sabato 17 aprile 2021

Il cervello sulla luna

Non ci fu colpa, nessuno ebbe colpa alcuna, il suo cervello cercatelo sulla luna. (Claudio Lolli)

Si chiamava Carlo, era un amico di mia sorella, un bel ragazzo, simpatico, carino, un bravo ragazzo che conduceva una vita normale. Io avevo dieci anni, mia sorella 17 e vi racconto la storia come la so, un po’ per quello che ho visto un po’ per quello che raccontava lei. 

Carlo faceva il meccanico, amava il suo lavoro perché amava i motori e aggiustare le cose, a circa vent’anni era un ragazzo felice di esistere. Aveva anche una fidanzata Carlo e progettavano di sposarsi, magari nel giro di qualche anno, dopo aver messo da parte un po’ di risparmi. Aveva preso il diploma di scuola media e poi aveva cominciato a lavorare in una officina, era bravo perché si appassionava al lavoro e il proprietario dell’officina lo aveva assunto con un contratto regolare. 

Poi c’era sua madre, una piccola donna senza cervello, che si era messa in testa che Carlo meritasse di più, che dovesse fare un lavoro migliore e magari lasciare quella fidanzata inutile senza cultura che faceva la casalinga e voleva solo fare dei bambini. Così gli ha dato il tormento perché lasciasse l’officina e si prendesse un diploma, Carlo per accontentarla lo fece, si licenziò dall’officina e prese un diploma con quelle formule che esistevano una volta, magari esistono anche adesso, tre anni in uno a qualcosa del genere, prese il diploma da privatista, perché un politicante del paese  aveva promesso a sua madre che gli avrebbe trovato un lavoro in comune da impiegato. Perché un impiegato è migliore di un meccanico che lavora in un’officina, sporcandosi le mani di grasso. Almeno questo è quello che pensava sua madre.

Per eventi vari quel lavoro non arrivò mai, ma Carlo nel frattempo aveva lasciato la fidanzata indegna di lui o forse l’aveva lasciato lei, perché lui aveva smesso di progettare il loro futuro. 

Il lavoro non c'era più e neanche la fidanzata. Qualcosa si ruppe dentro di lui e Carlo impazzì. 

Tutto iniziò con una profonda depressione, ma lui non si chiuse in casa, no, cominciò invece a camminare. Lungo il corso del centro, lungo il viale del parco, avanti e indietro, sempre a passo veloce.

Tutto il giorno camminava nelle strade del nostro piccolo centro di provincia del sud, lo vedevi a tutte le ore, camminava, camminava sempre, un po' come Forrest Gump quando iniziò a correre, solo che lui faceva sempre lo stesso percorso avanti e indietro, a passo veloce, come un criceto in una gabbia.

Non parlava più, non salutava nessuno e camminava a passo svelto, guardando sempre davanti a sé con la testa abbassata. Percorreva dei chilometri ogni giorno, sotto gli occhi di tutti. Ogni volta che uscivo di casa, in estate e in inverno, lo incontravo nel suo eterno peregrinare. Era diventata una presenza costante. Probabilmente era un modo per tenere a bada la sua ansia o la sua rabbia, non lo so. 

A tratti sentivo i sussurri della gente: 

-guarda c'è Carlo, il figlio della signora Tizia 

-ma cosa gli è successo?

-mah, un esaurimento non so 

-poverino 

In fondo non faceva male a nessuno e ormai nessuno sembrava farci più caso.

Non avevo più pensato a lui, ma la scorsa estate mia sorella raccontò che aveva rivisto la sorella di Carlo - che era stata una sua compagna di scuola - e le aveva detto che era morto qualche anno prima, dopo aver passato gli ultimi anni in una specie casa di cura. Insomma non si era più ripreso e, a quell’idea, mi sono sentita triste. Ho pensato che a volte facciamo quello che gli altri si aspettano da noi senza curarci di quello che davvero desideriamo. Spesso queste decisioni ci rovinano la vita, completamente e senza rimedio. 

Una volta, avevo circa diciotto anni, era una mattina di inizio estate, ero seduta su una panchina del parco cittadino, aspettavo una persona e restai lì per circa dieci minuti, in quei dieci minuti lui fece il percorso del lungo viale del parco un paio di volte, io fingevo di leggere un libro e, mentre si avvicinava, lo guardavo cercando di non farmi notare. È strano, ma siamo tutti così indifesi davanti alla malattia mentale, un po’ per paura un po’ perché non sappiamo come comportarci. Quella mattina lui ogni tanto sorrideva e sembrava inseguire il filo invisibile di un discorso con qualche fantasma della sua mente, magari con quella ragazza che non aveva sposato, quando ancora la sua vita era tutta davanti a lui, ancora tutta intera, ancora lucida, senza l’ombra della follia.

 

Fonti immagini: Pexel (luizclass)


16 commenti:

Ariano Geta ha detto...

Una storia triste, ma purtroppo so quanto possa essere vera. Mi hai fatto venire in mente un ragazzo che ho conosciuto quando ero giovane anch'io, qualche volta siamo anche usciti insieme. Lui era un bravissimo ragazzo, purtroppo però aveva una malattia rara che gli aveva fatto crescere il naso in larghezza in modo vistoso. Non era neppure qualcosa di esagerato, infatti c'era gente che pensava avesse solo un naso "importante", ma lì si fermavano, comunque non era più brutto di altri ragazzi che pur avendo dei volti sgraziati avevano una fidanzata e una normale vita sociale. Lui però si era fatto una malattia mentale di questa cosa. Lui era ossessionato da questo suo problema e dal proprio aspetto fisico, e pian piano è crollato nella depressione e ha avuto un grave esaurimento nervoso, in modalità presumo simili a quelle del tuo compaesano.
Ho perso i contatti con lui pian piano, anche perché io (probabilmente sbagliando) lo invitavo a tentare di superare la sua situazione con la ricerca dell'equilibrio interiore e non tramite i medicinali antidepressivi. Così, i suoi genitori hanno cominciato a non passarmelo quando telefonavo (dicevano che era impegnato o non c'era) e lui in giro non si è fatto più vedere. Anche nel suo caso, purtroppo, ho saputo anni dopo che era morto per un problema cardiaco a neppure quarant'anni, ma la persona che me l'ha detto mi ha lasciato intendere che probabilmente non aveva problemi cardiaci ma si era lasciato talmente andare (quasi non mangiava più) al punto che il suo cuore ha ceduto per un grave deperimento fisico generale.
Terribile davvero pensare come il cervello possa guidare una persona verso l'autodistruzione, anche inconsapevole, solo perché "suggerisce" che c'è qualcosa di sbagliato e irreparabile nella sua vita...

Sandra ha detto...

Che storia terribile. Un danno enorme per assecondare l'ambizione materna. Forse avrebbe potuto essere salvato se i primi segnali di disagio fossero stati capiti e curati da un professionista.
La malattia mentale, a vari livelli, anche patologie attualmente frequenti come manie ossessive, sono sempre difficili da affrontare, so di aver scritto una gran banalità.

Giulia Lu Mancini ha detto...

La storia che racconti assomiglia molto alla mia, purtroppo avere un complesso porta davvero dei gravi problemi e serve un buon supporto psicologico. Io penso che la mente possa molto, pensa che un mio amico piuttosto bruttino era pieno di donne perché era molto simpatico e brillante, lui era consapevole di non essere un adone e ci rideva su. Questo per dirti quanto conti il cervello, c’è chi si fa una croce di qualcosa che magari gli altri notano appena e chi, invece, potenzia gli aspetti della propria personalità e compensa l’aspetto esteriore. Purtroppo la storia di Carlo risale a oltre quaranta anni fa quando non c’era abbastanza attenzione per i problemi psichici, forse oggi sarebbe andata diversamente.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Non dici banalità Sandra, è la realtà, purtroppo certe dinamiche familiari possono causare gravi danni, i figli andrebbero guidati a trovare la loro strada e non essere un riscatto alle proprie frustrazioni o ambizioni. Purtroppo non sempre accade e le personalità fragili soccombono.

Grazia Gironella ha detto...

E' difficile, da genitore, non preoccuparti di cosa sia bene per tuo figlio, e una volta che la tua idea si è fissata, rischi davvero di fare danni. Serve, prima ancora dell'amore, un rispetto incondizionato, che del resto si deve a tutti, non soltanto ai figli. Da figli, è importante essere forti. Dispiace vedere persone perdute così.

Azzurrocielo ha detto...

Che tristezza... Essere genitori significa aiutare i figli a trovare la loro strada, come ha scritto qualcuno più o meno così " dargli ali per volare e un nido in cui tornare" .
È difficile, per i figli si vorrebbe il meglio erroneamente pensando a quello che noi genitori crediamo sia il meglio. Essere genitori implica la consapevolezza che i figli non sono nostra proprietà da modellare a nostra immagine e somiglianza o a come vorremmo che fossero. Purtroppo accade molto spesso, forse quella madre lo fece con tutte le buone intenzioni, e spero che abbia avuto modo di capire il proprio errore

Giulia Lu Mancini ha detto...

Si pensa che il meglio per i figli sia una determinata situazione, magari molto sensata e ragionevole ai nostri occhi, senza chiedersi se sia davvero quello che può renderli felici. È un compito difficile, per questo si può sbagliare, purtroppo a volte si tratta di errori irreparabili.

Giulia Lu Mancini ha detto...

“Dargli ali per volare e un nido in cui tornare” è un bellissimo concetto che rende davvero il senso di come debba comportarsi un bravo genitore. Non so se la madre di Carlo si sia pentita, magari ha dato la colpa dell’esaurimento del figlio a quel lavoro da impiegato che non è mai arrivato, oppure al destino avverso. Certo ha pagato caro quel suo desiderio di avere un figlio realizzato secondo le sue prospettive.
A volte i genitori non si rendono conto del male che possono causare con un atteggiamento sbagliato.
Per esempio mia madre non voleva che continuassi gli studi perché ero una “femmina”, se non fosse stato per mio zio che mi spronò a continuare, forse non mi sarei laureata e oggi non avrei la mia indipendenza, qualcosa che nella vita non ho mai rimpianto. C’è una scena ne L’amica geniale di Elena Ferrante in cui la madre di Elena si arrabbia perché la maestra vuole farla studiare e ottenere una borsa di studio, perché dice che deve aiutarla in casa, poi il padre si convince e la sostiene. Mi sono ritrovata in quella situazione, anche se in forma meno tragica.

Marina ha detto...

Triste e commovente questa storia! È difficile rapportarsi ai figli, difficile fare i genitori: magari si pensa di volere il bene di un figlio e gli si consiglia di operare scelte nella convinzione che siano quelle giuste. Invece io so che un’indole va assecondata, non coartata, che non bisogna intervenire mai nei sogni di un figlio, aggiustarli,migliorarli. Perché non sai cosa quell’ingerenza può provocare, che reazioni può suscitare.
Mi dispiace per questo povero uomo: a Caltanissetta, l’anno scorso, la città ha pianto la morte di una donna anche lei molto sfortunata, con un passato che tutti conoscevamo, che andava girando per la piazza e che tutti conoscevano perché era fuori di testa. Storie tristi, davvero.

Barbara Businaro ha detto...

"Le colpe dei padri ricadono sui figli" è una frase che mi disse tempo fa un'amica psicologa, intendendo in realtà che le difficoltà dei genitori, le loro frustrazioni, le loro ambizioni represse, i loro conflitti interiori, le loro idee e sì, anche le loro colpe, finiscono addosso inevitabilmente ai figli. Una storia triste ma una storia purtroppo comune, in vari livelli. Spesso il percorso scolastico è deciso dai genitori senza considerare le capacità dei ragazzi, sia sopravalutandoli e pretendendo che frequentino un liceo esclusivo quando vorrebbero solo "sporcarsi le mani" in un'officina (sarebbe da raccontargli la storia di Horacio Pagani, magari), sia sottovalutandoli perché una laurea costa troppo e non vale la pena oppure, questa per le ragazze, "tanto si sposa e resta a casa coi bambini". E un figlio difficilmente riesce a dire di no al genitore, purtroppo scatta anche il "ricatto d'amore", quella manipolazione subdola per cui un genitore arriva a dirti "io so quel che è bene per te, tu no". Che tristezza.

Elena ha detto...

Una storia che suscita tristezza e anche rabbia. Per le convenzioni sociali cui la madre si è sottoposta, promesse di posti di lavoro non mantenute, ambizioni da classe media che svaluta il lavoro fisico. La cultura che se non è in un un percorso di scelta individuale diventa nemica. Non possiamo sapere se il disturbo mentale di Carlo sia dovuto alle scelte di altri su di lui o a una grande delusione d'amore. Qualcosa sarebbe accaduto comunque probabilmente, ma certo l'impressione di una famiglia e di un paese che non lo guarda, se non di sbieco, quasi impaurito, è terribile per il gelo e l'indifferenza che nasconde. Eccetto la tua. Nel tuo racconto Carlo ritrova uno spazio in cui esistere per com'era. Sono certa che ti è grato e lo sono anche io. Hai acceso una luce sulla malattia mentale. In questi giorni terribili si prepara di peggio. E non siamo affatto preparati

Giulia Lu Mancini ha detto...

Sai Marina, tu forse come me sai cosa significa vivere le convenzioni sociali di un centro del sud, forse oggi le cose sono cambiate, però la gente può condizionare molto, soprattutto in un piccolo centro di provincia, e se non sei abbastanza forte puoi soccombere. Io ho sempre combattuto certi atteggiamenti e certe idee superficiali (io apprezzo di più un bravo meccanico che un impiegato mediocre, ma spesso si da più importanza all’apparenza che alla sostanza). Io per esempio sono scappata dal mio piccolo centro di provincia di cui ho apprezzato le bellezze ma non la mentalità, di Bologna ho amato soprattutto la possibilità di vivere nell’anonimato, senza essere oggetto di critiche per ogni passo che facevo.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Sì cara Barbara, i genitori possono fare molto per i figli, nel bene e nel male. Purtroppo non tutti i genitori sono illuminati e riescono a indirizzare i loro figli e a pensare al loro bene piuttosto che alle proprie ambizioni. Il ricatto d’amore poi è terribile, è un modo subdolo per manipolare la volontà dei figli indicendoli a fare quello che il genitore vuole e che reputa sia il meglio, chissà magari sono in buona fede…

Giulia Lu Mancini ha detto...

Quando lo incontravo mi si stringeva il cuore, purtroppo non potevo fare granché, ogni tanto chiedevo a mia sorella perché non avessero tentato di curarlo, ma non ricordo la risposta, forse non fu fatto abbastanza oppure era lui stesso che rifiutava le cure, non lo so. Chissà se in lui c’era già qualcosa che non andava oppure è stata proprio la situazione in cui si è trovato a determinare il suo esaurimento, però non si era chiuso in casa e, forse, proprio con quel suo eterno peregrinare, chiedeva di esistere.

Maria Teresa Steri ha detto...

Mi sono venuti i brividi... Una storia triste che fa anche molto riflettere. C'è da chiedersi se Carlo fosse comunque destinato alla depressione o se siano stati gli eventi causati dalla madre a scatenarla. Fatto è che la depressione e la fragilità emotive sono delle brutte bestie, poco comprese perfino da chi ti sta vicino e dovrebbe supportarti.

Giulia Lu Mancini ha detto...

Una storia triste, vero, mi sono chiesta anch'io se fosse una persona già predisposta per la depressione, non lo so. Certamente noi vedevamo solo quello che appariva all'esterno, le altre informazioni le ho avute da mia sorella che lo conosceva direttamente e prima dell'esaurimento, quindi la causa potrebbe essere stata la madre oppressiva oppure tante concause messe insieme, madre compresa.