sabato 7 agosto 2021

I sette segreti di Bologna

 


In questi giorni ho finito di leggere un libro molto interessante intitolato “Alla scoperta dei segreti perduti di Bologna” di Barbara Baraldi, ho comprato l’ebook parecchio tempo fa e ho letto alcuni capitoli in modo un po’ sparso, solo di recente mi sono decisa a leggerlo tutto, è un libro che mi ha catturato e mi ha fatto scoprire storie su Bologna che non conoscevo. Così con il recente riconoscimento dei Portici di Bologna come patrimonio dell’umanità dell’Unesco mi è venuta voglia di raccontare le mie impressioni in questo post. 

Il libro è veramente ricco di storie dal medioevo ai giorni nostri, alcune piuttosto sanguinarie connesse alla ferocia del potere temporale dei papi del periodo del medioevo, Bologna infatti è stata una delle principali sedi del tribunale dell'inquisizione; altre molto più belle come la firma del documento Liber Paradisus, con cui nel 1257 il Comune di Bologna liberò 5.585 servi della gleba, riscattandoli dai loro padroni e restituendo loro la libertà. In pratica un atto di liberazione dalla schiavitù nel territorio bolognese con seicento anni di anticipo rispetto alla guerra civile americana. 

Non potendo trattare tutte le storie, ho scelto l’argomento, secondo me, più leggero e intrigante che riguarda i cosiddetti sette segreti di Bologna. 



Il voltone del Podestà e il "telefono senza fili". Passando sotto il voltone di Palazzo del Podestà (chiamato anche Palazzo vecchio perché è il più antico edificio pubblico di Bologna e fiancheggia piazza maggiore) ogni tanto si possono notare delle persone di spalle intente a parlare nei quattro angoli, questo perché i suoni vengono trasmessi da un angolo all'altro del Voltone. Io ovviamente l’ho provato con i miei amici già il primo anno che vivevo a Bologna. La spiegazione di tale fenomeno? Questo canale di comunicazione a distanza era stato architettato in epoca medievale per permettere ai monaci di far confessare i lebbrosi tenendosi a debita distanza per evitare il contagio.  

 


La piccola venezia, la finestrella sul canale di via Piella. Bologna una volta era una città di acque con canali navigabili e porticcioli. I canali principali erano il Reno, l’Aposa, il Savena e il Vallescura. Ricordo che dopo la laurea ho abitato per anno vicino via Valdaposa ed era una strada che percorrevo spesso, non sapevo di passare sopra un ... canale. Proseguendo dopo via Valdaposa a circa metà di via Saragozza c'è una strada che va verso le colline e che si chiama Via Vallescura, anche in questo caso non sapevo di passare sopra un canale interrato. Ma ciò che è più famoso è l'affaccio su Via Piella sul canale delle Moline che è la prosecuzione del canale del Reno. In pratica a Bologna c'è una piccola venezia che si può osservare da questi affacci. Una volta su Via Piella c'era una finestrella che si affacciava sul canale, quello rimasto fra i tanti che nel XII secolo, venivano usati per la navigazione mercantile. Ora la finestrella non c'è più, è stato aperto l'intero spazio e ci si può affacciare su un muretto (la foto sopra l'ho scattata questa primavera). Ci sono altre strade di Bologna da cui si può ammirare il canale delle Moline,  via Oberdan ossia la strada di fronte che si intravede dalla mia foto e Via Malcontenti.

 



“Panis vita, canabis protectio, vinum laetitia”, ovvero: “Il pane è vita, il vino è allegria, la cannabis è protezione”. Questa scritta, tuttavia, non inneggia alle droghe ma fa riferimento alla ricchezza che la coltivazione della canapa ha portato a Bologna. La scritta si trova in via Indipendenza, quasi all'angolo con via Rizzoli, sotto la Torre Scappi, sulla volta del Canton de’ Fiori (chiamato così perchè un tempo c'erano molti negozi di fiorai). La canapa veniva utilizzata per ricavarne corde e vele per le imbarcazioni, dai tempi delle repubbliche marinare e fino alla fine dell'ottocento Bologna e Ferrara sono state le maggiori produttrici di canapa nella penisola. Non so se le scritte si vedono in questo mio collage di foto fatto in casa...

Il vaso rotto in cima alla Torre degli Asinelli. Proprio in cima alla Torre degli Asinelli, sulla quale gli universitari più scaramantici non salgono fino al raggiungimento della laurea (si dice che chi sale non si laurea) dovrebbe esserci un vaso rotto che simboleggia la capacità politica di Bologna nel risolvere i conflitti e, in generale, la risoluzione dei problemi. In realtà, è scritto nel libro, il vaso rotto non c’è (fidatevi del libro perché io sulla torre non sono mai salita né ho intenzione di farlo, soffro di vertigini ed è un’esperienza che non anelo…non so in futuro), insomma il vaso rotto è una leggenda, una storia che sta a simboleggiare la resistenza alle avversità

“Panum resisovvero il pane della conoscenza. Bologna è nota come la Dotta (oltre che Grassa e Rossa ): questo perché è sede della più antica università del mondo, risalente al 1088, essa è nata come una libera associazione di studenti che provvedevano a scegliere e a finanziare i docenti. Quindi un’organizzazione molto democratica rispetto al modello parigino di associazione di docenti soggetti all’autorità dell’imperatore e del papa. Sembra che nel 1158 Federico Barbarossa con il documento Privilegium Scholasticum sancisse l’indipendenza da ogni potere dell’università di Bologna. Ora come per il vaso rotto sembra che su un tavolo della sede dell'Alma Mater Studiorum di Bologna (a Palazzo Poggi) c'è la scritta: “Panum resis”, la traduzione letterale è pane della resistenza che, comunque, indicherebbe che la conoscenza sta alla base di tutte le decisioni. La scritta però in tempi recenti non è mai stata localizzata, l’ipotesi è che in passato ci fosse e poi sia.

A proposito vorrei sfatare un mito, mentre per Bologna la Grassa il significato è abbastanza chiaro, è legato al cibo e al fatto che, fin dal medioevo, l’arte culinaria della città fosse molto elevata, così come la qualità e la varietà del cibo, per Bologna la Rossa il significato non è quello che molti vi attribuiscono, non ha nulla a che fare con la politica, è detta la Rossa per il colore rosso dei tetti in terracotta, colore dominante anche per legge e cornici nell’architettura della città.



Il dito del Gigante (ossia della statua del Nettuno). Adiacente a piazza maggiore c’è Piazza del Nettuno con una meravigliosa fontana sulla quale spicca in tutta la sua imponenza la statua in bronzo del dio del mare Nettuno (che i bolognesi chiamano affettuosamente il Gigante). La statua è stata realizzata nel 1564 dallo scultore fiammingo Jean Boulogne de Douai (noto come il Giambologna). La leggenda vuole che ci fosse stato un burrascoso litigio del Giambologna con il cardinale Borromeo che gli impose di rimpicciolire i genitali della statua per rispetto della divinità. Si dice che lo scultore si sia vendicato creando una prospettiva particolare del dito indice del dio Nettuno con la mano stesa in un atto volto a calmare le acque tempestose del mare e che, grazie a un simpatico effetto ottico, diventa un fallo in erezione. Per vedere questo effetto occorre posizionarsi su una mattonella davanti all’edificio della Salaborsa che si trova di fianco alla fontana del Nettuno. Ovviamente è una delle prime cose che uno studente fuori sede (e non solo) va a verificare appena arriva in piazza del Nettuno. Non sappiamo se sia stato davvero uno scherzo del Giambologna oppure un bizzarro caso, ma la prospettiva un po’…ehm… oscena è verissima. Sembra che negli anni passati la nudità della statua (con la sua la prospettiva “fallica”) e la fontana con le ninfe che spruzzano acqua dalle mammelle abbia creato qualche imbarazzo, tanto che qualcuno pensò di vestire la statua e coprire le ninfe con abiti di bronzo. Per fortuna che questi progetti non furono realizzati, sarebbe stato uno scempio…

Pensate che le torri di Bologna sarebbero state molto di più, ma negli anni sono state demolite per fare spazio...



Le tre frecce del portico di Corte Isolani. Lungo la via denominata Strada Maggiore c’è uno splendido portico molto particolare, in legno, è il più elevato portico in legno di Bologna ed è uno dei rari esempi di architettura del XIII secolo presente in città, all’ingresso di Corte Isolani, una galleria che collega le due abitazioni dell’antica famiglia Isolani, attraverso la quale si arriva in piazza Santo Stefano, altra meravigliosa piazza famosa per le sette chiese. Comunque nel portico dalla parte di strada maggiore, se si guarda in alto, ci sono tre frecce conficcate nel soffitto. Ci sono tre leggende al riguardo: potrebbe essere stato uno scherzo goliardico alla famiglia Faccioli che, nel 1877 restaurò l’edificio, oppure un duello maldestro tra due signorotti locali con scarsa mira, oppure la leggenda più simpatica che racconta di tre sicari intenzionati a colpire a morte la moglie fedifraga di un signorotto bolognese, ma costei si affacciò alla finestra senza vestiti e i sicari…sbagliarono clamorosamente la mira. 

Non conoscevo questi sette segreti o, almeno, sapevo di alcuni di essi ma non sapevo si chiamassero “sette segreti”; conoscevo la storia del dito del Nettuno e del telefono senza fili, nonché le frecce e, ovviamente, della piccola venezia visto che ci passo davanti molto spesso e l’ho fotografata migliaia di volte (è anche la foto che ho messo nel mio profilo autore su amazon). Non so se vi è venuta voglia di venire a visitare Bologna, nel qual caso vi consiglio di farlo quando è meno caldo, anche se mi tocca ammettere che in questi giorni di turisti temerari ne sto vedendo in giro parecchi... Vi lascio con il link Youtube della canzone di Francesco Guccini che fa un quadro della città incredibilmente azzeccato.

 


Conoscevate queste storie e cosa ne pensate? A proposito siete mai stati a Bologna?

 

Fonti immagini: le foto sono mie, forse non sono perfette, ma era una calda e afosa mattina di sole          Fonti testi: Wikipedia e l’ebook Alla ricerca dei segreti perduti di Bologna di Barbara Baraldi (oltre alla mia esperienza diretta)

15 commenti:

Nicole ha detto...

Che bel post! ** Non sono ancora mai stata a Bologna ma mi sono segnata tutti questi "segreti" così quando andrò a visitarla li cercherò :D

Giulia Lu Mancini ha detto...

Grazie Nicole, benvenuta nel mio blog!
Spero che tu possa passare da Bologna a scoprire questi segreti così piacevoli da svelare...😀

Ariano Geta ha detto...

Non conoscevo queste storie (e immagino quanto possano scherzare i giovani bolognesi sulla scritta medievale che nomina la cannabis, sia pure in senso tessile) e ammetto con enorme vergogna che non ho mai visitato Bologna (fa pure Roma ;-)
Ma un giorno conto di colmare questa lacuna.

Giulia Lu Mancini ha detto...

In realtà le scritte sotto il portico del Canton dei fiori non le avevo mai notate, se non avessi letto il libro non l’avrei saputo, spero che ai più sia noto, in effetti c’è da scherzare abbastanza, invece la storia del Nettuno la conoscono tutti 😆
Spero che tu possa, prima o poi, conoscere Bologna (e anche Roma), con i treni veloci oggi le distanze si sono accorciate molto.

Grazia Gironella ha detto...

Alcuni di questi segreti li avevo sentiti, anche se non raccontati bene come hai fatto tu. Mi piace pensare agli schiavi liberati nel 1257. Vado a leggermi qualcosa in merito. :)

Grazia Gironella ha detto...

Ah, interessante! Pare che almeno parte del motivo sia stata l'intenzione di rendere gli schiavi liberati nuovi contribuenti, infatti non potevano lasciare la docesi di appartenenza. Una bella cosa comunque, penso.

Ariano Geta ha detto...

In realtà io volevo scrivere "fa pure rima", non mi ero accorto che il maledetto correttore automatico dello smartphone avesse stravolto così la frase... perché Roma ce l'ho a due passi, ci vado spesso e la conosco bene :-)

Giulia Lu Mancini ha detto...

Mi era venuto il sospetto 🤨 bene, ah il correttore automatico è una croce per molti di noi

Giulia Lu Mancini ha detto...

Sì anche questo era scritto nel libro, in effetti la liberazione aveva un motivo, diciamo, meno nobile e più lungimirante, tuttavia é un atto molto all’avanguardia, liberare dei servi della gleba pagando un grosso riscatto (circa 10 milioni di euro attuali) perché dopo potevano lavorare nell’industria tessile che era in espansione e aveva grande bisogno di manodopera e avrebbero pagato le tasse (rendendo in un certo senso parte del riscatto). Penso comunque che sia meglio lavorare e pagare le tasse da uomini liberi piuttosto che farlo da schiavi. Il pregio del comune di Bologna é stata questa lungimiranza (oppure spirito imprenditoriale a lungo termine...) ammirevole comunque

Barbara Businaro ha detto...

Sono stata a Bologna per l'ultima camminata pre-pandemia, la Race for Cure 2019, accidenti... Ho visto pochino, perché pioveva pure, ma abbiamo riso al dito di Nettuno, ho ammirato tutti i portici (e ci sono serviti :P ), ho mangiato in un mercato al coperto (non saprei ritrovare il posto se non dal profumo dei salumi), ho visto prima i canali dalla famosa finestrella, poi mi hanno portato in una sala da tè con terrazzino proprio sul canale, favolosa. E lì mi hanno raccontato un sacco di storie sui canali sotterranei di Bologna. Spero di tornarci presto, anche i giardini Margherita devono essere belli (senza tutta quell'acqua e quel fango :P ).

Giulia Lu Mancini ha detto...

Mi ricordo la tua race for cure! Ero via, altrimenti ci saremmo anche incontrate...
Peccato per la pioggia, ma almeno hai provato la comodità dei portici, servono moltissimo quando piove. Potresti aver mangiato nel “Mercato di mezzo” di via Clavature posto fantastico dove si mangia davvero bene, vicino piazza maggiore. Riguardo ai canali è anche possibile visitarli con un percorso sotterraneo, cosa che io non farò mai perché soffro di claustrofobia, preferisco stare in superficie, chi lo ha fatto ha detto che è molto bello, io mi fido sulla parola. I giardini margherita sono bellissimi senza pioggia, una bella e ampia area verde anche se non l’unica...

Cristina M. Cavaliere ha detto...

Molto bello questo post su Bologna e i suoi segreti, non ne conoscevo nemmeno uno, grazie di averlo scritto! Avevo visitato Bologna da ragazzina con i miei genitori e ricordo in modo particolare i portici e le torri. Però dovrei senza dubbio ritornarci.
Approfitto per dirti una cosa che riguarda Bologna e dintorni, sto studiando per l'esame di Storia delle Dottrine Politiche e in modo particolare l'anarchico russo Michail Bakunin. Ho letto il romanzo di Bacchelli "Il diavolo al Pontelungo" che riguarda i falliti moti popolari a opera di Bakunin che soggiornò nei pressi di Bologna. In realtà la prima parte è ambientata a Locarno, e soltanto la seconda tra Bologna e Imola. Il romanzo è un vero spasso, comunque cita molti luoghi nei pressi di Bologna che senz'altro conosci!

Giulia Lu Mancini ha detto...

Interessante il romanzo che citi su Bakunin, prendo nota, così se capita l’occasione lo leggo, mi piacciono sempre le curiosità su Bologna.

Luz ha detto...

Io l'ho vista una volta e mi è piaciuta moltissimo. Credo che ci sarei vissuta molto bene, perché mi piacciono le città storiche, intrise di cultura anche ben tenuta direi. Sarebbe stato bello frequentare il Dams ai tempi di Umberto Eco... :)

Giulia Lu Mancini ha detto...

Bologna è una città a misura d'uomo, nè troppo grande nè troppo piccola, in cui si vive abbastanza bene, con la pandemia ha perso un po' la sua caratteristica di "città che non dorme mai", anche se probabilmente finito il periodo riprenderà come prima, credo...