sabato 5 febbraio 2022

La biblioteca dei greci

Per acquisire conoscenza, si deve studiare, ma per acquisire saggezza, si deve osservare.
(Marilyn vos Savant)

Se avessi vissuto il fuoco sacro della scrittura quando frequentavo l’università avrei avuto mille personaggi reali su cui scrivere storie, invece ero troppo immersa nella vita per avere l’impulso di scriverne. Deve essere per questo che oggi a distanza di anni mi viene da ripensare alle persone che ho incontrato e che hanno lasciato un ricordo indelebile. 

La biblioteca dei greci, la chiamavamo così ma in realtà non era una biblioteca, era una sala studio usata soprattutto da studenti fuori sede, si trovava in via Belle Arti pochi metri dopo la biblioteca Walter Bigiavi (questa era vera biblioteca) della facoltà di Economia. Il primo anno di università è stato a tratti bellissimo ma difficile, bellissimo perché vivevo una realtà nuova che mi entusiasmava e mi dava energia positiva,   difficile perché vivevo una realtà nuova che mi faceva paura e mi metteva costantemente alla prova. 

Quel primo anno di università era immerso nella totale incertezza e non sapevo come sarebbe andata, sapevo soltanto che dovevo fare un certo numero di esami per mantenere la borsa di studio e, soprattutto, l’alloggio universitario. Però un conto é continuare a studiare nella tua cameretta con la mamma che ti prepara pranzo e cena, un conto é doversi organizzare in una vita del tutto nuova abitando in una casa dello studente, ben organizzata ma piuttosto affollata e con mille distrazioni dallo studio. Inoltre quello che era davvero impegnativo era dover frequentare delle ore di lezione sparse nel corso della giornata e riuscire a studiare tra un’ora buco e l’altra. 

Tra una lezione e l’altra tentavo di studiare alla biblioteca di Economia, ma non era semplice, perché non sempre trovavo posto nella zona tranquilla della biblioteca (che era al primo piano), poi non potevo occupare un posto troppo a lungo e con certe lezioni di due o tre ore era impossibile. Così una mia coinquilina mi disse che lei si trovava bene alla biblioteca dei greci, potevi occupare un posto, lasciare i libri tra una lezione e l’altra, con la garanzia che nessuno te li avrebbe toccati, e poi tornare a studiare in religioso silenzio. Era una sala studio autogestita frequentata soprattutto da stranieri, restava aperta fino a mezzanotte e vigevano poche regole: il silenzio e il rispetto. Per studiare, alle superiori, ero abituata a ripetere ad alta voce, ma ovviamente non era possibile in quella situazione, per cui pensai che potevo dedicarmi alla prima lettura e poi magari avrei potuto ripetere in camera quando fossi stata più vicina all’esame. Per tutto l’anno accademico mi sono destreggiata tra lezioni universitarie e sala studio dei “greci” trovando rifugio lì anche quando finirono le lezioni, perché scoprii che, attraverso il silenzio, la mia mente assimilava bene un concetto e non avevo bisogno di ripeterlo ad alta voce, e poi nel mio appartamento della casa dello studente c’erano spesso delle distrazioni che potevano distogliere dallo studio, alla biblioteca dei greci no, erano tutti lì per studiare. Così arrivavo la mattina alle otto e restavo a studiare fino al tardo pomeriggio con la pausa della mensa e di paio di caffè al bar vicino.

In quella situazione si creavano anche tante amicizie, tra i frequentatori abituali della sala studio si creava infatti una sorta di empatia, tu entravi e con un cenno della testa salutavi tutti, c’era il ragazzo greco che studiava Medicina, il ragazzo che studiava Veterinaria, il ragazzo altoatesino di Scienze Politiche, le ragazze erano poche ma godevano di un gran rispetto, mi è capitato più volte che mi segnalassero un posto da occupare se arrivavo tardi perché avevo avuto una lezione alle otto del mattino e non avevo avuto la possibilità di arrivare prima. La sala studio era frequentata anche da molti arabi (tanto che veniva chiamata anche la biblioteca degli arabi) oggi penso che verrebbe guardata con sospetto dopo gli eventi dell’11 settembre, ma allora, negli anni ottanta, era  un fatto normalmente accettato, Bologna è sempre stata una città accogliente e aperta a tutti. 

Assan, un ragazzo della Giordania che studiava medicina, arrivava sempre piuttosto tardi, nel primo pomeriggio, se non addirittura verso sera, si metteva nel solito posto, quasi sempre nelle prime file, spesso lasciato libero da uno degli studenti che andava via, apriva il libro e studiava con lo sguardo concentrato e la faccia seria, ogni tanto andava fuori a fumare una sigaretta. Ed era in queste pause che ci si conosceva, quattro chiacchiere: cosa studi, da dove vieni ecc. così ho scoperto che arrivava sempre tardi perché lavorava, faceva il cameriere e frequentava la sala studio compatibilmente con i suoi turni di lavoro, preferiva i turni serali perché poteva frequentare le lezioni durante il giorno, credo mandasse anche dei soldi a casa dei suoi. Non sorrideva spesso, ma quando parlava del suo paese gli brillavano gli occhi. Tra l'altro parlava benissimo l'italiano, così come gli studenti greci, nonostante il loro complicato alfabeto. Un giorno gli chiesi come mai avesse scelto di studiare in Italia e lui mi disse che in Giordania frequentare l'università costava moltissimo, non era pubblica e aperta a tutti come in Italia e quindi per lui, nonostante fosse costretto a lavorare per mantenersi in un paese straniero, era più economico studiare medicina in Italia, piuttosto che in Giordania. Fui piuttosto sorpresa da questa affermazione, gli chiesi anche se gli sarebbe piaciuto restare in Italia dopo la laurea, mi rispose che non avrebbe mai potuto lasciare il suo paese, doveva tornare perchè c’era bisogno di medici e poi tutta la sua famiglia, composta da parecchi fratelli e sorelle più giovani, contava su di lui.

In quel momento capii che Assan inseguiva un progetto ben più grande, non voleva solo diventare medico, lui voleva migliorare se stesso e dare un contributo al suo paese. 

All'improvviso, tutti i miei sacrifici e i miei giorni di fatica e di studio divennero poca cosa di fronte a quello che Assan e altri ragazzi come lui affrontavano. Io in fondo ero ancora in italia, avevo solo preso un treno in direzione nord. 

Di tutti i ragazzi conosciuti, tra una sigaretta e una pausa caffè, alla biblioteca dei greci, Assan é colui che mi è rimasto più impresso, per la sua  serietà e determinazione.

L’anno successivo, il secondo anno di università, ottenni l’assegnazione in una casa dello studente in pieno centro, era a due passi dalla cittadella universitaria (si chiama così il complesso di strade ed edifici intorno alla sede del Rettorato) la mia compagna di stanza, per motivi vari, non c’era quasi mai, così dopo le lezioni potevo studiare in camera da sola senza troppe distrazioni, per questo ho diradato sempre più la frequentazione della biblioteca dei greci, ma nei momenti di necessità è rimasta una sorta di rifugio dove potevo sempre andare. 

Qualche giorno fa ero in zona universitaria e sono passata davanti alla biblioteca dei greci, c’era la saracinesca abbassata, è chiusa ormai da tanto tempo, nel frattempo sono state aperte tante nuove sale studio, più nuove e attrezzate, con il Wi-Fi e la possibilità di collegare il proprio portatile (certo nel 1984 non c’era internet, questo va detto) però quel posto mi sembrava speciale, ma probabilmente è solo la patina straordinaria che dona il ricordo.

 

 Fonti immagini: Pexels 

 

 

14 commenti:

Ariano Geta ha detto...

Che bei ricordi. È vero, poter frequentare l'università senza dover lavorare e immergersi nella sua realtà è un'esperienza bellissima, anch'io ho parecchi ricordi della "magia" di trovarsi con tantissimi altri giovani, ognuno coi suoi sogni, i suoi progetti, le sue aspettative.

Giulia Lu Mancini ha detto...

È vero, studiare senza la necessità di dover lavorare é un’esperienza molto gratificante perché lascia spazio ai sogni tipici di un’età, per certi versi, spensierata.
Io ricordo quel periodo come un bel tempo di meravigliosa scoperta...

Elena ha detto...

Chissà che fine ha fatto Assan, se ha realizzato i suoi splendidi sogni... Mi ha colpito quanto detto all'inizio: "ero troppo immersa nella vita per avere l’impulso di scriverne". Forse capitò lo stesso a me. Ma oggi se non avessi la vita piena che ho non potrei nemmeno immaginare di raccontarla, rubando ogni istante libero disponibile.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Spero che Assan abbia realizzato i propri sogni, del resto anch’io in parte li ho realizzati, ho raggiunto l’indipendenza economica che cercavo. Pensa che proprio in questi giorni, quando avevo già programmato questo post, ho conosciuto - perché ha fatto la visita un mio familiare - un medico originario del Libano, ha studiato a Bologna e poi si è fermato a lavorare qui in Italia, è uno dei pochi luminari nel campo delle aritmie cardiache a Bologna. Mi ha fatto pensare ad Assan.
Sì ero troppo immersa nella vita per poter scrivere, ma era una vita in continua evoluzione, in cerca di una stabilità, forse per questo non riuscivo a scrivere. Oggi a distanza di anni, la mia vita pur piena è più stabile o forse è più stabile la mia mente e ha acquisito quella consapevolezza necessaria per scrivere.

Elena ha detto...

Certo che di incontri interessanti ed esotici sei maestra... Che bello sentirti dire che hai realizzato i tuoi sogni! Una grande ricchezza

Giulia Lu Mancini ha detto...

Non i miei sogni, uno solo, l’indipendenza che cercavo grazie al lavoro che mi sudo tutti i giorni. Altri sogni assolutamente no, anzi. Però posso accontentarmi, dai, non voglio lamentarmi.

Barbara Businaro ha detto...

Ho frequentato rarissime volte le aule studio, perché sono stata un'universitaria pendolare. Tutti i giorni auto + treno + autobus (se treno in ritardo, sennò cercavo di risparmiare un biglietto e me la facevo a piedi). Su per giù erano almeno 50 minuti andata e altri 50 al ritorno, salvo imprevisti. Così la mia aula studio di fatto era la stazione dei treni, perché la mia era pure una linea con pochi treni in alcuni orari. Però non è che poi a casa avessi la mamma che mi preparava pranzo e cena, a casa la mamma ero io. Mia madre lavorava e così ero io a preparare almeno uno dei due pasti, oltre ad occuparmi delle pulizie e delle lavatrici di 4 adulti. Solo lo stiro mi era risparmiato. Purtroppo non avevano capito che l'università è impegnativa anche più delle superiori, e il confronto lo facevano con le ragazze della mia età operaie in fabbrica che portavano a casa uno stipendio annuale di ben 26 milioni di lire... Quindi dovevo studiare e fare tutto in casa per andare a pari di quello che costavo.
Però ho ricordi dei minuti di attesa delle lezioni di fronte all'aula, dei cambi di lezione, dei laboratori. Ma facevo più fatica a fare conoscenza, avevo addosso il timer per non perdere il treno. :D

Giulia Lu Mancini ha detto...

Fare l’università da pendolare comporta non pochi problemi anche perché 50 minuti per due sono tanti, ognuno deve aver fatto i conti con le proprie problematiche del periodo. Io frequentavo la sala studio perché tornare alla casa dello studente, ubicata nella prima periferia di Bologna il primo anno, era parecchio disagevole, dovendo prendere un autobus per circa mezz’ora di percorso. Però questo mi ha temprato, così come sono sicura che il pendolarismo, i lavori di casa e la necessità di impegnarsi a studiare abbia temprato molto anche te Barbara, ma oggi hai un lavoro più gratificante, rispetto al lavoro di operaia che facevano allora le ragazze a cui i tuoi ti paragonavano, in modo piuttosto semplicistico.

Caterina ha detto...

I ricordi dell’Università sono tra i più belli. Anche per me è così. L’università è un altro universo, un mondo diverso, di scambio culturale e interculturale. L’università ti insegna anche a vivere. Buona serata.

Giulia Lu Mancini ha detto...

È vero Caterina, l’università è un altro universo, per me è stato davvero un mondo di scambio, molte amicizie nate allora sono ancora vive con legami diventati indissolubili.
Buona serata anche a te

Marco L. ha detto...

Io d'abitudine andavo nella sala studio della biblioteca della mia città, popolata da personaggi grotteschi (tra cui alcuni bibliotecari), e altri universitari a cui per passatempo mentalmente davo un soprannome. C'erano così: l'Elefante Elegante, Ondabionda, Andrea Caffè, la Sosia, Tommy M, FIAT, il Bisognoso, Naif, Aquaman, e altri ancora...
Nel weekend la biblioteca era chiusa, quindi a volte andavo alle sale studio di Torino, a volte coi compagni di corso, che non erano ben frequentate, perché c'era di tutto. Molti erano infatti dei begli stronzi, occupavano un posto e poi se ne stavano via per delle ore. Una mattina vidi una ragazza che occupava tre posti su tre tavoli diversi, spostandosi da uno all'altro (forse li teneva per altri, ma andò avanti così per almeno un'ora). Una domenica pomeriggio trovai con difficoltà posto a sedere; affianco il posto era occupato da una pila di libri, e dopo più di due ore arrivò il proprietario, se li prese e andò via (cioè per due ore quello ha occupato un posto a vuoto, mentre c'era gente costretta ad andarsene).
Anche lì non mancavano i personaggi grotteschi, come quello nella guardiola che mi fece una testa così sulla questione Briatore/Gregoraci, e un tipo che conoscevano tutti, grosso come un giocatore di football, che sul tavolo si mangiava un pollo intero e poi dopo un'ora si ripassava le ossa.
Alla biblioteca di Chimica c'era invece il gruppo degli eternamente fuoricorso.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Hai descritto dei personaggi allucinanti, l’uomo del pollo è davvero terrificante, anche alla biblioteca di Economia c’erano personaggi parecchio singolari, alcuni simpatici altri sgradevoli. Certo che occupare tre posti togliendo il posto ad altri studenti è proprio scorretto, nella sala studio dei greci invece c’era molta collaborazione, se uno si allontanava per andare a lezione, avvertiva il vicino e metteva da parte i libri in modo da lasciare il posto a disposizione per chi aveva bisogno di fermarsi per il tempo lasciato libero.
I soprannomi dei tuoi personaggi sono davvero particolari, potresti scriverci un post svelando di più su di loro...

Cristina M. Cavaliere ha detto...

Arrivo tardissimo a commentare questo articolo, che però avevo letto sullo smartphone. Non ho la tua esperienza con le biblioteche, qualche volta sono andata a studiare in una delle biblioteche universitarie nell'ala di Giurisprudenza per arrivare all'ora di Storia delle Istituzioni Politiche, ma non era un luogo interessante come quello che hai descritto.
Le biblioteche più affascinanti sono quelle antiche, non a caso molte scene di romanzi sono ambientate là...

Giulia Lu Mancini ha detto...

Grazie Cristina di essere passata a commentare, anche in ritardo un commento è sempre gradito! L’esperienza della biblioteca penso sia tipica degli studenti “non lavoratori” oppure più “precari” nella situazione della propria casa (per esempio se in casa si riesce a studiare tranquilli forse è da preferirsi). Le biblioteche antiche sono quelle più affascinanti, hai ragione, a Bologna ne abbiamo alcune molto antiche che sono dei veri gioielli, in effetti ottimi scenari da romanzo...ma anche set di telefilm, per esempio alcuni episodi di Coliandro sono state girate nella biblioteca universitaria di via Zamboni