mercoledì 12 novembre 2025

Mentre aspetto di essere felice

 


La felicità non dipende dalle cose esterne, ma dal modo in cui le vediamo. Lev Tolstoj

Mia madre diceva sempre: “Non vedo l’ora di invecchiare e potermi sedere tranquilla, nel mio angolino, senza più pensieri. Finalmente in pace.”

Si illudeva che la vecchiaia portasse con sé la pace, ma quella pace non l’ha mai trovata. Del resto, non è neppure arrivata a essere davvero vecchia: la morte l’ha colta prima che potesse diventare una candida vecchietta.

La verità è che spesso immaginiamo un traguardo oltre il quale saremo finalmente sereni, liberi dalle ansie e forse persino felici. Ma è solo un’illusione: ogni volta che raggiungiamo un obiettivo, ne appare subito un altro, e con esso un nuovo motivo di inquietudine o insoddisfazione.

Anch’io cado spesso in questa trappola.

Da ragazza aspettavo l’estate come il momento in cui avrei potuto fare tutto ciò che durante l’inverno la scuola o gli esami universitari mi impedivano. Quando andavo a scuola, l’arrivo dell’estate mi riempiva di euforia: tre mesi senza studio, un periodo spensierato che oggi rimpiango. Ma in realtà, allora, mi annoiavo molto.

Mentre alcune amiche partivano per il mare o per qualche bel viaggio, io restavo in paese, con la sola prospettiva di riposare, leggere libri presi in biblioteca e fare passeggiate serali con le amiche rimaste. Non erano molte, e le “fortunate” che avevano la casa al mare erano poche.

Alla fine, però, anche quella noia aveva il suo fascino: leggevo tanto, sognavo, fantasticavo sul futuro e sulle serate che mi aspettavano, sperando sempre che accadesse qualcosa di diverso dalla solita passeggiata con un gelato in mano.

Ora rimpiango persino quella noia estiva, così salutare per la mia fantasia. È allora che ho capito di voler scrivere.

All’università quella sensazione di attesa si fece ancora più intensa, e le estati ancora più deludenti. Ogni anno studiavo senza tregua per finire gli esami e, appena conclusa la sessione, mi immaginavo un’estate perfetta, piena di giorni spensierati e leggeri.

Invece finivo sempre per annoiarmi un po’. Non che mi dispiacesse del tutto — amavo crogiolarmi nel dolce far niente, leggere, riposare — ma le serate con gli amici o gli incontri con il ragazzo che amavo non erano mai come li avevo sognati.

Avrei voluto uscire, divertirmi davvero, vivere tutto con quella pienezza che avevo immaginato…

Lo so, la vita è un alternarsi di attese e brevi serenità; la pace non è un traguardo, ma un lampo.

Forse la pace o, forse è più corretto dire, la serenità non arriva tutta insieme, non si conquista una volta per sempre: è fatta di attimi brevi, di silenzi improvvisi, di giornate in cui il tempo sembra fermarsi e tutto, per un momento, ha un senso.

Negli anni ho acquisito la consapevolezza di quanto certe attese siano una mera illusione ed è proprio questo che probabilmente mi ha reso più serena e ho imparato a riconoscere i momenti di calma nella vita quotidiana.

La serenità non è “lì davanti”, ma “qui e ora” 

Oggi non aspetto più l’estate come una promessa. La serenità non arriva quando finisci un esame, un lavoro o una stagione: arriva a sprazzi, quando smetti di rincorrerla.

A volte la trovo in una mattina silenziosa, in un libro che mi prende, o nel semplice piacere di non dover fare nulla.

Forse non si arriva mai davvero da nessuna parte — ma si può imparare a stare bene anche lungo la strada.


Fonti immagini: Pixabay 

giovedì 30 ottobre 2025

Quella strana nostalgia

Non so se tutti hanno capito Ottobre la tua grande bellezza, nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza. Francesco Guccini 

 

Ottobre ha sempre avuto per me un fascino particolare. È un mese che segna la fine di qualcosa e, allo stesso tempo, un nuovo inizio: le giornate si accorciano, ma la luce diventa più morbida, più intima. Sembra un tempo sospeso, fatto di luci dorate e pensieri quieti. Forse è per questo che mi ritrovo spesso a fare bilanci, a guardare indietro e a cercare un senso nelle piccole cose di ogni giorno.

Siamo ormai arrivati alla fine di ottobre anche quest’anno. È stato un mese trascorso piacevolmente, nonostante le ansie di cui accennavo nel mio ultimo post. 

Mentre settembre ci lascia ancora assaporare gli ultimi strascichi d’estate, ottobre ci immerge nell’autunno, è un mese che invita alla lentezza e alla riflessione, un invito che accolgo sempre con entusiasmo: un po’ perché sono pigra, un po’ perché la mia natura mi porta a ritirarmi in me stessa e a godere delle piccole cose.

Il sole autunnale ci ha regalato molte giornate luminose, e ne ho approfittato per concedermi lunghe passeggiate, spesso immerse nella natura. Abbiamo anche trascorso una splendida giornata in campagna per festeggiare l’arrivo dell’autunno. Una nostra amica ha una casa in campagna, e ogni anno, più o meno in questo periodo, ci ritroviamo tutti insieme per un pranzo all’aperto tra grigliate e castagne. È diventata una tradizione, un modo semplice ma autentico per ritrovarci e celebrare il fatto di essere ancora insieme.

Proprio in quell’occasione mi sono sorpresa a pensare agli anni passati. Ho iniziato a frequentare questa compagnia nel 1984, all’inizio del secondo anno di università — sono passati quarantun anni. In mezzo ci sono stati periodi di distanza, almeno per quanto mi riguarda: matrimoni finiti, momenti particolari, silenzi. Poi, qualche tempo fa, ci siamo ritrovati, e da allora non ci siamo più persi di vista. La festa d’autunno è diventata il nostro modo di dirci che, nonostante tutto, ci siamo ancora.

E così, inevitabilmente, si torna con la mente agli anni in cui tutto era ancora possibile: il futuro come una tela bianca, che faceva un po’ paura ma anche sognare. Poi arrivano gli anni del lavoro, della vita frenetica, in cui non c’è tempo per porsi troppe domande, né esistenziali né professionali.

E infine, quasi senza accorgertene, varchi la soglia dei cinquanta, poi dei sessanta, e senti il bisogno di fermarti. Di riflettere. Di assaporare la vita con calma.

Ormai sappiamo chi siamo, molto più di quanto potessimo immaginarlo a vent’anni, quando ancora si navigava a vista in cerca di una direzione. Certo un po’ mi manca quel tempo in cui era ancora tutto possibile, in cui mi chiedevo “cosa farai da grande?” Era anche un tempo in cui il mondo sembrava migliore, anche se forse non è davvero così, è solo il velo offuscato della memoria che fa sembrare tutto più bello. 

In questo mese in cui il tempo rallenta e i ricordi tornano a bussare, sento il bisogno di fermarmi, di guardare indietro e di ringraziare per le strade percorse e per le persone che ancora camminano accanto a me. 

Forse è questo che mi piace dell’autunno: la capacità di farmi rallentare e guardare le cose con occhi più sinceri. Con il passare del tempo non cerco più grandi risposte, ma piccoli momenti di verità

Mi piace pensare che ogni autunno porti con sé una nuova consapevolezza, un modo diverso di stare al mondo. Anche se il tempo passa, restano le persone, i ricordi e quella voglia semplice di condividere un pezzo di strada insieme.

Volevo scrivere un testo con uno spirito ottimista e non lamentoso, ma alla fine è venuto fuori un post piuttosto nostalgico. Capita anche a voi, quando l’aria si fa più fresca e le foglie cambiano colore, di sentire una lieve nostalgia per qualcosa che non sapete definire?






Fonti immagini: foto mia del sentiero di accesso della casa di campagna 

domenica 12 ottobre 2025

Ballando sull’orlo del precipizio

 

Tutta la propaganda di guerra, tutte le urla, le bugie e l'odio, provengono invariabilmente da persone che non stanno combattendo. George Orwell.

Non so voi, ma in questi giorni ho la sensazione di vivere nell’attesa di una catastrofe imminente, come se la terza guerra mondiale potesse scoppiare da un momento all’altro. Putin gioca con i droni nei cieli d’Europa, mentre quell’americano grottesco, che prometteva di chiudere la guerra in Ucraina in tre giorni se fosse stato eletto, ora minaccia di mandare in mare i suoi sommergibili nucleari. Sembra di assistere a due bambini che giocano con i destini del mondo — il nostro mondo occidentale, indebolito da ottant’anni di pace e incapace di imparare davvero dalla storia.

E cosa possiamo fare noi, cittadini comuni e spesso inermi? Oltre, magari, ad andare a votare quando è il momento — finché viviamo in una democrazia — occorre agire. Bisogna farsi sentire, partecipare, fare rumore con scioperi e manifestazioni in piazza.

Devo dire che questo Paese, tutto sommato, mi ha stupito: ho visto una grande partecipazione sia il 22 settembre sia il 3 ottobre. In quest’ultima occasione mi sono trovata personalmente coinvolta nei disagi della manifestazione: mio malgrado, ero nei pressi di una strada che portava alla tangenziale, dove avrei dovuto passare anch’io. Ci ho messo due ore e mezza per riuscire a tornare a casa, ma nonostante tutto ero contenta di vedere tanta gente in strada — finalmente qualcosa si muoveva.

È di questi giorni la notizia dell’accordo di pace tra Israele e Gaza (sarà vero?). Io resto alla finestra e aspetto gli eventi: spero che non sia soltanto un’illusione, anche se, probabilmente, è appena iniziato il tempo degli affari legati alla ricostruzione — affari da cui, certamente, trarranno vantaggio i grandi registi che hanno deciso la pace alle loro condizioni.

Tuttavia, anche così, dobbiamo rallegrarci: i bambini di Gaza potranno mangiare e tornare a scuola, anche se per ora vivranno nelle tende.

E l’Ucraina? C’è speranza anche per l’Europa? Putin smetterà, finalmente, di bombardare?

È difficile dirlo: in questa guerra pesano interessi economici enormi — le famose terre rare — e, purtroppo, la guerra resta soprattutto una questione di economia. Come recita una bella poesia di Trilussa, “la guerra la fanno i poveri, ma la decidono i ricchi”.

La storia ci ha insegnato che ogni pace è fragile, ma anche la più imperfetta vale più di qualsiasi guerra, perché ogni tregua, ogni bambino che torna a scuola, ogni silenzio dopo una sirena è già un piccolo inizio. E da qualche parte, forse, la pace sta imparando a camminare. 

Restiamo sull’orlo del precipizio, sospesi tra guerra e pace, tra verità e propaganda, con il vento della storia che ci spinge e la paura di cadere. Ma forse, proprio lì, su questo margine incerto vale la pena credere che qualcosa possa cambiare. 

Vi lascio con questa bellissima poesia recitata dal grande Gigi Proietti - link yuotube - mai parole mi sono sembrate così attuali 



Fonti immagini: Pixabay 

domenica 28 settembre 2025

Viaggio di ricordi tra tutti i miei sport

 

Lo sport allena il corpo, fortifica la mente.

Qualche tempo fa lessi un articolo su Donna Moderna che parlava delle nuove tendenze del fitness.

"no pain no gain" nessun dolore nessun risultato. Negli anni 80 questo moto vagamente minaccioso ha fatto il giro del pianeta. Lo ripeteva, nei suoi celebri VHS, la regina del fitness dell’epoca. L’obiettivo? Un corpo più magro e tonico, anche a costo di stancarsi da morire.

Quarant’anni dopo, le motivazioni che ci spingono ad allenarci sono cambiate radicalmente. Non più solo estetica e sacrificio, ma benessere, equilibrio e divertimento.

Ed è stato proprio quel ricordo a farmi pensare a tutti gli sport che ho provato nella mia vita.

Gli anni universitari: zero sport, solo studio

Da ragazza non facevo nessuno sport. Ero magrissima, mangiavo quello che volevo e non mettevo su un etto. A vent’anni funzionava così: metabolismo miracoloso o forse semplicemente un’alimentazione più sana.
All’università, invece, tra studio e mancanza di soldi, la palestra era impensabile. Vivevo per la borsa di studio della regione Emilia-Romagna e l’unico obiettivo era laurearmi. Ci riuscii in 4 anni, nei tempi canonici (col senno di poi, forse avrei potuto prendermela più comoda).

Tennis: la mia prima passione sportiva

Il vero approccio allo sport arrivò con la vita lavorativa. 

Frequentavo un gruppo di amici in cui c’era una ragazza che di professione faceva la maestra di tennis e quindi ci convinse a frequentare una serie di corsi offerti a prezzi promozionali dal circolo del dopolavoro ferroviario di Bologna. Insieme a una cara amica, principiante assoluta come me, frequentammo il primo corso e poi ne seguirono altri due. 

La maestra di tennis organizzò addirittura un torneo presso il circolo, per il nostro gruppo di amici e ci divertimmo molto.

Io e la mia amica principiante provammo a organizzarci per qualche partita dopo il lavoro. Spesso ci univamo ad amici più esperti: nel tennis è l’unico modo per non passare la serata a rincorrere palline 🥎. Ci riuscimmo solo un paio di volte, poi gli impegni presero il sopravvento e finimmo per lasciar perdere. Dopo tre corsi, scoraggiate, decidemmo di non iscriverci al quarto.

Ho un bellissimo ricordo di quel periodo, anche se non durò a lungo. Ancora oggi chiamo quel gruppo “la compagnia del tennis” e con alcuni sono rimasta in contatto.

In cantina conservo ancora la mia racchetta Rossignol usata e un tubo con tre palline gialle che non ho mai avuto il coraggio di buttare.

Nuoto: affrontare la paura dell’acqua

Dopo il tennis decisi che era tempo di uno sport diverso, da praticare anche da sola. Così mi iscrissi ai corsi di nuoto, con l’obiettivo di superare la mia paura dell’acqua.

Feci ben quattro corsi, dal principiante fino al primo livello. Due sere a settimana, dalle 20 alle 21. Ricordo bene la routine: uscire dal lavoro, cenare al volo, correre in piscina, allenarmi, doccia, capelli, fila negli spogliatoi… e rientrare a casa quasi alle 23. 

Faticoso sì, ma una soddisfazione enorme. Finalmente non mi limitavo più a stare “dove si tocca”: sapevo quasi nuotare davvero, ma solo in piscina, perché oggi in mare resto dove si tocca. 

Alla fine abbandonai i corsi di nuoto: erano diventati troppo impegnativi. Dopo l’allenamento c’era tutta la trafila di doccia, capelli da asciugare, file infinite agli spogliatoi… e in pieno inverno non potevi certo uscire con la testa bagnata senza rischiare un malanno.

Così decisi di provare l’acquagym, sempre nella stessa piscina. Era più semplice, non serviva bagnarsi i capelli e comunque muoversi in acqua restava molto salutare.

Per un anno funzionò, poi cambiò l’insegnante (o forse sospesero i corsi, non ricordo bene) e finì che lasciai la piscina definitivamente.

Palestra: tra obbligo e noia

Passò del tempo e per alcuni anni non praticai nessuno sport in modo costante, anche se ogni fine settimana facevo trekking con mio marito. Era più una sua passione che mia, ma comunque un modo per mantenere un minimo di attività fisica. Poi, un giorno, spinta da una collega, iniziai a frequentare una palestra. Provai un po’ di tutto: corsi di aerobica, zumba, fit boxing, total body, crossfit, spinning e molte altre attività, affiancandole a esercizi a corpo libero con pesetti e attrezzi vari. Vi confesso però che la palestra l'ho sempre trovata piuttosto noiosa, però ho fatto delle belle amicizie con alcune ragazze che frequentavano i miei stessi corsi.  

Corsa: un respiro nel verde 

Nonostante la palestra fosse parte della mia routine, gli sport che più mi appassionavano erano quelli all’aria aperta. Durante l’inverno frequentavo regolarmente la palestra, ma con l’arrivo della bella stagione preferivo correre nel parco dei Cedri, un’oasi verde vicino a Bologna. Ho continuato finché i menischi non mi hanno dato problemi. Oggi mi limito alla camminata veloce vicino casa.

Bicicletta: mettersi alla prova

Poi arrivò la bicicletta. Ogni domenica percorrevo circa 40 km lungo la Val di Zena, e ogni uscita era una piccola gioia: pedalare tra le colline bolognesi nelle mattine di primavera era un’esperienza impagabile, che mi dava energia e serenità.

Yoga e Pilates: una vera scoperta 

Un anno scoprii lo yoga tramite una delle insegnanti della palestra che era anche insegnante di Yoga ed era bravissima. 
Lo yoga è una disciplina che unisce movimento, respiro e concentrazione per favorire il benessere fisico e mentale. Consiste in posizioni (asana), esercizi di respirazione e spesso anche di meditazione o rilassamento. L’obiettivo è migliorare flessibilità, forza, equilibrio e postura, oltre a ridurre stress e tensioni, aumentando consapevolezza e calma interiore. In poche parole, lo yoga non è solo ginnastica: è un allenamento del corpo e della mente insieme. 
Per un anno non mi sono persa una lezione, poi la maestra lasciò la palestra che frequentavo e non riuscii a seguirla per motivi logistici e di orari inconciliabili con il mio lavoro. 

Tuttavia una delle insegnanti di aerobica (la mia preferita e che ho seguito per anni in varie palestre) mi fece scoprire il Pilates, anche questo è un metodo di allenamento che punta a rafforzare i muscoli profondi, migliorare postura, equilibrio e flessibilità, e aumentare consapevolezza del corpo. Si basa su movimenti controllati, respirazione coordinata e concentrazione, ed è adatto a tutti, sia per chi vuole tonificare sia per chi cerca un’attività più dolce ma efficace. Come stavo bene dopo le lezioni di Pilates!

Ahimè, dopo la pausa dovuta alla pandemia, c'è stata una battuta di arresto, non riesco più a tornare dalla mia maestra di pilates: adesso le lezioni sono davvero troppo lontane da casa mia.


Nel mezzo c'è stato anche il periodo della danza orientale e ne ho parlato in un post I migliori anni della nostra vita quindi non mi dilungo oltre, questo post è stato quasi un viaggio nei ricordi. Guardando indietro, capisco che lo sport non è stato per me una questione di fisico o di prestazioni. Mi ha regalato momenti, persone, emozioni. Alla fine, ciò che resta non sono i muscoli o la forma perfetta, ma il piacere di averci provato.

E voi che rapporto avete con lo sport?


Fonti immagini: Pixabay 

domenica 7 settembre 2025

Vacanze tra insonnia, letture e serie tv

 

L’estate è come una promessa che non mantiene mai. William Faulkner


Vacanze, quell’attesa che sa di sogno, di libertà, di giornate infinite da vivere a pieno. Si immaginano posti straordinari, avventure indimenticabili, momenti perfetti. E poi… arriva la realtà: corse, imprevisti, stanchezza che sembra non finire mai. E la delusione di scoprire che non sempre le vacanze sono come nei nostri pensieri.

Forse il segreto non è cercare lo straordinario a tutti i costi, ma imparare a riconoscere la bellezza anche nelle piccole cose, nei dettagli semplici, nei respiri lenti.

Perché alla fine, più che di mete lontane, abbiamo bisogno di ritrovarci davvero. E io avevo bisogno di ritrovare me stessa, soprattutto il tempo per me stessa, ma di fatto non è stato così, alla fine i giorni di ferie sono stati un po’ risicati anche se ho cercato di allungarli alternando ferie e telelavoro, scoprendo che il lavoro anche a distanza resta lavoro. 

Tutto sommato, però, l’estate è anche un tempo di riflessione, un tempo sospeso nel suo lungo abbraccio caldo, tra il colore della notte e l’attesa dell’alba. Tra la stanchezza e l’insonnia. La notte insonne ha un suono tutto suo, fatto di silenzi che pesano più di qualsiasi rumore. Le lancette dell’orologio si muovono con una lentezza ostinata, eppure i pensieri corrono veloci e nel buio tutto sembra amplificato: un ricordo lontano riaffiora come se fosse successo ieri, un dubbio si ingigantisce fino a occupare l’intera stanza, un desiderio irrealizzato diventa pungente come una ferita appena aperta. In queste ore la mia diventa inquieta, irrequieta, incapace di fermarsi. Di giorno, distrazioni e impegni tengono a bada questo flusso sotterraneo, ma la notte lo lascia libero di scorrere. Per sfuggire alla corsa dei pensieri cerco quindi di occupare il tempo, anche se nelle notti insonni nonostante l’oscurità tutto può diventare improvvisamente più chiaro. 

Ma è nelle notti insonni che ho trovato il tempo per me, nel silenzio della notte, nella luce soffusa mi sono spesso ritrovata a pensare, ma anche a leggere e a guardare serie tv, che tanto al mattino potevo dormire qualche attimo in più. 

Nel mese di agosto sono stata catturata da una serie tv che mi ripromettevo di vedere da diverso tempo: 1992-1993 e 1994 

Riporto quanto trovato in rete 

La trilogia “1992”, “1993” e “1994”, prodotta da Sky, racconta in chiave romanzata gli eventi di Tangentopoli e l’inchiesta Mani Pulite, che portarono alla fine della Prima Repubblica. La trama segue sei personaggi le cui vite si intrecciano con la politica italiana dei primi anni ’90, con apparizioni di figure storiche. La storia è ambientata principalmente a Roma e Milano. Tra i protagonisti figurano Stefano Accorsi, Miriam Leone, Guido Caprino, Tea Falco, Domenico Diele, Antonio Gerardi, con l’introduzione di Laura Chiatti e Paolo Pierobon nel ruolo di Silvio Berlusconi.

Vedere questa serie è stato quasi come fare un viaggio nella mia vita: mi ha fatto ripensare a quegli anni e ai paralleli con la mia esistenza. All’epoca ero molto giovane e distratta, senza rendermi conto di quanto stava accadendo intorno a me, eppure quegli eventi hanno segnato non solo il futuro del nostro paese, ma anche la mia vita. Solo oggi, a distanza di tempo, comprendo molte cose. La politica non è qualcosa di astratto: un cattivo governo, prima o poi, cambia la vita dei cittadini, spesso in peggio, anche se ogni tanto qualcuno riesce a cavarsela. Lo abbiamo visto con la globalizzazione, le pensioni, il Covid, le guerre.

Avete mai sentito la storiella della rana che, immersa inizialmente in acqua fredda che poi si scalda lentamente, non salta fuori fino a morire bollita? 

Oggi rischiamo di vivere la cosiddetta “sindrome della rana bollita”: una potente metafora di quanto sia facile adattarsi a peggioramenti lenti e graduali senza percepirne davvero il pericolo, finché la situazione diventa insostenibile e reagire diventa quasi impossibile. È il rischio di accettare passivamente ciò che peggiora a poco a poco, fino a ritrovarsi travolti.

Ho visto anche qualche film ma quello che mi è rimasto più impresso (avevo iniziato a vederlo per potermi addormentare e poi mi ha catturato fino alla fine) è Humane della regista esordiente Catling Cronenberg (figlia di David) una storia tra il distopico e il dramma familiare, più che mai attuale. 

Per quanto riguarda le mie letture dell’estate vi riporto sotto l’elenco di giugno-luglio-agosto direttamente dal post che mantengo aggiornato man mano che concludo ogni libro

Giugno
17. Chi dice e chi tace di Chiara Valerio (Emilia digital Library)
18. La scoperta dell’alba di Walter Veltroni (Emilia digital Library) 
19. Il vento conosce il mio nome di Isabel Allende (Amazon 2,99)
Luglio 
20. Dimmi di te di Chiara Gamberale (Emilia digital Library)
21. Sarò il tuo mecenate di Maria Teresa Steri (Amazon 1,50)
Agosto
22. Le bugie sepolte nel mio giardino di Kim Jin Yeong (Apple 1,99)
23. Felici tutti i giorni di Laurie Colwin (Emilia digital Library)
24. Passeggeri notturni di Gianrico Carofiglio (Emilia digital Library)
25. La regina dei sentieri di Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone (prime gratuito)


Sto leggendo meno in questo ultimo anno, ma non lo considero un problema, piuttosto non ho ancora letto un libro che mi abbia entusiasmato davvero. Molto bello “Il vento conosce il mio nome” di Isabelle Allende. Questa autrice è sempre molto brava a trattare storie difficili. Samuel bambino ebreo che sfugge ai campi di stermino ma perde tutta la sua famiglia e vive tutta la vita cercando un senso all’orrore che ha vissuto, si ritrova anni dopo negli occhi di Anita, bambina salvadoregna rimasta sola, separata dalla madre, al confine degli Stati Uniti per le politiche anti migratorie di Trump. Temi purtroppo ancora troppo attuali.
Avvincente il thriller psicologico di Maria Teresa Steri “Sarò il tuo mecenate” che mi ha fatto compagnia quasi tutto luglio tanto che mi è dispiaciuto averlo finito, per fortuna non era in prestito! 
Molto piacevole il romanzo La regina dei sentieri di Marco Malvaldi e Samanta Bruzzone, mi ha portato nelle atmosfere del BarLume da me tanto amate, ma tutto al femminile.
Le altre letture piacevoli a parte “Le bugie sepolte nel mio giardino” che ho trovato veramente brutto e faticoso da leggere.
Come dicevo non trovo più delle letture che mi entusiasmino e quindi sto cercando nuovi autori, l’altro giorno sono stata in una libreria con una mia amica che si è fatta consigliare diversi libri da una commessa (accanita lettrice) che ci ha segnalato parecchie letture; la mia amica ha comprato tre libri, io ho ascoltato con attenzione perché li voglio prenotare presso la biblioteca digitale, non riesco più a leggere il cartaceo, quindi mi affido agli eBook sia comprati che in prestito. Tra l’altro sto trovando molto più piacevole l’app Kindle di Amazon, prima preferivo quella di Apple ma dopo gli ultimi aggiornamenti mi piace molto meno, tanto che, quando compro un eBook, ormai tendo a comprarlo su Amazon invece che su Apple. Invece è fatta molto bene quella della biblioteca digitale, peccato che il tempo concesso per il prestito sia così breve, pazienza. 

Non mi dilungo oltre, ormai ho ripreso il lavoro pieno da due settimane e le vacanze sembrano già lontane. La foto del post l’ho fatta io, un giorno che mi ero svegliata presto per andare a comprare il pesce fresco.  L’alba sull’Adriatico può essere davvero bellissima. 

E voi cosa ne pensate, di estate, film, serie tv, libri e qualsiasi cosa; riuscite davvero a staccare in vacanza? 


venerdì 27 giugno 2025

La libreria del mistero e altre leggerezze

 


Qualche tempo fa, mentre curiosavo su Prime alla ricerca di un film da guardare, mi sono imbattuta in alcune serie di qualche decennio fa. È stato in quel momento che ho avuto la conferma: sì, sono decisamente “vintage”. Tra i titoli proposti ho ritrovato una serie che mi appassionava ai tempi, quando veniva trasmessa d’estate la domenica pomeriggio, al posto di “Domenica In”, o in qualche serata fiacca in assenza di repliche. Il titolo? La libreria del mistero.

È una serie dell’inizio degli anni Duemila (ho controllato: 2003). Nel primo episodio, la protagonista Samantha Kinsey eredita una libreria specializzata in letteratura gialla. La sua passione per questo genere la spinge a risolvere misteri in cui finisce per imbattersi, affiancata da Ian Philby, un collaboratore che condivide il suo interesse per le indagini. (Questa parte, lo ammetto, è ripresa da Wikipedia.)

Così, spinta dalla nostalgia, ho salvato la serie tra i preferiti e mi sono messa a guardare tutti gli undici episodi — ciascuno della durata di circa novanta minuti. Le investigazioni di Samantha avevano il potere di rilassarmi: niente tecnicismi alla CSI, niente sangue o scene cruente, solo una giusta dose di suspense e trame sufficientemente intricate da catturare l’attenzione senza stressare. Dei gialli piacevoli, ambientati in una libreria accogliente. Quando ho finito l’ultimo episodio, mi sono sentita quasi orfana: “Ma come, è già finita? E adesso, cosa guardo per rilassarmi?”

Tempo prima avevo iniziato a vedere un’altra serie, ancora più “vintage”, ma poi mi sono persa nel mare delle offerte tra Prime e NOW. Mi succede spesso ultimamente: non ho mai tempo per guardare nulla, e quando finalmente mi metto sul divano, finisce che crollo addormentata. Insomma, perché una serie o un film riesca a conquistarmi davvero, deve anche avere il merito di tenermi sveglia.

Un’altra serie che mi ha coinvolto è stata Sorelle sbagliate, tratta dall’omonimo romanzo di Alafair Burke, che avevo letto l’anno scorso. Ogni volta che leggo un libro, scatta in me la curiosità di vedere come sia stato tradotto sullo schermo. E devo dire che in questo caso la resa è stata davvero interessante.

Ora sto guardando Pesci piccoli 2 la seconda stagione, non è un thriller ma una serie che trovo irresistibile come i loro protagonisti.

Pesci Piccoli - Un'agenzia. Molte idee. Poco budget è una serie televisiva italiana del 2023 prodotta da The Jackale Mad Entertainment in collaborazione con Prime Video. La serie è composta da quattordici episodi di durata compresa tra i ventisei e i ventinove minuti ciascuno. Tutti gli episodi della prima stagione sono stati pubblicati l'8 giugno 2023 mentre la seconda stagione è uscita il 13 giugno 2025. 

Nell'epoca delle star di TikTok e di vite di successo incorniciate nei social, l'agenzia Tree of us vede l'arrivo della manager Greta, declassata dalla prestigiosa sede di Milano a quella minore di Napoli. Inizialmente decisa a mantenere un alto profilo, Greta dovrà arrendersi alle bizzarrie della nuova equipe lavorativa composta da Ciro, Fabio, Fru, Aurora e altri, che basano la loro vita lavorativa su brand provinciali minori e piccoli influencer tragicomici, intrecciando gesti di amicizia, flirt tra colleghi e riti di gruppo.

In questi giorni ho iniziato anche a vedere una serie che mi sembra intrigante L’estate dei segreti perduti, il primo episodio mi è piaciuto, vedremo come si sviluppa il mistero.

negli ultimi mesi ho visto anche diversi film interessanti, alcuni piuttosto assurdi e altri bellissimi.

Emilia Perez di Jacques Audiard ha fatto incetta di Oscar, ma mi ha lasciata perplessa.

Fino alla fine di Gabriele Muccino, film con trama assurda ma da cardiopalma.

Conclave di Edward Berger, film bellissimo, un thriller davvero avvincente e ben strutturato (un Oscar e un Golden Globe meritatissimi) ho tardato a guardarlo visto che capitava nel periodo del vero Conclave, ma è un film che vale la pena vedere.

Speak no evil - Non parlare con gli sconosciuti di James Watkins del 2024 (remake dell'omonimo film del 2022 diretto da Christian Tafdrup)  thriller terrificante ma ben fatto, che mantiene svegli.

Diamanti di Ozpetek, molto bello, con attrici fantastiche, anche quelle che non ti aspetti.

Ma chi ti conosce? di Francesco Fanuele, una commedia romantica ambientata a Bologna davvero deliziosa.

Il corpo di Vincenzo Alfieri un thriller davvero notevole, pieno di colpi di scena e con un risvolto finale inaspettato che ribalta il senso della storia.

Dopo questo post, mi prenderò una pausa per i mesi di luglio e agosto.

Tra il caldo, le scadenze e — per fortuna — anche un po’ di ferie, faccio fatica a trovare il tempo (e l’energia) per dedicarmi alla scrittura, anche solo di un post leggero.

Voi avete visto qualche film o serie interessante? Quali sono i vostri progetti estivi? Fatemi sapere nei commenti e ormai non mi resta che augurarvi buona estate, ma prima di lasciarvi condivido un post di Morena Fanti per suggerirvi (se volete) di partecipare a un gioco letterario sugli incipit, sotto vi riporto il link per poter dare un’occhiata e farvi un’idea.

Il menù degli incipit


Fonti immagini: immagine creata da me con Phonto 


sabato 7 giugno 2025

Niente di nuovo


Era verde il silenzio, bagnata la luce, tremava il mese di giugno come farfalla. (Pablo Neruda)


È passato un altro mese e ho sempre più l’impressione che il tempo mi scivoli dalle mani, paradossalmente un motivo che mi costringe a misurare il tempo che passa inesorabile e convulso é anche questo blog, quando mi accorgo che non ho scritto nulla e sono passati parecchi giorni dall’ultimo post. Lo so non è una gara e non è indispensabile, ma questo blog è ancora l’ultimo “luogo” creativo personale che desidero tenere in vita, visto che non riesco più a scrivere. Il mio problema è che il tempo del lavoro sta invadendo sempre più il mio tempo libero, anche quello che una volta dedicavo alla scrittura e al blog. Mi ritrovo sempre più spesso a finire “da casa” un lavoro cominciato in ufficio e non concluso per riunioni, chiamate, urgenze improvvise e altro. Così la scadenza da rispettare diventa il mio compito serale o del sabato mattina. Ieri per esempio ero in ferie, ma a metà giornata ho acceso il pc per finire una pratica. E così eccoci a inizio giugno (circa). Questo post non avrà grandi contenuti in quanto lo scrivo solo per mantenere in vita il blog come detto sopra. 

Di cosa posso parlare quindi? Essere sempre concentrati sul lavoro purtroppo mi svuota la mente da altri pensieri più leggeri e questo mi provoca una certa rabbia, oltre che una dose di rassegnazione. Per ricordare le cose da fare spesso faccio delle liste, è una delle cose che riesco a rispettare, ciò che metto nella lista riesco quasi sempre a farlo. In realtà una cosa in mente ce l’ho e sono i referendum di domani, io ho le idee chiare e andrò a votare, ma tutto quello che ascolto in tv e che leggo in rete mi fa riflettere in senso negativo su cosa è diventata la nostra democrazia sempre più fragile. Ripenso a quando ho iniziato a lavorare all’età di 24 anni, era un momento in cui le tutele sul lavoro erano molto più ampie di adesso, c’era perfino la scala mobile che fu soppressa dopo qualche anno con la solita scusa di rendere più snello il mercato del lavoro e agevolare le imprese, un po’ quello che si è detto per il Jobs Act e abbiamo visto dove siamo arrivati, sempre meno tutele e più precariato. 

Quando ero molto giovane non avevo una chiara coscienza politica, anch’io pensavo di più al divertimento e alle amenità giovanili, ma lavorando ogni giorno si acquista consapevolezza e solo crescendo ho lentamente capito certi meccanismi, ho capito che la politica non è un oggetto avulso dalla nostra vita, essa entra con prepotenza nella nostra quotidianità e quel voto che decidiamo di destinare a qualcuno è importante. Certo non è detto che poi tutto funzioni come ci aspettavamo e che le promesse fatte in campagna elettorale vengano mantenute, ma poter contribuire con il mio voto lo ritengo importante, il voto ci rende cittadini e non sudditi e, visto che per ora è ancora possibile, voglio farlo. 

In fondo che mi frega, io un lavoro ce l’ho, ho tutte le tutele, sono abbastanza “vecchia” e forse riuscirò ad arrivare perfino alla pensione. Figli non ne ho e che mi frega dei giovani sempre più precari e senza tutele? Perché dovrei andare a votare a questi referendum? 

Ebbene, vado a votare perché vorrei ancora credere nella democrazia e in mondo migliore di questo che si sta prospettando. 


venerdì 23 maggio 2025

La compagnia

 

Un amico è colui che non guarda il tuo recinto rotto ma ammira i fiori del tuo giardino. Anonimo.


Alcuni giorni fa ho letto un articolo di una giornalista che parlava del suo gruppo di amici. 

Ci ritrovavamo il sabato sera alle otto nel mezzanino della stazione di Loreto della metropolitana milanese, non propriamente luogo a meno e neppure ben frequentato, ma eravamo adolescenti di città e quello scampolo urbano al neon faceva poesia. parlavamo di noi di politica dell’amore e dei sogni e del mondo che avremmo cambiato insieme, abbiamo fatto mille scoperte, siamo andati all’avventura, abbiamo imparato a guidare, a lavorare, a cavarcele a stare al mondo, la vita ci ha travolti, come spesso succede: ci sono stati matrimoni, divorzi, lavori altrove, inciampi, latitanze, litigi, rappacificazioni, oggi siamo ancora qui dritti storti appannati divertiti confusi, imperfetti e solidali come eravamo allora. Spesso ci troviamo ancora il sabato sera nelle nostre case da adulti…

 (Donna moderna numero 14 del 27 marzo 2025).

Sono stata colta da un moto di nostalgia — e, lo ammetto, anche di una certa invidia — nel vedere una compagnia così unita e solidale. Anch’io, nel corso degli anni, ho avuto le mie compagnie, ma con nessuna di esse ho mai costruito un legame tanto saldo e duraturo. C’è stata, certo, la compagnia della giovinezza: piuttosto effimera, ma intensa. Ci si ritrovava durante l’estate o nelle vacanze di Natale, perché quasi tutti studiavamo fuori: alcuni a Milano, altri a Urbino, io a Bologna, mentre qualcuno era rimasto in paese a lavorare. Le vacanze rappresentavano il nostro tempo del ritorno. Ogni sera ci si riuniva a casa di qualcuno, si chiacchierava del più e del meno, si rideva, si condividevano pensieri e sogni — come solo a vent’anni sembra possibile fare.

In realtà ho avuto due compagnie. La prima l’ho frequentata dai 18 ai 22-23 anni, proprio durante il periodo universitario. Era un gruppo che si ritrovava spesso, soprattutto d’estate, in quello che chiamavamo “il muretto” – in realtà, si trattava della base di pietra di un grande albero, all’inizio di un viale alberato dove la gente andava a passeggiare.

Il gruppo era composto per lo più da ragazzi e ragazze di “buona famiglia”: figli di medici, professori, persone ben inserite nel contesto sociale locale. C’era un certo snobismo nell’aria, una forte attenzione alle apparenze. È una mentalità molto diffusa nei piccoli paesi, dove spesso ci si sente superiori solo perché si ha una bella macchina, una laurea, o un padre impiegato piuttosto che contadino. Alcuni erano simpatici, alla mano, ma i leader del gruppo incarnavano proprio quell’atteggiamento altezzoso e un po’ provinciale. Un’estate, dopo alcuni episodi poco piacevoli, ho capito che quella compagnia non faceva più per me. Per un paio di sere ho semplicemente smesso di uscire e sono rimasta a casa. Poi, una mattina, ho incontrato per caso una ragazza più giovane che conoscevo tramite amicizie in comune. Mi chiese come stavo, e io le raccontai che si prospettava un’estate un po’ complicata: non avevo più voglia di frequentare il mio vecchio gruppo e non sapevo con chi uscire. Lei non mi chiese spiegazioni – conosceva quelle persone e intuì facilmente i motivi. Si limitò a dirmi che ogni sera si ritrovava con un gruppo di amici e mi invitò a unirmi a loro quella sera stessa. Fu così che cominciai a frequentarli con regolarità, e in breve tempo divennero la mia nuova compagnia. E sono gli amici del paese che vedo ancora adesso quando torno in puglia. 

E poi ci sono le compagnie di Bologna, nate durante gli anni dell’università. Attraverso i miei compagni di corso ho conosciuto tante persone, e per un periodo ci ritrovavamo ogni sabato sera, in gruppi anche piuttosto numerosi. Col tempo, queste uscite si sono trasformate: da grandi ritrovi si è passati a serate più intime, con gruppi ristretti.

Con il passare degli anni, però, molti di quegli amici si sono allontanati. C’è chi si è trasferito in un’altra città per lavoro, chi è stato assorbito dagli impegni familiari o professionali. Per fortuna, c’è ancora uno “zoccolo duro” di amici che continuo a vedere con una certa regolarità, anche se le occasioni per incontrarsi stanno diventando sempre più rare.

In fondo alla fine, quello che conta davvero non è quanti amici ci siano, ma chi resta. E sebbene le uscite si siano diradate, sapere che ci sono ancora persone con cui basta uno sguardo per capirsi, è un piccolo, grande conforto. Anche se le compagnie cambiano, e con il tempo le strade si dividono, credo che ogni gruppo lasci qualcosa. Alcuni legami si affievoliscono, altri resistono, ma in tutti quei momenti condivisi c’è un pezzo di chi siamo stati. E, forse, anche di chi siamo oggi.

Le amicizie cambiano, crescono o si trasformano con noi. Ma alla fine, quello che conta è avere qualcuno con cui condividere un pezzo di strada. 

E voi, come vivete le vostre amicizie? Avete costruito una compagnia solida nel tempo o vi circondate di pochi amici fidati?



sabato 3 maggio 2025

Il piacere della lettura e l’arrivo di maggio

 

Di maggio mi piace il suo alzarsi sul muretto a sbirciare l’estate. Fabrizio Caramagna 


Esiste ancora il piacere della lettura in questi tempi frenetici?

Me lo chiedo sempre più spesso, perché leggere - un tempo un gesto naturale e spontaneo - sta diventando più difficile. Eppure era una delle cose che più amavo fare. Forse è anche colpa del lavoro: sono costretta a leggere documenti pieni di normative, riferimenti giuridici, parole vuote che non mi parlano. Dopo ore di letture così sterili, trovare un’autentica piacevolezza in un romanzo o in saggio diventa per me più faticoso.

E poi c’è questo rumore di fondo costante: opinioni su opinioni, tutti parlano, pochi ascoltano.

In media leggo 40 libri l’anno, eppure a distanza di tempo mi accorgo di non ricordarne davvero nessuno - salvo quelli che, in qualche modo, hanno lasciato un segno profondo. Non sarebbe forse meglio leggere 10 libri l’anno e ricordarli tutti? 

A volte mi sorprendo a scorrere l’elenco sul blog per ricordare cosa ho letto: titoli, autori e trame che svaniscono. E mi chiedo se abbia senso leggere tanto, forse è meglio rallentare e gustarsi di più le parole e le pagine.

Il mese di Aprile é stato piuttosto frenetico, come spesso accade, per via delle numerose scadenze da rispettare. La presenza della Pasqua ha complicato ulteriormente le cose: tutte le pratiche da concludere  intorno al 20 o alla fine del mese sono state anticipate al venerdì santo. Per fortuna, dopo questa corsa contro il tempo, sono riuscita a godermi qualche giorno di ferie, tre giorni, tra Pasqua e domenica 27 aprile, approfittando di un clima instabile che, paradossalmente, ha favorito il riposo. E così, quasi senza accorgermene, siamo già a maggio. Un mese che si apre senza Papa Francesco, l’unica vera voce di pace in questi tempi oscuri. Il suo augurio pasquale alla folla, pronunciato con grande fatica, mi ha profondamente commosso: era evidente che stesse molto male. Se n’è andato il lunedì dell’Angelo, un giorno quasi simbolico. C’è stato chi ha accolto al volo l’occasione per proclamare cinque giorni di lutto nazionale, riuscendo così a far passare in secondo piano le celebrazioni del 25 aprile. Personalmente, ho trovato eccessiva questa decisione, pur provando grande affetto e stima per Papa Francesco. E voi? Non penso che lui avrebbe approvato tanta pompa né tantomeno la processione di tanti sepolcri imbiancati al suo funerale.

Comunque, io il 25 aprile l’ho festeggiato lo stesso e forse con ancora più forte consapevolezza. 

Ma tornando a parlare di libri mi rendo conto che ci sono molti titoli importanti che vorrei recuperare, ma non ve li elenco perché non so se poi davvero ci riuscirò, però c’è ancora molto da leggere. Potrei leggere meno libri concentrandomi di più su alcuni di questi che vorrei recuperare. Questi sono i buoni propositi che nascono nei momenti in cui sono più riposata e quindi più lucida, dureranno? Non lo so, per il momento ho scritto questo post, visto che in aprile ho trascurato anche il blog.

Maggio è un mese che mi ricorda molto il sabato del villaggio di Leopardi, é un mese che si prepara all’arrivo dell’estate regalando delle belle giornate di sole (almeno così dovrebbe essere ma incrocio le dita nel ricordo delle alluvioni del 2023). E quindi sperando che ci porti davvero un sorriso di primavera vi auguro buon mese di maggio. 

Cosa suscita in voi questo mese?


Fonti immagini: Pixabay 

venerdì 18 aprile 2025

Cuccuruccù

 

E gli orizzonti perduti non ritornano mai. Franco Battiato


Era una di quelle sere in cui il sonno proprio non arrivava. Sfogliando distrattamente i canali televisivi, mi imbattei in un concerto su Rai Storia: sul palco c’era Battiato. Rimasi incantata a guardarlo. Era il Battiato giovane, quello de La voce del padrone, di Bandiera Bianca e Cuccuruccù. E così, senza nemmeno accorgermene, iniziarono a riaffiorare i ricordi.

Era il 1982, un’estate intera trascorsa ad ascoltare La voce del padrone. Ogni volta che partiva una sua canzone, mi sentivo trasportata in uno stato quasi di trance, immersa in quelle atmosfere sonore così insolite e penetranti.

Ma il ricordo che mi travolse davvero non era solo legato alla musica, quanto alla sensazione di ciò che ero allora: quella percezione luminosa e vibrante di un futuro ancora tutto da scoprire, quel senso di promessa che la vita sembrava custodire in ogni suo angolo.

E così per un attimo fui presa da quel tipo di nostalgia struggente che ti prende all’improvviso. Ti si riaccende qualcosa dentro. Una risata, un pomeriggio sul divano, la voce in sottofondo mentre facevi i compiti.

Ascoltavo il concerto e osservano la scena, la televisione di qualche anno fa era diversa. Era più lenta, più ingenua forse, ma più “nostra”. Adoravo Franco Battiato, anche quelle canzoni più ermetiche e meno note. 

L'estate del 1982 era molto calda e c'erano i mondiali di calcio, forse l'unico mondiale vero che io ricordi, quell'anno l'Italia vinse e quella vittoria rimase eterna, impressa nella memoria collettiva. 

Tornando a Battiato, per anni consumai le cassette musicali delle sue canzoni, poi dopo un po' ho smesso di ascoltarlo, sono stata presa dal rock di Ligabue tanto che ho partecipato a molto suoi concerti, ma Battiato ha sempre avuto con la sua voce il potere di portarmi in certe atmosfere.

L’estate 1982 fu segnata da La voce del padrone ma anche dagli album precedenti Patriots, Pollution e L’era del cinghiale bianco. Poi seguirono L’arca di noè colonna sonora del mio ultimo anno delle superiori (insieme alla discografia di Guccini soprattutto, ma di altri cantautori come De André, De Gregori e Dalla) 

Orizzonti perduti (Album del 1983 contenente la famosa La stagione dell’amore) e Mondi lontanissimi segnarono i miei anni universitari, molto ascoltati anche dopo, nei primi anni lavorativi. Ho smesso di ascoltare Battiato con costanza per tornarci poi saltuariamente a periodi alterni. Ci sono canzoni però che ritrovo e riascolto ogni volta che cerco una connessione più intima con i miei pensieri: Prospettiva Nievski, Segnali di vita, Gente in progresso, I treni di Tozeur, L’animale, Testamento, per citarne alcune quelle che ricordo meglio e che esprimono con più forza certe mie sensazioni.

Le frasi di alcune canzoni riecheggiano nei miei pensieri, tanto che ho provato a scrivere un breve componimento: 

Passammo l’estate su una spiaggia solitaria, con il vento che scompigliava i pensieri e fuggivamo il tempo senza orari né promesse. 

Erano giorni sospesi, lontani dai sabati vuoti di questa città dove c’è gente che lavora per avere un mese all’anno di ferie, noi avevamo tutto, ma non lo sapevamo ancora. La stagione dell’amore viene va e la nostra venne piano con passi leggeri e senza fare rumore. Ci lasciò in silenzio, con la sabbia ancora addosso e gli occhi pieni di tramonti. Ora a volte torno con la mente a cercare qualcosa che ho perduto o forse mai davvero avuto. Tuttavia un rapimento mistico e sensuale mi imprigiona a te. E ti vengo a cercare, almeno nei ricordi.

Ma lo so bene, è difficile trovare l’alba dentro all’imbrunire, eppure continuo a cercarla tra le pieghe di una canzone, tra i ricordi che il tempo non riesce a cancellare. 


Ci sono personaggi che sembrano amici, persone care, parte della nostra memoria emotiva. Come se, rivedendoli, tornassimo per un attimo a chi eravamo.

E dopo avervi augurato Buona Pasqua vi chiedo: qual è quel programma o quel volto che, quando lo rivedete, vi stringe un po’ il cuore ma vi fa sorridere?


Fonti immagini: Pixabay 



domenica 30 marzo 2025

L’oro del mattino

 

Al mattino gli uccelli inventano mille canti, uno per ogni riflesso della loro gola illuminata dall’alba. (Fabrizio Caramagna)


Come dice il proverbio: il mattino ha l’oro in bocca. Mai detto fu più vero per me. Al mattino sono lucida, creativa e piena di energia: è il momento in cui nascono le idee di scrittura migliori. Purtroppo, però, questo "oro" si dissolve rapidamente, assorbito dal mio lavoro.

Quando ho una scadenza, cerco di sfruttare le prime ore del giorno: imposto e rifinisco il lavoro la sera prima, poi al mattino lo rileggo e lo concludo prima di inviarlo. Per la scrittura, dovrei fare lo stesso. Ho provato a svegliarmi ancora prima per ritagliarmi almeno mezz’ora, ma il rischio è di stancarmi inutilmente: le idee non si limitano a essere impostate, vanno sviluppate, e mezz’ora spesso non basta.

Potrei dedicarmi alla scrittura nel fine settimana, ma anche quello diventa complicato: le incombenze accumulate – pulizie, spesa e altro – reclamano il loro spazio, e poi c’è sempre qualcuno che il sabato o la domenica chiama per un saluto, trattenendomi ore al telefono.

Insomma, alla fine mi sono arresa a questa situazione. Ma, ogni tanto, ci riprovo.

Il mattino ha l'oro in bocca non è solo un proverbio, ma un invito a sfruttare al meglio le prime ore della giornata. La mente è più fresca, l'energia più alta e le possibilità infinite. Vuoi cambiare qualcosa nella tua vita? Inizia al mattino. Da quello che leggo in rete la scienza lo conferma: la nostra concentrazione è al massimo nelle prime ore dopo il risveglio. Che tu stia lavorando su un progetto, studiando o semplicemente cercando un momento per te, svegliarti presto può fare la differenza. Quindi dovrei insistere e magari lo farò.

In questo marzo dalla primavera inesistente (sembra incredibile che siano già passati tre mesi del 2025!) pieno di pioggia e con pochi sprazzi di sole mi sento piuttosto scarica. Faccio fatica a trovare il tempo per scrivere un post quindi figuriamoci per scrivere, per ora sto raccogliendo le idee (è oltre un anno che lo faccio) forse anche la mancanza di sole non aiuta, febbraio è stato piovoso, marzo pure, confidiamo in aprile. 

Forse la mattina sono più reattiva perché reduce dal riposo notturno, ma insomma sono un'allodola e nelle prime ore della giornata trovo la mia massima energia e concentrazione, è il momento in cui riesco a fare di più, a pensare con più chiarezza e a sentirmi davvero produttiva. Che sia per lavorare, allenarmi o semplicemente godermi un po' di tempo per me, il mattino è la fase migliore della giornata. Più passano le ore più mi spengo, l’unica cosa che desidero è stendermi sul divano con la copertina. Uscire di sera è sempre una grande fatica, forse perché le mie giornate iniziano presto ma se vado fuori sogno solo  il momento di tornare a casa, anche nel week end quando dovrei essere più riposata, non cambia granché insomma non sono fatta per le ore piccole, superata una certa soglia, divento insofferente. Ogni tanto questo mio modo di essere mi fa riflettere, mi chiedo se dovrei preoccuparmi, ma poi mi dico che sono fatta così e amen.

Nonostante questo marzo senza sole nelle prime ore del mattino mentre emergo dal sonno sento un forte cinguettio di passerotti, forse loro sentono la primavera anche attraverso la pioggia, è il vantaggio di abitare in una strada defilata dal traffico ma immersa nel verde. Così stamattina, mentre ascoltavo il canto degli uccelli, ho pensato che questo mese sta finendo e non ho scritto il post che pensavo, ero partita con la scrittura e con l’oro del mattino che non riesco ad afferrare e finisco per parlare della primavera che non arriva e con la mia stanchezza perenne. Avevo comunque voglia di passare di qua e farmi sentire. 

E voi? Siete più allodole o gufi?

Fonti immagini: immagine creata con chat GPT

venerdì 14 marzo 2025

Le nuove frontiere del libro

 

Non ci sono amicizie più rapide di quelle tra persone che amano gli stessi libri. Irving Stone.



Alcuni anni fa andai a trovare un’amica a Catania. Ci sono tornata altre volte, ma quella prima visita mi è rimasta impressa: era la mia prima volta in città, e in quei giorni di vacanza - tre giorni pieni, tra Capodanno e l’Epifania -  ebbi modo di viverla intensamente. Catania mi sorprese piacevolmente per la sua frenesia culturale, la bellezza e la modernità. 

Un pomeriggio, dopo aver camminato a lungo tra negozi e luoghi da visitare, ci fermammo in un locale molto particolare. Non era solo un bar, ma anche un negozio e una libreria con sala da tè. La mia amica Carmen mi disse che ci andava spesso, perché lo considerava un posto speciale. Da un lato c’era un negozio vintage, poi si proseguiva nella libreria, dove si poteva scegliere un libro, sedersi in sala e ordinare un tè, un caffè o persino un aperitivo. Se il libro appassionava, si poteva acquistarlo al modico prezzo di un euro, perché si trattava di volumi usati, portati dagli avventori in un sistema simile al book crossing.

Era il 2005, e all’epoca trovai questo concept davvero all’avanguardia. A Bologna non esistevano ancora luoghi così e mi sembrò un’idea brillante: un modo per far riscoprire il piacere della lettura e al tempo stesso offrire un’alternativa ai soliti bar, un posto dove concedersi una vera pausa, senza fretta.

A Catania esisteva anche un altro bar-libreria, senza la parte vintage. Anche là ci fermammo per una tazza di tè e un momento di relax.

Negli ultimi anni sono nati molti locali simili. A Bologna, ad esempio, ci sono bar-ristoranti con un angolo dedicato al bookcrossing, dove il tempo sembra rallentare un po’ e la pausa diventa anche un’esperienza culturale.

Proprio per questo mi ha colpita un articolo di Donna Moderna (n. 1/2 del 24/12/24), che parlava dei book bar sorti in diverse città italiane.

A Trieste, nel cuore della città, si trova l’Antico Caffè San Marco, uno storico caffè letterario nato nel 1914. Qui, tra le sue eleganti sale, si incontravano spesso Italo Svevo e Umberto Saba, e ancora oggi il locale ospita quotidianamente presentazioni di libri.

A Siracusa c’è il Biblos Café, un luogo dove non solo si può leggere, ma anche guardare un film proiettato tra gli scaffali della libreria, assistere a un concerto o fermarsi nell’angolo dedicato al bookcrossing.

A Milano troviamo la libreria Verso, uno spazio di incontro e confronto attorno ai libri. Il sabato mattina ospita il Silent Book Club, dove si legge in silenzio, lasciando il cellulare in borsa, meglio se spento o almeno silenziato.

A Roma, invece, c’è Tra le righe, una libreria indipendente con bistrot d’ispirazione francese, dove scaffali ricolmi di libri si affiancano a bottiglie di vino da degustare tra una pagina e l’altra. Si può entrare per acquistare un libro e poi fermarsi per un caffè o un aperitivo. Qui vengono organizzati gruppi di lettura, presentazioni di libri, spettacoli e degustazioni.

A Firenze c’è perfino una libreria-cinema Giunti Odeon, nata nel 2023 da un progetto che ha ridato vita a un cinema degli anni venti, occupa le sale di un antico palazzo del centro di Firenze, il Palazzo dello strozzino, al suo interno c’è un grande schermo la libreria, una galleria e una platea di poltroncine in velluto dove leggere, disegnare, lavorare o godersi le proiezioni gratuite che ogni giorno fanno da sottofondo con film cult, film muti e corti. Tutto in un ambiente stile liberty che ha conservato il fascino di un tempo.

Tornando dalle mie parti, a Bologna c’è Baak libreria Bistrot “un luogo dove farsi guidare dalle emozioni in un’avventura consapevole tra libri e cucina” così recita il suo sito web che vi riporto Qui

Poi c’è la libreria Ambasciatori, situata in pieno centro, in via degli Orefici, una delle strade più belle di Bologna, a pochi passi da Piazza Maggiore. All’ultimo piano ospita il ristorante Eataly. Ci sono stata molte volte e, mentre mi perdevo tra gli scaffali, ho esplorato anche i piani superiori, dove si trova un’area negozio. Qui è possibile acquistare non solo libri, ma anche prodotti biologici, passando comodamente alla cassa con un romanzo e un barattolo di miele.

Dal sito della libreria riporto un breve stralcio descrittivo:

"Nata nel 2008 da un progetto innovativo che unisce Librerie Coop ed Eataly, la libreria si estende su 1.450 mq distribuiti su tre piani. Offre cibo, libri ed esperienze di socialità e cultura per accompagnare i diversi momenti della giornata. È aperta tutti i giorni dalle 8 alle 24."

In questa libreria ho assistito a diverse presentazioni di autori famosi e ho passato molti momenti piacevoli anche mangiando nel ristorante all’ultimo piano con amici letterari come me. Insomma le frontiere del libro non sono esaurite, si può sempre trovare un nuovo modo di immergersi nella lettura. 

Vi piacciono queste librerie? Le conoscete e ne avete nella vostra città? Magari ne ho nominata una in cui andate spesso, nel caso fatemi sapere nei commenti. 

Fonti immagini: Pixabay 




domenica 23 febbraio 2025

Il lato ribelle di ognuno di noi

 

Non c'è nulla di comodo nella libertà. Nasce da un grido di battaglia, da una ribellione, da un salto nel vuoto. (Fabrizio Caramagna)

Ognuno di noi ha un lato ribelle, ne sono convinta. In fondo, siamo tutti fatti di sfaccettature diverse, ma non sempre le mostriamo. Alcuni aspetti emergono solo in determinate situazioni o quando ci troviamo in un contesto più familiare.

L’altro giorno leggevo un’intervista a Ewan McGregor, un attore che mi piace molto e che ho visto di recente in Pastorale americana, tratto dal libro di Philip Roth. É un attore estremamente versatile, capace di interpretazioni sempre intense e diverse tra loro. Nell’intervista parlava proprio del suo lato ribelle. Mi ha fatto pensare a quanto mi aveva colpito in Trainspotting (1996), un film crudo e potente in cui interpretava un ruolo particolarmente duro. Negli anni l’ho riscoperto in altri film, apprezzando sempre di più la sua capacità di trasformarsi. In Pastorale americana è davvero straordinario e, leggendo l’intervista, ho scoperto che non solo vi recita, ma lo ha anche diretto.

Tornando alla sua vena ribelle, raccontava di sognare un viaggio in solitaria attraverso gli Stati Uniti su una moto d’epoca, una American Chopper vintage. Lo affascina l’idea di osservare il paese con gli occhi di un americano, vivendo la strada e il viaggio in modo autentico.

E questo mi ha fatto riflettere: ognuno di noi ha un lato che rimane nascosto fino a quando non si trova nel giusto contesto. Spesso le persone appaiono in un certo modo in base all’ambiente in cui le incontriamo. Sul lavoro, ad esempio, vediamo solo una parte della loro personalità, quella che meglio si adatta a quel contesto. Ma fuori da quell’ambiente possono sorprenderci. Mi viene in mente un impiegato della banca dove ho il conto. Lo vedevo sempre in giacca e cravatta, impeccabile nel suo ruolo, ma un dettaglio mi aveva colpito: portava un orecchino. Mi sembrava quasi un piccolo atto di ribellione contro il rigido ambiente bancario. Un giorno, chiacchierando con lui, scoprii che nel tempo libero suonava in una band rock. E in un certo senso, non ne ero sorpresa: dietro la sua immagine formale, c’era un’anima diversa.

Anche io, fuori dall’ufficio, sono una persona diversa. Una volta una collega mi ha detto: ma sai che sei molto simpatica fuori dal lavoro? In ufficio sei sempre così seria! In effetti, quando si è concentrati sul lavoro, non c’è tempo per battute e chiacchiere leggere. Ma questo non significa avere due facce: semplicemente, adattiamo il nostro modo di essere al contesto in cui ci troviamo.

Alla fine, siamo tutti più complessi di quanto sembri a prima vista. E forse, proprio in quelle sfumature che sveliamo solo a volte, si nasconde la parte più autentica di noi.

Credo di esprimere la mia ribellione attraverso la scrittura, in fondo i miei personaggi osano più di me e fanno scelte e azioni che io non ho il coraggio di fare. Forse è anche per questo che mi piace scrivere. Nelle mie intenzioni più nobili cerco anche di raccontare verità scomode che non saprei descrivere in altri modi. Non so se ci riesco fino in fondo, ma nei miei gialli ci provo. 

È il mio modo di ribellarmi a certi aspetti della realtà che non mi piacciono e provare a raccontare una verità oggi sempre più sfumata e strumentalizzata. 

Ma sulle verità da raccontare ci sarebbe ancora molto da dire. Forse ne parlerò meglio in un altro post. Queste sono solo riflessioni, un po' frettolose, di una domenica mattina di semi ozio, in cui mi sono resa conto che anche questo febbraio 2025 sta per finire, dopo un Festival di Sanremo, di cui mi ha colpito la "piattezza": nessuna polemica, cantanti impeccabili, spazio solo per canzoni d'amore e dolori rassicuranti. Nessun tema controverso, nessuna protesta. Personalmente, ho sentito molto la mancanza di voci come Dargen D'Amico e Ghali.

Ecco la domanda per voi: avete un lato ribelle e come lo manifestate?


Fonti immagini: pexels 


sabato 8 febbraio 2025

Superare le paure del mondo

L’uomo porta dentro di sè le sue paure bambine per tutta la vita. Arrivare a non avere più paura, questa è la meta ultima dell’uomo. Italo Calvino 

Circa un anno fa lessi un articolo sulla paura e sull’ansia che caratterizza sempre più la nostra società. Cerco di riportare di seguito quello che mi è rimasto più impresso e quello di cui avevo preso appunti. 


“Viviamo immersi in un clima di cupi presagi, circondati da pensieri che agitano il nostro presente: pandemie, catastrofi climatiche, guerre alle porte. Il 57º Rapporto sulla situazione sociale del Paese, pubblicato dal Censis, fotografa una società che guarda al futuro con paura. Tra le preoccupazioni più diffuse spiccano il cambiamento climatico, gli sconvolgimenti globali legati ai flussi migratori e il timore di un conflitto mondiale. Basta aprire un giornale o accendere il telegiornale per scatenare ogni tipo di ansia.

L’ansia è il male del nostro tempo: viviamo in un costante stato di allerta per eventi che non sono ancora accaduti e che forse non accadranno mai, ma che potrebbero verificarsi. La paura accompagna il pericolo reale, mentre l’ansia lo anticipa. Oggi la mente umana è perennemente in allerta: si teme di perdere il lavoro, di essere esclusi dal proprio gruppo sociale, di ammalarsi gravemente.”


Purtroppo, l’ansia può intrappolarci in meccanismi pericolosi. Una delle trappole più comuni è l’evitamento: ci sottraiamo a una situazione per paura di non saperla affrontare, ma più la evitiamo, più la paura si trasforma in fobia. Un’altra trappola è la dipendenza da qualcuno: incapaci di affrontare una situazione da soli, cerchiamo la compagnia di una persona che ci dia sicurezza. Tuttavia, questo comportamento non fa che rafforzare la convinzione della nostra inadeguatezza, rendendoci sempre più dipendenti. Infine, vi è la trappola del controllo: tentiamo di gestire razionalmente le nostre reazioni fisiologiche—come il battito cardiaco accelerato o il respiro affannoso—ma questo sforzo può rivelarsi controproducente e sfociare in attacchi di panico. 

Io stessa sono abbastanza ansiosa, cerco di controllare l’ansia anticipando - per esempio- gli impegni lavorativi, programmando il più possibile le attività in anticipo, ma non sempre funziona perché c’è sempre l’imprevisto in agguato. 



Conosco persone che soffrono di ansia patologica e che vivono con grande difficoltà. Un parente del mio compagno, ad esempio, vive in una paura ossessiva di tutto. Se deve andare in ospedale per un controllo, non riesce a dormire per il terrore di aver contratto qualche virus o di aver assorbito radiazioni semplicemente passando vicino al laboratorio di radiologia. È affetto da disturbo ossessivo-compulsivo e, nonostante stia cercando di curarsi, non mostra segni di miglioramento.


Ai tempi dell’università, una coinquilina di una mia amica soffriva di una forma di agorafobia: non riusciva a uscire di casa da sola e aveva sempre bisogno di essere accompagnata. Le sue coinquiline si alternavano per starle vicino, perché quando era sola evitava di andare all’università. Non so come sia riuscita a laurearsi—seppur in ritardo—ma so che ha intrapreso un percorso con uno psicoterapeuta e oggi, forse, sta bene.


Anch’io ho avuto una fobia: la paura dei cani. Me l’ha trasmessa mia madre, che da piccola mi diceva sempre di stare attenta ogni volta che ne vedevo uno. Era lei ad avere paura, ma io, istintivamente, ho interiorizzato la sua fobia. Da adulta, però, sono riuscita a superarla: ho iniziato ad avvicinarmi al cane di una mia amica e, con il tempo, ho preso confidenza. Ora i cani piccoli non mi spaventano più—una volta sì, anche quelli minuscoli—e nemmeno quelli più grandi mi fanno paura. Tuttavia, continuo a essere guardinga con alcune razze considerate pericolose, come pitbull e dobermann. Non si tratta più di una fobia, ma di una normale prudenza.


Mia sorella, negli ultimi vent’anni, ha sempre avuto dei cani. Ha iniziato con uno di piccola taglia, che è vissuto fino a 13 anni, e oggi ne ha uno di media grandezza, ormai anziano. Spesso mi capita di portarlo fuori e, ormai, interagisco con i cani di parenti e amici in modo del tutto spontaneo, senza più alcuna paura.


L’articolo che ho letto è di un anno fa, ma resta attuale: la situazione non sembra affatto migliorata. Siamo ancora con la guerra alle porte, più o meno, e un nuovo presidente americano deciso a dominare il mondo insieme a un miliardario che si crede onnipotente.


La democrazia mi pare sempre più fragile, forse perché nel pensiero comune appare troppo faticosa. La libertà è indissolubilmente legata alla responsabilità, e questo la rende difficile da gestire. Governare democraticamente significa confrontare opinioni diverse, cercare un accordo o almeno un buon compromesso nel rispetto dei diritti di tutti. Ma significa anche proteggere le minoranze e i più fragili—eppure, oggi, questi ultimi sembrano sempre più oppressi e schiacciati.


Si fa strada l’idea che sia più semplice affidarsi a un “uomo forte”, capace di decidere per tutti, riducendo problemi complessi a soluzioni rapide e autoritarie. E forse è proprio questo che mi spaventa di più: vedere la democrazia vacillare sotto il peso della sua stessa complessità.



Pensate che il mio quadro sia troppo pessimistico? Voi di cosa avete paura?


Fonti immagini: pexels 




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