora da vivere. Potremmo anche accorgerci che quello che abbiamo vicino a noi é tutto quello di cui abbiamo bisogno e che ci rende non dico felici, ma almeno sereni (che poi la serenità può essere un dono prezioso da non sottovalutare). 

E voi cosa ne pensate? Volere è sempre potere o rivendicate il diritto di fallire felicemente e senza sensi di colpa? 

Fonti immagini: Pixabay 

mercoledì 1 novembre 2023

Leggere è un lusso

 

Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra - che già viviamo - e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi. Cesare Pavese.



Gli editori si lamentano del calo dei lettori, nessuno legge più eppure, probabilmente, c’è da farsi delle altre domande, perché forse il nocciolo della questione non è nella mancanza di lettori ma nel contorno. Esaminiamo un po’ le motivazioni che stanno alla base del lettore, di solito chi legge lo fa per diversi motivi, per evadere e avere un momento di svago in solitudine, per sognare una storia d’amore oppure farsi travolgere e intrigare da un giallo, chi legge per informarsi e imparare qualcosa di nuovo al di fuori dei canali ordinari come scuola o università, per il semplice gusto di imparare senza essere giudicati sulla propria preparazione. 

I libri soddisfano il nostro bisogno di immaginazione, ci portano altrove. 

Ho elencato le motivazioni principali che, a fasi alterne, ho avuto io negli anni di lettura pura e intendo con “lettura pura” quella che facevo quando non scrivevo. Questo perché quando scrivi cambia la prospettiva, leggi non più solo per i motivi esposti ma anche per “studiare” le modalità di scrittura, farsi un’idea consapevole di un autore di successo con l’illusione di poterne carpire i segreti, insomma cose così. 

Torniamo al libro e alle sue vicende. Il fatto che la lettura sia un lusso è un pensiero che mi ha sfiorato la mente più volte in questi ultimi mesi, poi c’è anche qualche blogger che fa delle riflessioni interessanti sulla natura del libro come in questo  Post  di Marco Freccero e così ti viene voglia di tornarci sopra. 

Quali sono i lussi della lettura

Tempo: per leggere serve tempo, questo elemento, diventato nel corso degli anni sempre più raro, è molto importante perché quando hai una giornata piena di impegni che sia di lavoro, familiari, e di altro arrivi a sera che l’unica energia che ti rimane è quella di crollare e, talvolta, se ti impegni e apri un libro prima di dormire, ti fermi alla prima pagina per piombare nel mondo di Morfeo. A questo si aggiunge il fatto che il limite tra tempo libero e tempo lavorativo si è sempre più andato restringendo per colpa di questo pazzo mondo che ti vuole sempre connesso, efficiente e pimpante, io non abbocco e fuori dagli orari resto sconnessa ma sembro io quella strana.

Serenità mentale: può capitare di avere tempo, ma non la serenità sufficiente per dedicarsi alla lettura. Mi è successo in alcuni periodi della vita, quando avevo dei “pensieri” più assillanti di altri che mi occupavano la mente, per questo non avevo la piena serenità per dedicarmi a leggere libri. Leggere in fondo è uno stato di grazia che non sempre c’è. 

Prezzo: io leggo prevalentemente eBook per motivi vari, non occupano spazio e mi trovo meglio come modalità di lettura perché ho tutti i libri che voglio leggere sempre con me e ciò mi agevola nella lettura anche prima di dormire, inoltre gli eBook costano meno o meglio dovrei dire “costavano meno” perché negli ultimi tempi gli eBook di autori più famosi arrivano a costare anche 12 o 13 euro per non parlare di alcuni autori come Ken Follet il cui eBook costa ben 16 euro. Io ho sempre comprato eBook fino a 10 euro oltre mi sembra esagerato, per principio se un eBook costa più di dieci euro non lo compro e magari aspetto le offerte, è con le offerte che ho letto molti romanzi di Donato Carrisi o di Ilaria Tuti. Purtroppo però alcune case editrici non fanno quasi mai delle promozioni, così ho quasi smesso di leggere autori che amavo come Maurizio De Giovanni ed Elena Ferrante. Tuttavia nella ricerca di prezzi più abbordabili ho scoperto autori meno famosi ma molto bravi, tanto che ho letto quasi di seguito tutti i loro romanzi; una di questi é Grazia Verasani (con prezzi degli ebook che non vanno mai oltre gli otto euro) di cui ho letto tutta la serie sull’ investigatrice Giorgia Cantini, pubblicata da Marsilio editore, da cui è stata tratta anche una serie tv. É un’autrice che scrive davvero bene e che mi piace molto, tanto che esauriti i libri della serie sto pensando di leggere anche gli altri suoi romanzi. 

Ci sono però delle soluzioni per chi vuole leggere risparmiando.

Prestito bibliotecario: ovviamente prendere i libri cartacei in prestito in biblioteca é un ottimo modo per leggere senza spendere soldi, per chi non ha le mie fisse con gli eBook va benissimo. Per anni ho letto moltissimi libri tramite la biblioteca comunale del mio paesello, ai tempi in cui il libro era solo di carta. Mi piaceva anche scoprire le annotazioni a matita di qualche lettore che li aveva letti prima di me, era come sbirciare nelle vite degli altri. Tra l’altro oggi le biblioteche si sono modernizzate e presentano una vasta scelta anche di libri molto recenti. 

Scaricare ebook gratuitamente: a volte me ne dimentico, ma spesso ci sono degli eBook interessanti da scaricare, bisogna però fare una piccola cernita tra quelli disponibili, ma se volete andare sul sicuro potete puntare sui classici, spesso sono gratis, su Apple per esempio ho trovato dei racconti di Dostoevsky, Canne al vento di Grazia Deledda letto anni fa che vorrei rileggere e tempo fa avevo scaricato e riletto La coscienza di Zeno di Italo Svevo. I classici in eBook - anche quando non sono gratis - possono comunque costare molto poco, talvolta meno di un euro. Infine per chi è abbonato ad Amazon prime, come me, c’è la possibilità di scaricare gratis diversi eBook, anche se in realtà si tratta di un prestito come quello delle biblioteche, c’è un numero di eBook oltre il quale non si può andare, per prendere nuovi eBook in prestito occorre restituirne qualcuno. Con Prime ho letto diversi romanzi e ho scoperto anche bravi autori che prima ho letto con questa formula gratuita e poi ho continuato a leggere comprandoli, sono autori meno noti con prezzi eBook moderati tra i 3 e i 6 euro.

In questi giorni mi piacerebbe rileggere Pavese, poi però mi accorgo che ci sono ancora tanti libri che vorrei leggere, per esempio qualcosa di Calvino oppure Baricco. Poi ci sono alcuni classici che mi dico: “devi assolutamente leggerli” ma poi c’è il tempo, il primo lusso che non ho, quindi pazienza lo farò se potrò, in fondo la lettura possiede in sé un altro fantastico lusso, é libera. 

E voi cosa ne pensate, come vivete la lettura?


Fonti immagini: la foto è mia, è una sala della bellissima Biblioteca universitaria di Bologna 

venerdì 20 ottobre 2023

Anna mia

 

Molte persone entreranno e usciranno dalla tua vita, ma soltanto le vere amiche lasceranno impronte nel tuo cuore. (Eleanor Roosevelt)


Anna, Anna mia, Anna come l’allegria, Anna come un fiume quando è in piena, Anna come questa cantilena, Anna come il pane a cena…

È strano come la musica riaccenda i ricordi, è bastata questa canzone passata alla radio per scatenare una catena di emozioni perché i versi della canzone di Mimmo Cavallo sono l’immagine perfetta della mia vecchia amica Anna, una ragazza che conobbi all’inizio del secondo anno di università e con la quale cominciò un’amicizia che pensavo indissolubile

Anna era davvero una forza della natura, sempre in attività con qualche progetto nuovo, sempre positiva e ben disposta verso gli altri, un’esplosione di energia travolgente, un fiume in piena, come dice il ritornello della canzone, spesso le cantavo proprio questi versi e lei ogni volta scoppiava a ridere e mi diceva stupita tutte le volte: ma sai che hai una bella voce, sei molto intonata! Potresti fare la cantante. 

La incontrai davanti alla facoltà di Economia e non ricordo se fui io oppure lei a chiedere un’informazione su un corso di studi comune, ricordo che parlammo per circa mezz’ora e in quella mezz’ora davanti alla facoltà passarono alcune amiche che la salutarono e lei mi presentò come una sua nuova amica. Questa cosa a me sembrava incredibile, ma come, ci eravamo appena conosciute ed eravamo già amiche? Pensai che fosse un po’ eccentrica, ma Anna era così, aveva già deciso di adottarmi, mi chiese il numero di telefono e poi mi chiamò per invitarmi a uscire con il suo gruppo di amici bolognesi. Cominciammo a frequentarci a lezione in facoltà, ma anche fuori facoltà, ci trovavamo per studiare insieme in biblioteca oppure a casa sua, solo noi due ma anche con altri compagni di corso e quando non riuscivano a vederci ci sentivamo almeno per telefono per un saluto. 

Ho frequentato la sua compagnia per tutto il periodo dell’Università e poi anche dopo perché in quel gruppo conobbi il ragazzo con cui fui fidanzata (lo so è un termine antico ma mi viene così) per tre intensi anni. E quando la nostra storia finì fu sempre Anna che mi portò fuori tutte le sere per farmi dimenticare il dolore della fine di un amore. 

Si trattava di un gruppo di amici eterogeneo nel senso che la maggior parte di loro lavorava mentre io, Anna e altre tre amiche frequentavano insieme la facoltà di economia. Uscivamo insieme almeno due volte a settimana, di solito il giovedì e il sabato sera. Ogni tanto una nostra amica che aveva la casa in campagna organizzava una domenica all’aperto con tutto il gruppo ed era sempre una grande festa. Anna aveva un ragazzo che chiamerò Emilio con un nome di fantasia ed era il suo grande amore, ma la loro storia era un’altalena di alti e bassi e non per colpa di Emilio che era innamoratissimo di lei. Anche Anna era innamorata follemente di Emilio, ma forse non corrispondeva al ragazzo ideale che i suoi genitori avevano pensato per lei, perché Emilio non era laureato e faceva un lavoro modesto. Che poi non ho mai capito se fossero i suoi genitori a pretendere per lei un certo tipo di ragazzo oppure se fosse Anna ad avere questa idea fissa nella sua testa, perché i suoi li ho conosciuti e non mi hanno dato l’impressione di essere così legati alla forma. Enrico cambiò lavoro più volte, più per accontentare Anna che per una sua reale esigenza e forse alla fine lei fu contenta, ma qualcosa tra loro si incrinò e la loro storia finì, e so che non fu solo per la questione lavorativa. Emilio era un gran bel ragazzo, ma soprattutto era una persona di sani principi e con il gusto semplice della vita. Anna invece, a dispetto della sua apparente solarità, era una persona complicata, piena di paure e contraddizioni, che amava Emilio e - probabilmente - lo amava incondizionatamente, ma lo ha capito solo quando lo ha perso per sempre. 

Anna era di Forlì, ma era una studentessa fuori sede di lusso, infatti aveva una bellissima casa a Bologna, comprata apposta da suo padre e finemente ristrutturata, in cui avrebbe potuto vivere tranquillamente senza problemi. Una casa vissuta bene nel periodo universitario, quando passavamo le ore a studiare per preparare un esame insieme oppure quando diventava il punto di ritrovo per gli amici della compagnia. Dopo Emilio ci furono un paio di storie finite presto, finché Anna si fidanzò con un ragazzo di Forlì che era agli antipodi di Emilio, di buona famiglia, figlio di professori universitari, molto serio e dal carattere chiuso, diventato lui stesso professore universitario, forse perfetto per le aspettative del padre di Anna. Lei asseriva di amarlo alla follia ma gli occhi non le brillavano come quando mi parlava di Emilio, e anche lui - per il poco tempo che l’ho conosciuto - non mi sembrava particolarmente preso, ma forse era solo una persona molto riservata. 

E oggi ripenso a lei, ai suoi occhi azzurri e quel suo sorriso aperto e pieno di vita, quel suo modo di accogliere sempre tutti, quella sua solarità e quel suo entusiasmo, ma soprattutto ricordo l’affetto che aveva per me e la nostra amicizia. Per circa sette anni siamo state quasi inseparabili poi tutto é cambiato, Anna è cambiata, forse avvenne dopo la fine della storia con Emilio, in modo all’inizio quasi impercettibile, ma piano piano si é allontanata da tutti. Dopo la laurea ha iniziato a lavorare presso una grande azienda di Bologna e, pur avendo una casa di proprietà a Bologna, preferiva fare la pendolare e tornare a casa dei suoi ogni sera dopo il lavoro. Mi spiegò che sua madre una volta era stata male e non se la sentiva di passare la notte lontana dai suoi. 

Per circa un anno ci sentimmo tutte le sere per telefono e mi raccontava la sua giornata lavorativa, i suoi pensieri, i suoi desideri e progetti, ogni tanto traspariva nei suoi discorsi, senza ammetterlo mai chiaramente, il suo rimpianto per Emilio. Tuttavia ogni volta che le proponevo di vederci di persona, fosse solo per un aperitivo veloce subito dopo il lavoro, declinava l’invito perché doveva correre a prendere il treno. “Potresti fermarti a Bologna almeno una sera ogni tanto, magari organizziamo l’uscita anche con le altre ragazze” le proponevo, ma niente, per Anna era diventato impossibile fermarsi a Bologna oltre il tempo del lavoro. 

Con il vecchio gruppo di amici, per qualche anno ci siamo un po’ persi di vista, ma oggi vedo ancora con regolarità le amiche di allora e spesso ci ritroviamo tutti insieme nella stessa casa di campagna per fare una grigliata all’aperto assieme al resto del gruppo con i rispettivi consorti, compagni, fidanzati e figli, in una specie di grande compagnia allargata. Ho rivisto anche Emilio, per lui il tempo non sembra essere passato, ha solo qualche capello grigio ed è sempre bello come allora, ha una moglie e due figli ormai grandi e mi sembra felice. Ogni tanto chiedo di Anna alla mia amica che lavora nella stessa azienda ma anche lei fa fatica a vederla, capita in una grande azienda di non incontrarsi mai.

L’ultima volta che ho incontrato Anna di persona è stato per un caso fortuito, era l’inizio della primavera di non so quale anno ed ero a Milano Marittima a fare una passeggiata con colui che una volta era mio marito, lei era assieme al fidanzato perfetto che non ha mai sposato, ci salutammo con un abbraccio affettuoso, parlando per dieci minuti del più e del meno e poi ci facemmo una vaga promessa di risentirci presto, pur sapendo di mentire.

E oggi ascoltando le parole di questa canzone ripenso a lei e mi dico che, se è vera la frase di Eleanor Roosevelt, anche se non ci vediamo più, Anna ha comunque lasciato un’impronta nel mio cuore, e anche nella mia vita, in tutte le persone che sono ancora intorno a me.








sabato 7 ottobre 2023

L’importanza della sintesi

 

La sintesi è usare più verità del necessario e meno parole del dovuto. (Fabrizio Caramagna)


In questi ultimi mesi ho rallentato molto le letture dei libri, é stato un processo inconsapevole ma inesorabile, un po’ per la mia cronica mancanza di tempo libero, ma anche per una motivazione ben precisa, guardo di più le serie su Prime e NOW. Visto che un giorno é sempre composto da 24 ore nel corso delle quali lavoro, mangio, faccio i lavori di casa, magari la spesa e ogni tanto dormo, alla fine della giornata dopo aver fatto tutto quello che il dovere mi chiama a fare resta quella mezz’ora prima di dormire che decido di utilizzare per liberarmi la mente e quindi scelgo di leggere oppure di guardare qualcosa sul tablet.

Se sto leggendo un libro che mi prende scelgo il libro, ma è capitato spesso di scegliere una serie e come la scelgo? In base alla durata - certo anche in base al tema - ma se mi piace l’argomento il mio fattore di scelta è il tempo, se l’episodio di una serie dura più di un’ora lascio perdere, scelgo quasi sempre quelle che durano tra i 45 e 55 minuti. Succede lo stesso per i video su YouTube, devono durare meno di venti minuti altrimenti lascio perdere, il tempo ideale sarebbe un quarto d’ora, ma dipende dagli argomenti, non tutti possono essere trattati in breve tempo. Insomma preferisco guardare delle “pillole” di qualsiasi argomento, perché so che posso arrivare fino alla fine, se un video è troppo lungo non lo inizio neanche.  Forse per altri non è così, forse è un problema solo mio, ma io preferisco la sintesi. So che non è facile riassumere certi argomenti in uno slot di tempo limitato, ma proprio qui sta la bravura di chi vuole catturare l’attenzione, puntare sui concetti essenziali ed evidenziarli subito nelle prime immagini

Confesso che ho sempre avuto difficoltà a esporre concetti sintetici, più l’argomento trattato è complesso, più è difficile sintetizzare, però si può fare, con il tempo ho imparato a scrivere mail di lavoro che vadano subito al punto e detesto quelli che scrivono fiumi di parole senza dire nulla oppure sfumando il concetto importante in una frase nel contesto del discorso che non fa capire nulla, così come quelli che in una comunicazione con un oggetto specifico inseriscono altri argomenti su cui si apre una discussione infinita che non c’entra nulla con l’oggetto della prima mail. Così ti ritrovi in una “conversazione” con oggetto “bilancio” in cui si parla di organizzazione del lavoro e delle questioni di lana caprina di qualche collega, tanto per fare un esempio. Ora non sarebbe grave se stessimo al bar a parlare del più e del meno, ma nelle mail o nelle riunioni lavorative questo comportamento fa solo perdere tempo e non risolve il problema, perché se parli di organizzazione del lavoro al responsabile del bilancio stai parlando all’interlocutore sbagliato che non potrà risolvere la questione che ti sta a cuore. Tanto vale prenderne atto e non far perdere tempo agli altri che più che darti una pacca sulla spalla non possono fare. 

Ma la prolissità impera e dilaga, esistono per esempio quelle persone che se tu chiedi “come va?” per mera gentilezza, ti raccontano la storia della loro vita e magari ti fanno la lista delle loro sfortune (asserendo che non c’è nessuno che soffre più di loro) oppure coloro che per raccontarti una cosa partono dalle origini con dovizia di particolari e magari te lo hanno già raccontato più volte “ti ho già detto di quella volta che?” “sì certo almeno venti volte” “ah bene, ma adesso ti spiego meglio”. 

Ora, non è che stia dando i numeri, è solo che in questo momento della mia vita non ho più troppa voglia di perdere tempo, soprattutto nel tempo libero ho bisogno di scegliere bene le cose a cui dedicare il tempo, quindi il criterio della “brevità” mi sembra appropriato. Anche per questo mi sto disaffezionando alla tv (che resta sempre un ottimo rimedio all’insonnia) soprattutto perché i programmi serali cominciano sempre troppo tardi, nel frattempo ti propinano cose che non hai voglia di vedere, oppure argomenti interessanti ma di cui faresti a meno in quel momento perché sai che quando arriverà finalmente la fiction che stavi aspettando crollerai nel mondo di Morfeo. Sempre più spesso decido di spegnere la tv alle 20,30 e guardarmi un film oppure la fiction che ho perso dormendo, direttamente sull’iPad; non posso più perdere tempo con intermezzi non desiderati. Insomma ho sposato la tesi di Jep Gambardella de La grande bellezza, di quel film questo è il punto che mi è rimasto impresso (anche se non ho ancora 65 anni)…


E voi cosa ne pensate? State seguendo qualche serie che duri meno di un’ora?

mercoledì 27 settembre 2023

Non è un paese per figli

 

I figli sono come gli aquiloni: insegnerai loro a volare ma non voleranno il tuo volo. Madre Teresa di Calcutta

Ogni volta che ascolto il telegiornale e parlano della crisi della natalità in Italia mi innervosisco e faccio questa considerazione “l’Italia non è un paese per figli”, parafrasando il famoso film dei fratelli Coen. Se vogliamo che nascano più bambini bisogna creare i presupposti perché ciò avvenga e precisamente delle politiche baby friendly. Vediamo cosa viene fatto negli altri paesi occidentali.

In Norvegia a mamme e papà hanno quasi un anno di congedo con ben 46 settimane retribuite da dividersi, in Svezia i mesi congedo obbligatorio sono due, in Finlandia madre e padre sono interscambiabili e possono usufruire di 160 giorni di cui 63 trasferibili all’uno all’altro secondo le necessità, ma questi sono i paesi del grande ed efficiente nord Europa. Scendiamo più in basso e vediamo gli altri, al primo posto c’è la Spagna che prevede 16 settimane di congedo per entrambi i genitori (sei obbligatori e dieci facoltative) seguono la Germania con 12 mesi di congedo parentale per la mamma a cui si aggiungono due del papà, invece la Francia arriva a 28 giorni di congedo di paternità. In fondo c’è l’Italia con 10 giorni obbligatori di congedo di paternità, conquista piuttosto recente, ci sono poi dieci mesi facoltativi fino ai 12 anni di vita del bambino da dividere tra i genitori. 

In realtà oltre ai numeri esposti servono delle infrastrutture (per esempio asili nido e scuole materne con orari flessibili, magari aziendali) che supportino i genitori, entrambi i genitori, perché non può ricadere tutto il peso sulle spalle delle donne, capita infatti che molti padri non usufruiscano del congedo di paternità facoltativo e questo in Italia avviene per un fatto soprattutto culturale, oppure accade per questioni economiche visto che il congedo viene pagato al 30 per cento. 

In una società dove i nonni vanno in pensione sempre più tardi e i giovani hanno lavori sempre più precari e sottopagati come è possibile che si abbia la possibilità di mettere al mondo dei figli? lo fanno solo quelle coppie che hanno un minimo le spalle coperte a livello familiare ed economico, e anche in questo caso sono dei coraggiosi. Inoltre oggi abbiamo un nuovo scoglio, in questa “nuova Italia” i figli possono nascere solo in “famiglie tradizionali” mentre le famiglie monogenitoriali non esistono, questi bambini sono stati cancellati dall’anagrafe, mentre in tutta l’Europa si fanno leggi che riconoscono i diritti di tutti in Italia si torna indietro. Però non esistere all’anagrafe significa non avere un’identità che è quella che consente l’accesso all’istruzione, alle cure mediche e ad altri diritti fondamentali. 

E poi parliamo dei bambini che purtroppo nascono con dei problemi, esistono anche loro, una mia amica ha lasciato il lavoro per poter seguire il figlio disabile, vivono con lo stipendio del marito e con il supporto anche economico della famiglia di origine. In un paese in cui si parla tanto di diritto alla vita, con oltre il sessanta per cento di medici obiettori, in cui ci si riempie la bocca con belle parole sulla sacralità della vita, se hai la disgrazia di avere un figlio con dei problemi sono solo fatti tuoi, lo stato non da nessun supporto, spesso questo arriva da associazioni di volontariato che si autofinanziano. Non in tutte le regioni è così ma il supporto è comunque carente anche quando c’è. In un mondo che corre sempre più a discapito di tutto, in cui si pretende l’efficienza a tutti i costi, gestire i figli può diventare un’impresa da supereroi, soprattutto per le donne che si sobbarcano il carico maggiore per diritto di nascita o di genere.

E poi c’è qualcosa di cui spesso ci si dimentica, i figli hanno bisogno di tempo, il tempo dei genitori che devono passarlo con loro a giocare, parlare, crescere insieme. Insomma devi essere presente. In un mondo sempre più fagocitante di tempo non è piccola cosa. Un bambino nei primi anni di vita assorbe tutto e sviluppa la sua personalità dandogli un’impronta quasi definitiva, i primi tre anni di vita sono fondamentali, anche se non sono da meno quelli successivi per una crescita equilibrata. 

Ho trovato in rete un articolo del 2018, guarda caso con lo stesso titolo del mio post, di Alessandro D’avenia che parla del tempo vi lascio il link dell’Articolo, è rivolto soprattutto agli adolescenti, spesso “troppo pieni di oggetti ma carenti di progetti”. 

Infine finora abbiamo parlato di un mondo ideale dove i genitori hanno un lavoro normale e pagato equamente, ma ci sono situazioni al limite della sopravvivenza che non permettono certamente una corretta gestione dei figli, ci sono dei settori come quello dell’agricoltura che impiega, secondo l’istat 233000 donne, dove impera il lavoro nero (circa 57.000 lavoratrici in nero sottopagate e sfruttate secondo una ricerca di Action Aid) a queste lavoratrici in nero il caporalato offre pacchetti all inclusive - lavoro, alloggi, trasporti e asilo, con asili nido irregolari dove le lavoratrici possono lasciare i bambini già alle tre di notte, perché alle quattro devono essere in campagna a lavorare, fino al loro rientro alle cinque del pomeriggio. Ovviamente in questi asili nidi in nero il personale é improvvisato e può non essere qualificato e quindi sicuro. Ma dove lo stato latita entra l’organizzazione criminale, il caporalato in questi casi. (Dati da un articolo di donna moderna n. 31 del 27/7/23 di Marta Bonini sulle schiave del mondo moderno). Siamo tutti maestri nel giudicare ma ci voltiamo dall’altra parte per non guardare in faccia certe realtà. Saliamo sul pulpito per condannare invece di provare a capire mettendoci nei panni degli altri. 

Ho scritto questo post un po’ di getto, un po’ meditato, ma vorrei concludere con alcune considerazioni del tutto personali, i bambini, a volte ce lo dimentichiamo, sono delle persone, già del tutto dotate di personalità fin dai primi anni di vita, lo so bene, un po’ perché mi ricordo come ero io, ma anche perché ho visto crescere alcuni bambini a me molto vicini, figli di amiche e amici, nipoti e ora i piccoli di mia nipote. Credo che sia importante ricordarsene, un bambino nasce già come essere pensante, è soltanto più indifeso, per questo va protetto sempre.

Sono davvero curiosa di conoscere il vostro pensiero in proposito. 


Fonti immagini: pexels

venerdì 25 agosto 2023

Un biglietto dal passato


Ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria e di cui gli amici possono leggere solo il titolo. Virginia Woolf

Ogni tanto faccio pulizia nei miei libri, scelgo dei romanzi dalla mia libreria che ho già letto e che non rileggerò e li metto da parte per portarli nelle casette dei libri, ce n’è una nel parco adiacente il parcheggio aziendale e ogni tanto li porto lì, non riesco a fare lo stesso per i libri cosiddetti “scolastici”, ho diversi libri del periodo universitario oppure più recenti, comprati per un corso di aggiornamento sul lavoro oppure per altri motivi che sono nella mia libreria da un tempo infinito. Qualche giorno fa passando dalla zona universitaria ho visto un banchetto per book crossing contenente libri universitari, manuali di diritto o di economia, di inglese e quant’altro, così mi è venuta l’idea di portare alcuni miei libri. Ho cominciato così a cercare tra i miei libri quelli di cui liberarmi, in realtà quasi sempre finisco per spolverarli e rimetterli a posto, perché poi vengo presa dalla nostalgia e rimando il distacco, ma stavolta ne ho trovato tre, così ho controllato che all’interno non ci fossero fogli o documenti personali, con nomi o altri dati sensibili ed é saltato fuori dal libro di Diritto Pubblico un biglietto scritto a mano:

Ciao sto per partire ci vediamo verso il 13 circa. Ho lasciato il mio numero di telefono a Letizia. Se c’è qualche cosa di importante fatemi sapere.(Naturalmente la chiamata sarà a carico del destinatario.)

A presto Roberta.

PS cerca di stare tranquilla. Svagati un po’. 


Ho cercato di mettere a fuoco quel momento, per un attimo ho avuto il vuoto nella mente, non capivo chi potesse aver scritto quel biglietto poi, subito dopo, ho ricordato chi fosse la Roberta del biglietto. E mi sono ricordata la sua storia. Mi ha fatto tenerezza quel moto di affetto con cui mi raccomandava di stare tranquilla e svagarmi un po’, oggi Roberta non mi avrebbe scritto un biglietto di carta ma avrebbe scritto un messaggio su whatsapp che si sarebbe perso nei meandri degli altri infiniti messaggi persi sui nostri cellulari. Invece a distanza di trent’anni ecco la sua vita spuntare fuori da un libro, chissà perché quel biglietto è rimasto al suo interno tanti anni, chissà il 13 di quale mese era, non posso ricordarlo, molto probabilmente era il 1989, questa é quasi una certezza. Mi sono laureata nel giugno del 1988 e dopo aver abitato i successivi mesi estivi in un monolocale fatiscente con una mia amica altoatesina che però aveva passato tutto il tempo a lavorare in un pub a Londra per perfezionare il suo inglese, tra ottobre e novembre sono approdata in un appartamento del centro, si era liberato un posto letto e una mia amica - ex compagna di università - che abitava nell’appartamento al piano di sopra me lo segnalò ed io afferrai l’occasione al volo. 

Ho abitato lì poco meno di un anno eppure nel ricordo sembra un tempo molto più lungo, forse perché ho incontrato più vite in quei pochi mesi che in tutti gli anni successivi. Ma cominciamo dall’inizio, l’appartamento era un piccolo gioiello al secondo piano di una palazzina del centro, dietro piazza Galileo, la piazza della questura di Bologna, ogni mattina per andare al lavoro attraversavo piazza Galileo e subito dopo piazza Maggiore, non avevo mai abitato così in centro, perché piazza Maggiore é proprio il cuore di Bologna e passare da quella piazza ogni mattina era davvero fantastico. Abitare in centro è bellissimo, certo non ti deve servire la macchina, oppure devi avere un garage, ma ovviamente avere un appartamento in pieno centro con un garage comporta una disponibilità economica notevole. Già all’epoca il centro era chiuso al traffico, l’entrata in auto era permessa solo ai residenti o alle persone che ci lavoravano e avevano uno studio, un ufficio o un negozio, anche se non era ancora blindato come adesso con le telecamere ai varchi di accesso. La maggior parte della gente comune si spostava in autobus o a piedi, il centro di Bologna lo giri benissimo a piedi, con piedi buoni e scarpe comode. Anche adesso camminare per il centro di Bologna è una piacevole parentesi in cui mi piace perdermi, soprattutto per i vicoli meno frequentati e sconosciuti. 

Il mio appartamento era affittato a sei persone, c’erano due camere doppie e due camere singole con doppi servizi, noi per comodità ci eravamo divisi l’uso dei due bagni in base alla vicinanza alla camera, anche per semplicità nel turno di pulizia. Io dividevo la camera con Roberta, la ragazza del biglietto. Eravamo in sei, io e Roberta, Letizia e Milena, nella camera accanto alla nostra. Le camere singole erano occupate da Linda che stava preparando la tesi e Alberto che era un ricercatore universitario, io proprio in quei mesi avevo iniziato a lavorare, tutti gli altri erano ancora studenti universitari, all’ultimo anno o laureandi. Tutti in una stagione di transizione della nostra vita. 

In quel breve periodo di tempo avevo legato soprattutto con Milena con cui avevo trovato una sintonia incredibile e poi con Roberta che era una persona un po’ folle, sempre allegra e sconclusionata, passava davvero poco tempo a Bologna e soprattutto a studiare, la maggior parte del tempo andava a Padova a trovare il suo ragazzo che non ho mai conosciuto. Anch’io spesso passavo il week end fuori a casa del mio ragazzo che abitava con i genitori in un paese limitrofo collinare della provincia di Bologna e che tutte le volte che mi veniva a prendere (dopo le 20 perché di giorno in centro non si entrava in auto) si lamentava del fatto che abitassi in centro e sosteneva che era assurdo e dovevo cambiare casa prima o poi. A me però quella situazione non dispiaceva affatto, pensavo che, in fondo, ci sarebbe stato tutto il tempo per decidere quando e se cambiare casa, ma come sempre il destino decide prima e la necessità di traslocare arrivò all’improvviso.

Quando mi affacciavo alla finestra della grande sala potevo ammirare i tetti rossi di Bologna e sbirciare le vite che si svolgevano sui piccoli terrazzi tra i tetti (Bologna viene chiamata la rossa proprio per il colore dei tetti e non come pensa qualcuno per il colore politico). 

Abitare in centro, soprattutto in una città come Bologna che vive molto anche di notte, ha tutto un altro sapore. Tante volte io e Milena, dopo aver cercato invano un programma decente in tv, abbiamo optato per una passeggiata in piazza maggiore, e lì la prospettiva cambiava subito, potevi sederti a un tavolino di uno dei bar della piazza, oppure prendere un gelato e andarlo a mangiare seduti sulle scale di San Petronio e potevi fare tardi senza preoccuparti troppo degli orari degli autobus o della necessità di prendere un taxi, tanto eravamo lì a due passi. Quando abiti fuori dal centro ogni uscita va un minimo programmata, soprattutto se è proprio il centro la tua meta, perché devi fare i conti con la ricerca del parcheggio se sei in auto oppure con la necessità di prendere un taxi (che forse la spesa é la stessa, visti i prezzi dei parcheggi sempre più alti). Abitare in centro vuol dire vivere davvero la città e questo l’ho capito bene in quel periodo. Certo ci sono i pro (vivere bene la città) e i contro (il costo molto alto delle case soprattutto se hai la necessità di avere un garage perché, magari, il lavoro ti porta fuori città).

Ricordo abbastanza bene tutti i miei coinquilini, nelle sere d’inverno non guadavamo la tv ma passavamo il tempo a parlare del più e del meno oppure dei nostri progetti per il futuro, spesso facevamo il “gioco del vocabolario”: uno di noi - a turno- sceglieva una “parola incomprensibile” dal vocabolario e poi scriveva su un foglio la definizione vera, poi diceva ad alta voce la parola scelta e ognuno doveva inventare la definizione scrivendola su un foglietto in stampatello, dopo aver mescolato i fogli si estraeva a caso e si doveva indovinare la definizione corretta. Sembra incredibile ma quasi nessuno indovinava o conosceva la vera definizione, la lingua italiana è davvero variegata e ricca. Nel corso di quel gioco riuscivamo a scatenare la fantasia con definizioni spesso molto originali che magari erano le più votate, e a farci un sacco di risate insieme. 

Alla fine la mia permanenza in quell’appartamento è durata meno di un anno, il proprietario è morto all’improvviso e il figlio, unico erede, ci ha chiesto di cercare un’altra sistemazione perché voleva affidare gli appartamenti a un’agenzia per affittare possibilmente uso ufficio, spiegandoci che lui non aveva il tempo, avendo un lavoro impegnativo,  di gestire la formula di affitti agli studenti. Preso atto della richiesta cercai un’altra sistemazione anche perché avevo trovato un nuovo lavoro fuori dal centro e avevo la necessità di muovermi in auto.

Come detto sopra la ragazza con cui avevo legato di più era Milena, credo fosse la più affine a me come carattere, inoltre era bravissima a disegnare, infatti si era appena diplomata all’accademia delle belle arti di Bologna (per inseguire il suo sogno di fare la fumettista) e nel frattempo stava ultimando la laurea in filosofia (per accontentare i genitori e darsi una seconda chance lavorativa). I suoi abitavano a Milano e credo che alla fine non abbia cercato un nuovo appartamento ma abbia deciso di accettare un’offerta di lavoro come illustratrice di una casa editrice che pubblicava libri per bambini. Invece Roberta decise di raggiungere il suo fidanzato a Padova e di terminare gli studi lì, non so molto degli altri, a parte Alberto che ora è professore universitario presso l’Università di Venezia come era nei suoi obiettivi. 

Ogni tanto, quando passeggio per le strade del centro, passo ancora da piazza Galileo e attraverso il breve vicolo che porta al mio ex appartamento, mi fermo a guardare i nomi sui campanelli, gli ultimi due piani sono occupati da una società, sicuramente saranno diventati degli uffici ampi e luminosi come sono molti studi del centro dalle parcelle elevate. Di fronte alla palazzina c’è una piazzetta deliziosa con due panchine di legno che ho sempre adorato, è una via che si interseca con altre strade del centro storico poco trafficate e la palazzina dove ho abitato è in un angolo che si congiunge con un’altra stradina molto breve che si chiama via Val’Aposa (solo anni dopo leggendo la storia di Bologna ho scoperto che l’Àposa è stato un torrente importante che attraversava la città e che ora è interrato, fa parte della Bologna acquatica sotterranea che oggi viene anche visitata dai turisti più avventurosi). Un semplice biglietto scritto a mano ha scatenato il percorso dei ricordi e mi chiedo dove siano ora i protagonisti di quelle vite lontane, ma è una domanda che lascio al vento perché la terra dei ricordi può essere molto più bella lasciata libera nella fantasia della creatività. 


Fonti immagini: Pixabay 

domenica 30 luglio 2023

La nuova moda: l’eleganza dell’essenziale

 

Non seguire i trend. Non lasciare che la moda ti possieda, sii tu a decidere chi sei, ciò che vuoi esprimere nel modo in cui vesti e il modo in cui vivi. Gianni Versace 

Non ho mai seguito troppo la moda nella mia vita, un po’ per questioni economiche, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per questioni di fisico, infine per carattere. Seguire la moda, oltre ad avere grande disponibilità economica, comporta dispendio di tempo ed energia, non per niente oggi ci sono le fashion blogger che ne hanno fatto un mestiere. Io ho sempre seguito la moda a modo mio, prendevo dalle ultime tendenze quello che poteva andar bene per me, se un vestito mi stava bene e mi piaceva lo compravo altrimenti ne facevo volentieri a meno. Inoltre un aspetto fondamentale del mio “attingere” dalla moda riguardava la comodità, se un capo era comodo aveva molta probabilità di finire nel mio armadio, questo non vuol dire che non abbia mai comprato capi scomodi, no ne ho comprati tantissimi, solo che restavano nell’armadio a lungo senza indossarli e poi infine a malincuore me ne liberavo. Oggi sono arrivata alla “quasi”  piena consapevolezza che è meglio non comprare indumenti scomodi: un pantalone troppo stretto anche se stretching, un pantalone a vita bassa, una gonna o una maglietta troppo corta, che non indossavo volentieri neanche quando ero una taglia 42 figuriamoci adesso. Ci sono indumenti in cui ci sentiamo bene e altri no, quindi facciamocene una ragione e smettiamo di comprare ciò che non va bene per noi! Quando la moda strizza l’occhio noi distogliamo lo sguardo. 

E così, dopo aver superato abbondantemente i 50 anni, sono arrivata alla consapevolezza di voler stare comoda in tutto quello che indosso, ma soprattutto che non mi serve comprare molte cose perché spesso le possiedo già. Con gli ultimi cambi degli armadi ho riscoperto vestiti che non ricordavo neppure di avere. E sembra che anche la moda (quella dei giornali e della tv) se ne sia accorta, un articolo letto su Donna Moderna intitolato Mettiti comoda (numero del 25/5/23) parlava proprio di questa nuova tendenza. A quanto pare questa estate sono di gran moda le tuniche ampie, le camicie over, i panta-palazzo, i sandali flat insomma tutto ciò che è largo, comodo, ampio. La moda o la tendenza si chiama lady style. Con la pandemia tute e ciabattine sono diventate indispensabili nella nostra vita quotidiana e quindi anche la moda si è adeguata, possiamo stare comode con classe, del resto la vita è già troppo complicata, perché quindi dovremmo farcela complicare ancora di più da un vestito scomodo, quello che quando lo indossi non vedi l’ora di togliere? 

La semplicità e la comodità sono sempre state un must di Giorgio Armani e molti altri stilisti hanno scoperta l’eleganza dell’essenziale, tessuti morbidi, fluidi, scivolati addosso che puoi portare tutto il giorno.

Dal canto mio vi dico quello che indosso ora e che prima - di norma - non mettevo (anche perché non li trovavo in negozio): i pantaloni con l’elastico - non l’elastico stile pigiama ma quello ben strutturato, piatto che non ingrossa - un primo pantalone del genere l’avevo ordinato on line ai tempi della pandemia e poi l’ho adottato in diverse versioni, comprandoli però in un negozio Benetton (che prima non li aveva). Ho eliminato i tacchi da molto tempo, l’unica caratteristica che richiedo a un paio di scarpe, oltre alla comodità, è la qualità del pellame, mai usato un tacco dodici ma anche i tacchi più bassi che una volta mettevo li ho eliminati del tutto, mi accontento di un leggero rialzo indispensabile per non avere mal di schiena, per me anche le ballerine rasoterra sono “out” distruggono la schiena. Infine prediligo le fibre naturali, soprattutto in estate cotone e lino sono il mio must, preferisco spendere di più ma avere un capo in fibre naturali da sfruttare a lungo e non inquinare con il fast fashion, sì perché oltre a inquinare i nostri armadi i vestiti, soprattutto quelli che compriamo a prezzi bassi e magari sono in materiale sintetico o misto, inquinano l’ambiente. L’industria dell’abbigliamento é tra le più inquinanti non solo per il sistema di produzione di alcuni capi (per produrre un jeans servono 9.500 litri di acqua, per produrre una maglietta 2700 litri di acqua) ma anche perché quando ci liberiamo di questi vestiti, perché non li mettiamo più (e magari non li abbiamo mai messi o messi solo paio di volte), finiscono dispersi nell’ambiente. 

Ammetto la mia ignoranza, fino a qualche tempo fa, non sapevo che per produrre un jeans servisse tanta acqua, ma non mi ero mai interessata prima alla questione, ora però - se proprio devo comprare un indumento nuovo - ci penso due volte, mi chiedo sempre se mi serve davvero oppure no, primo perché non voglio occupare l’armadio con cose inutili, non importa se quel capo costa poco anzi, se costa poco ci penso ancora di più, costa poco perché qualcuno viene sfruttato, che non vuol dire solo sottopagato, ma che lavora in condizioni terribili, per esempio nelle concerie di alcuni paesi vengono usati i bambini che stanno tutto il tempo in mezzo a prodotti chimici che accorceranno la loro vita. Ho visto di recente una indagine giornalistica sul fenomeno e queste condizioni di lavoro fanno accapponare la pelle. E tutto per un paio di jeans…

Le nuove regole (mie) della moda ma sembrano ormai assorbite dalla tendenza corrente sono:

Non è necessario cambiare look tutti i giorni (questa ormai è un’abitudine acquisita da tempo) una volta cercavo di variare abbigliamento ogni giorno che andavo al lavoro, con il risultato che perdevo tanto tempo a decidere cosa mettermi e magari finivo comunque con mettermi le stesse cose, quelle in cui mi sentivo a mio agio.

Avere pochi capi ma di qualità (Made in Italy e fibre naturali) spendere un po’ di più ma scegliere qualcosa che duri a lungo, lavorare sul proprio stile, magari mescolando quello che abbiamo in modo diverso, come dicevo mi è già capitato di recuperare cose dimenticate dal mio armadio a cui ho dato nuova vita. Questo non vuol dire che non compro più nulla, ogni tanto se proprio trovo qualcosa che mi piace la compro, ma con maggiore consapevolezza.

Un classico è per sempre per me almeno lo è, in fondo conosco già quello che mi serve, quando la moda mi propone qualcosa che esula troppo dalle mie abitudini finisco con non metterlo, quindi meglio scegliere quello che so che va bene per me, se amo il color sabbia e il blu, non ha senso comprare una giacca rossa o gialla solo perché mi dicono che dovrei “osare” di più con i colori. Se proprio voglio osare con i colori magari mi concedo un foulard molto colorato, credetemi funziona, per me. 

E quindi visto che abbiamo parlato di moda e forse qualcuno partirà per un viaggio o forse solo per un breve week end al mare o in montagna la mia domanda è: qual è la cosa che mettete sempre in valigia con qualunque tempo e qualunque destinazione? 

Per una riflessione sull’impatto ambientale dei nostri vestiti vi lascio il link del primo episodio di “Junk: Armadi pieni” una docuserie di Sky Italia in sei episodi che si trova anche su YouTube.



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domenica 23 luglio 2023

All’improvviso l’indifferenza

 

In generale accetto senza problemi le chiacchiere di tutti e senza problemi le lascio perdere. Charles Bukowski

C’è una canzone d’amore che ogni tanto irrompe dai miei ricordi lontani, era di un cantante ora del tutto dimenticato che si chiama Roberto Soffici. Era una canzone tutto sommato piuttosto spinta per l’epoca perché parlava di un rapporto amoroso tra un uomo adulto e una ragazza molto giovane, questo almeno era il senso che trasmetteva il testo della canzone, era un brano del 1977 intitolato All’improvviso l’incoscienza.

Comunque, non so perché certi ricordi restano attaccati alla pelle e non se ne vanno più, io ricordo tutto il testo perfettamente e soprattutto il titolo mi frulla in testa ogni volta che devo descrivere una sensazione che mi assale all’improvviso, appunto. Ed è da diverso tempo che mi gira in testa il titolo di un post che vorrei scrivere a proposito della scrittura: all’improvviso l’indifferenza. Eh lo so, l’ho presa larga ma è proprio così che nasce questo post, la sensazione che mi porta il titolo della canzone di Roberto Soffici è quello che ora sento nei confronti del mondo della scrittura, all’improvviso. Avete presente quegli amori non corrisposti per cui vi dannate l’anima e vi tormentate, strappandovi i capelli? Per anni, per mesi, per un tempo infinito, avete fatto di tutto per ottenere uno sguardo, un momento di attenzione, una parola dolce, dall’oggetto del vostro amore. E poi, all’improvviso, vi rendete conto che quell’amore non esiste più, puff, è sparito, si è dissolto sotto i colpi del “non l’amore”. Succede, per gli amori adolescenziali, ma anche per gli amori adulti, perfino per i matrimoni.

Ecco, con la scrittura, è successo proprio questo, all’improvviso non mi importa più nulla. Beh, non é proprio così, scrivere mi interessa ancora, ma non vedo più la pubblicazione di un romanzo, il successo, il riconoscimento di una casa editrice, come qualcosa di cui mi importi davvero. È che da diverso tempo non seguo più i miei romanzi, li pubblico e poi me ne dimentico, non mi impegno più di tanto per promuoverli, mi è persino capitato di declinare l’invito di qualche blogger a presentare il romanzo sui loro blog, dicendo che non ho tempo, il che è vero, ma una volta il tempo lo avrei trovato, perdendo qualche ora di sonno. Oggi non più. Ora preferisco concentrarmi di più sulla mia vita, quella vera che si svolge fuori dalla scrittura, preferisco dedicare il tempo libero a quella parte di me che è stata a lungo trascurata per scrivere.

Lo so, potrebbe sembrare la storia della volpe e dell’uva, disprezzare qualcosa perché non lo posso raggiungere, beh in effetti anche questo pensiero incide sulla mia situazione, non potrò mai vivere di scrittura, allora preferisco concentrarmi su altro; in realtà questa nuova prospettiva credo sia nata anche perché ho dimostrato a me stessa le mie capacità, qualche lettore ha perfino apprezzato, affezionandosi alla mia serie su Saverio Sorace, qualcuno ha amato i miei romanzi d’amore altri meno…ma io credo di aver raccontato delle storie che sentivo dentro di me e che finalmente hanno trovato la strada per venire alla luce, ma soprattutto ho imparato da self publisher molte attività che sono dietro l’editoria e questa conoscenza mi ha regalato un nuovo sguardo nei confronti di questo mondo.

So di non essere l’unica delusa in campo, almeno tra i blogger che seguo, mi permetto di citare Sandra Faé che in un suo recente post Il male di giugno racconta del suo senso di delusione riguardo il mondo dell’editoria pur avendo avuto un certo successo con diverse case editrici. 

Io ho avuto un percorso diverso perché ho puntato di più sul self publishing per motivi vari che vado a esporre, dopo aver cercato l’attenzione di una casa editrice senza esito (in un tempo in cui ero anche piuttosto ingenua, ogni tanto inviavo il mio manoscritto senza rendermi conto che era parecchio imperfetto e magari la mia richiesta aveva una presentazione poco efficace). Avevo anche partecipato al concorso Io scrittore, il mio romanzo “La libertà ha un prezzo altissimo” aveva superato la prima e la seconda fase, era arrivato tra i primi duecento, tanto che per un momento ci ho quasi creduto, visto che i primi dieci romanzi venivano pubblicati, poi però non ho vinto, né sono arrivata tra i primi dieci. 

Gli anni tuttavia passavano inesorabili e alla fine, dopo essermi documentata sull’autopubblicazione, ho deciso che non potevo più aspettare e avrei pubblicato il romanzo per conto mio, attraverso la piattaforma di Narcissus che ora si chiama Streetlib. Questa decisione è stata fondamentale nel mio percorso perché finché cerchi di pubblicare (qualcosa che hai già scritto) non ti concentri sulla scrittura, ma quando finalmente ho pubblicato il mio primo romanzo ho scoperto di avere dentro me tante storie che aspettavano di uscire ed essere raccontate. Ed é grazie a questo che sono nati gli altri miei romanzi. In questi anni ho studiato molto e mi sono formata, la scrittura non é stata più approssimativa e di getto come lo era per i miei primi scritti, era molto più “composta”, quello che scrivevo di getto veniva poi riletto, cesellato e perfezionato. 

Per un po’ ho avuto anche un contratto con una piccola casa editrice che ha notato il mio romanzo L’amore  che ci manca, l’esperienza è stata piacevole perché é bello avere qualcuno che crede in te, ma è stato anche bello riappropriarmi dei miei diritti e ripubblicare il romanzo con i miei tempi e le mie esigenze. C’è una cosa importante poco evidente all’esterno, quando dipendi da una casa editrice devi sottostare a tempistiche di pubblicazione, scelte e richieste su stile e contenuto che non sono quasi mai in sintonia con le tue, ma ti adatti perché sono loro a comandare. Da self decidi tu come e quando pubblicare, come fare la copertina, se fare o meno il cartaceo, come promuovere il romanzo e i guadagni sono tuoi, se ci sono. 

I romanzi che mi hanno dato più soddisfazione sono stati quelli della serie “gialla”, un po’ perché i personaggi sono nati rispondendo a un mio bisogno interiore,  avevo necessità di trattare dei temi molto forti ma era difficile farlo attraverso una storia d’amore. Il genere giallo è stato quello che mi ha permesso di ampliare i miei orizzonti nell’ambito del mio desiderio di scrivere. La serie su Saverio Sorace mi ha dato anche qualche piccola soddisfazione in termini di vendite, perché nel complesso ho venduto un migliaio di copie, ne ho parlato tempo fa in un post eccovi il Link

Poi, dopo le esperienze positive della serie, ho pensato di provare di nuovo a propormi a una casa editrice, approfittando anche di un periodo più tranquillo sul lavoro, perché - ovviamente - anche per contattare una casa editrice occorre tempo e attenzione, non puoi mandare una mail a caso improvvisando, ne parlo in questo post Scrivere a una casa editrice 

La proposta del mio romanzo Il male non perdona, romanzo thriller fuori da una serie, ad alcune case editrici, non ha avuto nessun effetto; Longanesi mi ha risposto ricordandomi che era possibile partecipare al concorso Io scrittore, ma su quello ho già dato, inoltre partecipare a un concorso come quello implica dispendio di energie notevole, perché, per come è impostato, ti tocca leggere i romanzi degli altri partecipanti e dare un giudizio; ora, nel corso della mia passata partecipazione io ho preso seriamente il mio compito e ho valutato sempre dando dei giudizi con delle critiche costruttive,  anche a romanzi scritti parecchio male. Non sono sicura che sia stato fatto altrettanto nei miei confronti. Quindi Io scrittore no grazie, tra l’altro voleva dire far passare un altro anno di tempo. Il tempo é prezioso, più passa e più me ne rendo conto, per questo vorrei spenderlo al meglio, possibilmente per la vita vera. 

Lo so, certe passioni restano attaccate alla pelle e quindi probabilmente continuerò a scrivere, ma rallentando parecchio come di fatto è già successo. Dopo dodici romanzi e nove anni di blog è un’esigenza legittima, dovuta soprattutto alla necessità di riprendermi un po’ del mio tempo. 

Ora vi saluto, ma siccome ho questa canzone che mi gira in testa non posso lasciarvi senza farvela ascoltare (questo autore credo sia stato parecchio sottovalutato, oltre a essere autore delle sue canzoni, ha scritto pezzi per Mina e gruppi importanti come I nomadi e l’Equipe ‘84)


E lo so che non c’entra nulla con il mio post, ma anche a voi capita di essere legati a una canzone senza un vero perché? Se volete commentare anche sulla mia esperienza di scrittura ovviamente potete farlo.

Fonti immagini:Pexels